L’Espressionismo astratto amercano e l’Informale europeo -
DI Paolo Rusconi
Scriveva Renato Guttuso nel 1965 che “l’Informale è un aggregato di tendenze ed esperienze diverse, anche
opposte, di radice ideologica diversa, alcune delle quali hanno senso avanguardistico, altre no...”. Dopo mezzo
secolo d’esistenza l’arte informale solleva ancora delle difficoltà d’ordine storico e d’ordine estetico. Lo stesso
termine “Informel” (Informale) è equivoco e si presta a discussione. Venne usato per la prima volta nel 1951 dal
critico francese Michel Tapié nel testo introduttivo alla mostra Véhémences Confrontées, ma fu lo stesso coniatore del
termine ad abbandonarlo successivamente preferendogli la definizione alternativa di “Art autre” (arte altra).
Attualmente l’espressione è stata sottoposta a brusca revisione perdendo quel carattere di formula generalizzante e
omnicomprensiva che aveva permesso di far rientrare manifestazioni e artisti assai diversi – da Jean Fautrier ad
Alberto Burri, da Giuseppe Capogrossi a Wols, da Antoni Tàpies a Lucio Fontana.
In realtà queste manifestazioni non appartenevano a quanto finora era noto e compiuto nel campo dell’arte
moderna e soprattutto si chiamavano fuori dallo scontro tra figurativo e non figurativo, tema che aveva distinto il
dibattito e le polemiche nel secondo dopoguerra. Gli artisti cosiddetti “informali” esploravano risolutamente la
strada della sparizione della forma, che era il modo di sfuggire all’astrazione geometrica e al formalismo astratto. La
forma, per sua definizione, infatti, appariva come uno degli ostacoli maggiori alla libertà della creazione artistica. Le
soluzioni plastiche ricercate nell’arte informale erano cioè orientate verso l’ emancipazione dalla forma e la
distruzione dell’immagine così come si era strutturata e preservata nel XX secolo; un vero e proprio percorso che
vedeva i pittori “informali” impegnati fisicamente in un conflitto con la materia e la superficie del quadro.
Parallelamente alcuni pittori americani coltivavano l’idea in arte dell’abbandono del soggetto e
contemporaneamente la volontà di una risoluta recisione con la cultura europea. Il gruppo di artisti residenti a New
York (Pollock, De Kooning, Kline, Rothko, Newman, Still, Gottlieb, Motherwell) rappresentava infatti, secondo la
storiografia d’oltreoceano, il primo movimento artistico americano acclamato internazionalmente come essenziale
allo sviluppo dell’arte contemporanea. Questi pittori presero parte alla creazione di una radicale nuova estetica che
fu chiamata “Abstract Expressionism” (Espressionismo astratto), locuzione usata da Robert Coates nel 1946 e
presto diffusa nell’ambiente artistico nordamericano. Tale formula fu respinta dagli artisti che rivendicavano
piuttosto il carattere e il primato dell’espressione singola e individuale e non tanto uno stile collettivo. Nel 1973 il
pittore Jack Tworkov diede una sintetica e limpidissima esegesi di questa situazione creativa, la cui varietà di
posizioni, proposte ed esiti ammetteva tuttavia una comune genesi: “La pittura del dopoguerra a New York si
contrapponeva a due esperienze repressive: la retorica del realismo sociale, predicata soprattutto dagli artisti e dagli
ideologi delle istituzioni artistiche degli anni Trenta e l’egemonia di Parigi nell’arte moderna. La risposta doveva
essere un’arte che si contrapponesse a tutte le formule; un’arte in cui l’impulso, l’istinto e l’automatismo, in quanto
guide alla realtà interiore, avrebbero rimpiazzato ogni forma di intellettualizzazione.”.
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