MARCEL PROUST: ALLA RICERCA DEL TEMPO PERDUTO
RICERCA A CURA DI D.PICCHIOTTI
Alla ricerca del tempo perduto è l'opera più importante di Marcel Proust, scritta tra il 1909 e il 1922, e pubblicata in sette volumi tra il 1913 e il 1927. In essa è racchiusa tutta l'evoluzione del pensiero dell'artista. Tra i moltissimi temi trattati spicca il ritrovamento del tempo perduto, del ricordo, della rievocazione malinconica del passato perduto.
Il primo volume della Ricerca apparve il 14 novembre 1913. La pubblicazione dei volumi seguenti venne interrotta dallo scoppio della prima guerra mondiale. Il lavoro febbrile di Proust sulla propria opera è ininterrotto e continuo: ad ogni bozza di stampa inviata da parte dell'editore, l'autore aggiunge nuove parti sui margini e su foglietti che incolla alle pagine (i famosi paperoles). Nel periodo della guerra e del primo dopoguerra, quello che doveva essere l'ultimo volume dell'opera si espanse fino ad arrivare a comprenderne tre, che vennero pubblicati solo postumi.
L'opera è suddivisa, per meri motivi editoriali, in sette volumi:
La storia editoriale de Alla ricerca del tempo perduto è lunga e complicata.
Nell'estate del 1912 Proust preparò una copia dattiloscritta di quello che sarebbe dovuto diventare il primo volume del suo romanzo. Ad ottobre, su suggerimento di Gaston Calmette, all'epoca direttore di Le Figaro, mandò il dattiloscritto a Fasquelle, editore tra gli altri di Émile Zola e di Edmond Rostand.
L'incaricato alla lettura dette parere negativo di fronte ad un'opera così sconcertante per l'epoca. In questo rapporto si legge: «Dopo settecentododici pagine di questo manoscritto - dopo infinite desolazioni per gli sviluppi insondabili in cui ci si deve sprofondare ed esasperanti momenti d'impazienza per l'impossibilità di risalire alla superficie - non si ha nessuna idea di quello di cui si tratta. Che scopo ha tutto questo? Che cosa significa? Dove ci vuole condurre? - Impossibile saperne e dirne nulla».
Proust pensava che l'editore Fasquelle avrebbe dato al suo lavoro "risonanza più vasta" ma, per una "presentazione più artistica", Proust pensava alla Nouvelle Revue Française, fondata da un gruppo di intellettuali tra cui André Gide e l'amministratore Gaston Gallimard. Gide, incaricato della lettura, lo scorse appena e lo bocciò, contrariato anche dalla nomea di mondano e snob che accompagnava Proust.
Anche se in pochi giorni aveva ricevuto due bocciature, Proust non si dette per vinto e mandò il dattiloscritto alla casa editrice Ollendorf. Il lettore incaricato dette parere negativo con una frase rimasta famosa: «Sarò particolarmente tonto, ma non riesco a capire come questo signore possa impiegare trenta pagine a descrivere come si gira e si rigira nel letto prima di prendere sonno».
Dopo queste bocciature, nel febbraio del 1913, Proust si rivolse al giovane editore Bernard Grasset offrendogli di pagare le spese di pubblicazione e di pubblicità, mentre all'editore sarebbe spettata una percentuale sui guadagni. Grasset accettò senza aver nemmeno letto le bozze del romanzo. Così la ricerca dell'editore aveva fine e la Recherche poteva iniziare il suo viaggio nella letteratura.
Nel Tempo ritrovato, Proust ricorda questo periodo scrivendo: «Presto fui in grado di mostrare qualche abbozzo. Nessuno ci capì niente».
Solo al termine della prima guerra mondiale, dopo l'uscita del primo volume, Gide capì di aver commesso un grosso errore e convinse Gallimard a pubblicare tutte le parti successive, di cui le ultime tre postume curate dal fratello di Proust, Robert, e da Jacques Riviére, critico letterario.
"La struttura narrativa del romanzo Prime pagine di Dalla parte di Swann, con le correzioni e revisioni fatte a mano dall'autore. " di Marcel Proust
La struttura della Recherche è circolare. Le tremila pagine del romanzo (sarebbero state molte di più se Proust non fosse morto prima di correggere gli ultimi volumi) sono state sintetizzate in tre parole: «Marcel diventa scrittore».
Per tremila pagine Marcel, io narrante, combatte contro la sua mancanza di volontà, la sua bassa autostima, la sua fragilità fisica e psichica, il tempo che scorre troppo veloce, per arrivare finalmente a prendere la grande decisione: scriverà un romanzo sugli uomini e sul tempo.
Ma il romanzo che scriverà non è un'altra Alla ricerca del tempo perduto, bensì proprio quelle tremila pagine di cui si è arrivati alla fine. Quindi la Recherche si trova ad essere sia il libro che si è appena letto, sia, in seconda lettura, il romanzo che Marcel ha trovato finalmente la forza di scrivere.
A simbolo di questa circolarità, Proust comincia il suo romanzo con le parole: «Longtemps, je me suis couché», e lo termina con le parole «dans le Temps». Proust ha sempre affermato che l'inizio e la fine dell'opera erano stati scritti simultaneamente. Essi infatti risultano legati proprio come in un percorso che torna su sé stesso.
I temi dell'operaLa Recherche ha luogo in un tempo che va dall’affare Dreyfus alla prima guerra mondiale, ma il tempo personale del suo narratore è irregolare e ripetutamente sfasato rispetto agli altri. Il titolo dell'opera indica già al lettore qual è il nucleo duro dell'opera proustiana: la ricerca di un tempo perduto. Che sia un tempo interiore o un tempo esteriore, è un tempo che si è perduto; esso è, quindi, legato al passato, ma al contempo è un tempo verso il quale tende il presente. Il racconto della Recherche inventa – ed è l’articolazione cruciale tra il passato il presente - un tempo intermedio, quello delle insonnie nel corso delle quali un terzo io si insinua tra il protagonista e il narratore, e si consacra al ricordo. esiste un triplo io, distribuito su tre tempi diversi: il passato del protagonista, il presente del narratore e il tempo intermedio del dormiente che si risveglia. Grazie a quest’ultimo, l’orizzonte del racconto si dilata, il racconto diventa esso stesso un romanzo concentrico capace di esplorare la pluralità dei tempi e dei luoghi. La prima persona intermedia, quella del dormiente che si risveglia, questo “io” fluttuante dell’insonne che collega protagonista e narratore nel tempo, è il principio di costruzione della Recherche. La triplicità dell’io permette di sfuggire alla linearità cronologica diventando filtro del tempo. L’io proustiano è anche un io psicologico multiplo, per il quale coesistono plurimi io coscienti, incessantemente alterati dallo scorrere del tempo, e un “io vero”, quello inossidabile, “eterno”, dice Proust, recuperato dalla memoria. Gli io multipli si formano per stratificazioni, e “morti psichiche” successive: gli io diversi che muoiono successivamente in noi” ed è così che si superano, per esempio, i più cocenti dolori, non cioè perché il loro effetto in noi si affievolisce grazie allo scorrere del tempo, ma perché noi non siamo più la persona che provava quell’afflizione o quel sentimento. Nelle prime pagine Marcel riferisce l’episodio in cui fece in modo di avere il bacio della buona notte e ottenne che ella rimanesse tutta la notte. Quella notte capisce che la sua solitudine e sofferenza recenti erano parte della vita: era l’inizio dell’erosione della felicità infantile, che è il contenuto del tempo perduto. Questo ritrovamento necessario passa attraverso due elementi entrambi necessari: la memoria e l'arte. La memoria ci dà la possibilità di rivivere momenti passati che associamo a determinate sensazioni: il sapore della madeleine, riassaporato dopo anni, ricorda al protagonista le giornate d'infanzia passate a casa della zia malata a Combray. [La Madeleine, un dolce tradizionale francese a forma di conchiglia, popolare ad Illiers (Combray), perché Illiers era una delle tappe dei pellegrinaggi medievali che da Parigi si dirigevano verso il Santuario di Santiago de Compostela; il dolce prende la forma della conchiglia che i pellegrini attaccano al loro cappello]. Per Proust, però, il recupero del passato non è sempre possibile. Distingue due tecniche o gradi di recupero: memoria volontaria e memoria spontanea. La memoria volontaria richiama alla nostra intelligenza tutti i dati del passato ma in termini logici, senza restituirci l'insieme di sensazioni e sentimenti che contrassegnano quel momento come irripetibile; la memoria spontanea o involontaria è quella sollecitata da una casuale sensazione e che ci rituffa nel passato con un procedimento alogico, che permette di "sentire" con contemporaneità quel passato, di rivederlo nel suo clima: è "l'intermittenza del cuore" la tecnica da seguire per il recupero memoriale basato sull'analogia-identità tra la casuale sollecitazione del presente e ciò che è sepolto nel tempo perduto. La memoria involontaria cattura con un’impressione o una sensazione l’essenza preziosa della vita, che è l’io” e serve a spiegare il valore assoluto di un ricordo abbandonato dall’infanzia, risvegliato attraverso il sapore di un dolce o un sorso di tè. Questo procedimento porta alla vittoria sul tempo e sulla morte, cioè ad affermare noi stessi come esseri capaci di rimanere e di recuperare il tempo e la coscienza come unico elemento che vince la materia e porta alla Verità e alla felicità. Ricordare è creare. Ri-cordare è ri-creare:“No, se non avessi convinzioni intellettuali, se cercassi soltanto di ricordare il passato e di duplicare con questi ricordi l'esperienza, non mi prenderei, malato come sono, la briga di scrivere”. Ma questa evoluzione del pensiero, non ho voluto analizzarla astrattamente bensì ricrearla, farla vivere un lacerto di tempo che è un nuovo Tempo, una nuova Realtà, una nuova Verità. Ossia in una parola una vecchia e nuova Eternità. Partendo da una dimensione di un tempo contingenza, occasione, finisce con lo stratificarsi e con l’illuminarsi come eterno frammento di Tempo Puro, che non è mai stato un vero passato. Il Tempo Perduto non è un tempo passato perché è un tempo da ricercare e da ritrovare. In quanto ritrovata quell’infanzia ritrovata è eterna, universale. L’essenza pura della vita giace nel suo essere Ritrovata, nel suo essere Ripetuta o Ripresa, l’essenza che si dà nella cosiddetta apparenza, nel fenomeno, nell’esperienza sensibile. Proust vede l’esperienza epifanica come esperienza già ‘ideale’. L’idea o l’essenza dell’esperienza si dà nell’esperienza stessa. Non c’è una madeleine pura dietro la madeleine immersa nel te’ caldo di Marcel. Quelle esperienza è già ideale, è già una briciola di tempo puro, una scheggia di eternità che salva la vita dalla sua transitorietà. Perché dietro la ricerca del Tempo perduto e gli infiniti errori, deformazioni, fraintendimenti di questa peripezia, si manifesta il volto di quella Verità che invano si cercherebbe avanti, prima di tutto, all’origine o a priori. L'arte, rappresentata nel romanzo dalla stessa attività scritturale del narratore che narra la propria esperienza, fissa in eterno quel risveglio di sensazioni che permette alla nostra memoria di riandare al passato. Il tempo che viene così ritrovato dalla memoria e fissato dall'arte è dunque un tempo interiore, e non esteriore, un tempo assolutamente soggettivo. Per questa ragione Proust dà un'importanza notevole agli spazi chiusi, come può esserlo una camera, e al rinchiudersi in se stessi per poter "ascoltare" meglio le voci interne del nostro io. L'importanza del tema della chiusura in una camera si fa più chiaro se si tiene presente che lo stesso autore, affetto dalla malattia, passa la sua breve giovinezza rinchiuso, come Noe nell'arca: «Più tardi, mi ammalai molto spesso, e per molti giorni dovetti rimanere nell' "arca". Capii allora che mai Noè poté vedere il mondo così bene come dall'arca, nonostante fosse chiusa e che facesse notte in terra». la grandezza dell'arte vera, consiste nel ritrovare, nel riafferrare, nel farci conoscere quella realtà da cui viviamo lontani, da cui ci scostiamo sempre più via via che acquista maggior spessore e impermeabilità la conoscenza convenzionale che le sostituiamo: quella realtà che noi rischieremmo di morire senza aver conosciuta, e che e' semplicemente la nostra vita. la vita vera, la vita finalmente scoperta e tratta alla luce, la sola vita quindi realmente vissuta, e' la letteratura; vita che, in un certo senso, dimora in ogni momento in tutti gli uomini altrettanto che nell'artista grazie all'arte, anziché vedere un solo mondo, il nostro, noi lo vediamo moltiplicarsi; l'opera d'arte, come il tempio che è segno e partecipazione tra gli uomini della terra della divinità ultraterrena, è il mezzo più adatto ad oggettivare e manifestare agli altri l'intensa soggettività di chi è stato ispirato ed evitarle il rischio di farla apparire soltanto una teoria. Artista è stato reso dalle proprie meditazioni quell'uomo che da giovane aveva scoperto occasionalmente che il tempo passato non era per lui perduto. Per il suo animo il reale era divenuto figurazione di valori ideali, eterni, segno di verità che si trovavano a grande distanza e che da esso potevano differire. Unicamente allo spirito era concesso raggiungerle e partecipare della loro eternità. Ciò che fuori dell'azione dello spirito rimaneva limitato alla materia non poteva, per Proust, rispondere a verità poiché non era parte dell’eternità. La verità, come la vita, dura eternamente e sta in una dimensione diversa dalle altre generalmente note non essendo, come queste, contaminata dal tempo, dalle convenzioni, dalle apparenze né accessibile a tutti. Esiste lontano dalla compiutezza della materia nell'incompiutezza ed eternità dello spirito. Solo all'artista, diverso come essa dalla norma, sarà possibile conoscerne il segreto e solo all’arte esprimerlo. "La grandezza dell'arte vera consiste nel ritrovare, nel riafferrare, nel farci conoscere quella realtà da cui viviamo lontani, da cui ci scostiamo sempre più via via che acquista maggiore spessore e impermeabilità la conoscenza convenzionale che le sostituiamo: quella realtà che noi rischieremmo di morire senza aver conosciuta, e che è semplicemente la nostra vita. Si tratta della storia di una coscienza in cerca della sua identità; in “Il tempo ritrovato” il narratore scopre infine la verità, cioè la vita scopre il suo significato grazie all’Arte, che fissa il passato che altrimenti sarebbe condannato alla distruzione. Per Proust la resurrezione del passato si compie attraverso la letteratura che fissa la realtà transitoria, rende possesso stabile dell’epifania momentanea.
La felicità e il Tempo La ricerca di Proust è anche una speranza e una promessa di felicità: ritrovare il tempo non è impossibile, a patto che il mondo ricreato sia un mondo letterario, un mondo interiore, mistico, costruito su questo gioco di memoria e tempo. La struttura si basa sulla contrapposizione Tempo perduto- Tempo ritrovato attraverso la memoria involontaria, che è il ricordo improvviso e spontaneo di una sensazione provata nel passato, suscitata dalla stessa sensazione nel presente. L’intelligenza e lo spirito hanno il compito di riavvicinare queste due sensazioni e di riportare la sensazione che sfugge. Questa esperienza, che non appartiene né al passato né al presente ed è dunque extratemporale, è motivo di grande felicità perché elimina la sensazione di perdita del tempo e permette al soggetto stesso di uscire dalla dimensione del tempo reale e riscoprire la verità di un momento della sua esistenza. Anche lo stile, musicale, molto dettagliato e metaforico, è l’espressione di una sorta di eternità e vittoria sul tempo e di fede nell’Assoluto che vive nell’interiorità umana. Le pagine di Proust, fatte di frasi lunghe e sinuose, spiegano simultaneamente gli aspetti del mondo e la profondità dell’anima. Proust concepisce inoltre l’artista come il portatore di una rivelazione. La vita degli uomini consiste dunque in una lotta disperata contro l’inevitabile scorrere del tempo che passando trasforma o distrugge gli esseri, i sentimenti, le idee e questa lotta è condotta grazie alla memoria involontaria. Infatti non si tratta di ricostruire il passato in modo intellettuale con documenti o ricordi, ma bisogna attendere una sensazione particolare che ne evochi una passata, un ricordo. L’autore spiega che la grande felicità non consiste nel semplice elemento memoriale, bensì nella felicità alla quale conduce, cioè il primato dello spirito sulla materia e il ritrovamento della sua identità. ".La meravigliosa sensazione di felicità che accompagna l'autore nelle sue indescrivibili esperienze, infatti, è dovute capacità di queste di trasportare il soggetto in una realtà extratemporale, che "gli aveva- dunque permesso di sfuggire al presente" e "di gioire nell'essenza delle cose, cioè fuori del tempo". Queste impressioni "pervenivano combaciare il passato con il presente, a renderlo titubante nel definire in quale dei due si trovasse". Il linguaggio metaforico, analitico e lirico e le metafore rendono la corrispondenza tra il livello reale delle sensazioni e quello ideale dell’interiorità.
Nessun commento:
Posta un commento