martedì 30 ottobre 2007

Modernità e postmodernità: interconnessioni e spostamenti

Wolfgang Welsch

A questo punto, appaiono appropriati alcuni chiarimenti sulle relazioni tra modernità e postmodernità. Secondo la tesi contenuta nelle mie osservazioni e l'evidenza in esse data esiste una congruenza tra la sfera dell'arte e l'ambito della filosofia; infatti, ciò che ha indicato la strada agli artisti d'avanguardia della modernità ha dato frutti anche alla filosofia nel pensiero postmoderno. 
Questo mostra chiaramente che la differenza tra modernità e postmodernità non è assoluta, in altre parole che la postmodernità non può essere semplicemente una transmodernità o un'antimodernità a cui vorrebbero ridurla i suoi detrattori. Guardando i fatti, essa diviene una forma di riscatto radicale dei contenuti moderni o una forma quotidiana essoterica delle conquiste, un tempo esoteriche, della modernità 
In secondo luogo risulta confermato che l'arte moderna era nettamente avanzata nel contesto dell'intera cultura, soprattutto nei confronti della filosofia contemporanea. Infatti, mentre quest'ultima - come si è visto in Husserl - stava ancora immergendosi nel progetto di una philosophia perennis, l'arte, da molto tempo, aveva conquistato gli elementi di una nuova concezione della realtà. Tale posizione avanzata rende conto dell'alto potenziale di identificazione che è stato assegnato all'arte in questo secolo. Chiunque cerchi di ottenere accesso al nuovo, alle circostanze e ai modi di comprensione della realtà contemporanea, gli è stato consigliato di rivolgersi all'arte piuttosto che alla filosofia. Detto in termini più espliciti, il reale compito filosofico della comprensione contemporanea è stato percepito molto prima e meglio dall'arte anziché dalla filosofia - o almeno nel senso in cui questo è stato percepito dalla filosofia istituita accademicamente (arriveremo presto a parlare di un'eccezione come Nietzsche). 
Così provvista l'arte ha lasciato dietro di sé posizioni moderne antiquate prima degli altri modi della nostra autocomprensione; ne dovrebbe derivare, in terzo luogo, come nient'affatto sorprendente che il termine postmoderno provenga originariamente dalla sfera dell'arte - anche se non importa che lo si voglia riferire alla pittura, nei confronti della quale l'espressione è stata usata per la prima volta nel 1870 in Inghilterra, alla letteratura, che ha provocato negli Stati Uniti la disputa sulla postmodernità che si estende all'incirca dal 1959/1960 fino al presente, o all'architettura, la quale dal 1975 è diventata il principale campo di battaglia della discussione. Tuttavia, il termine è stato introdotto nella filosofia piuttosto tardi, vale a dire nel 1979 - 
In quarto luogo, il porre effettivamente nella stessa rete gli elementi moderni e postmoderni sopra esposti definisce i criteri a cui si deve prestare attenzione se si desidera arrivare a distinzioni attendibili. Queste non possono essere ottenute costruendo violente sezioni cronologiche trasversali, ma facendo, per così dire, ricerche analitiche in profondità sulle differenze di contenuto. In un tale scenario risulta allora immediatamente comprensibile che Adorno, un moderno progredito il cui pensiero è stato formato dall'esperienza dell'arte, fosse da un lato, proprio per questa ragione, in grado di intraprendere passi evidenti in direzione della postmodernità mentre dall'altro - come un hegeliano che "malgrado tutta la sua critica a Hegel stava con Hegel"59 - restava in ultima analisi un moderno; come nei confronti della questione fondamentale dell'opzione per l'unità opposta all'accettazione della pluralità. Solo osservazioni in profondità di questo tipo, dunque, possono fornire criteri inconfutabili e condurre a distinzioni sicure. Dall'altro lato, invece, procedere in modo indifferenziato produce una confusione senza speranza - e su questo punto gli oppositori della postmodernità si sono distinti in generale per una grande arbitrarietà e spesso per un disprezzo degli standard moderni di onestà e di metodo accademici così scandaloso pari a quello degli apologeti più spinti del postmoderno più gettonato (Hyped-up). 
Nietzsche l'apripista 
Un'ultima parola di chiarimento riguarda il titolo: l'allusione all'opera di Nietzsche La nascita della tragedia dallo spirito della musica, pubblicata nel 1871, ha un significato preciso. Com'è noto, Nietzsche sviluppa in quest'opera il punto di vista secondo cui la tragedia attica discende inizialmente dal coro e dal culto di Dioniso, solo in seguito, con Euripide e Socrate, la cultura greca ha iniziato a declinare e l'entusiasmo dionisiaco è venuto paralizzandosi entro i sentieri equilibrati della ragione e del pensiero teoretico che ha cercato di eliminare tutto quello che era incommensurabile60. Questa paralisi ed espulsione dell'incommensurabile, ratificata dalla marcia trionfale della scienza contro cui la critica di Nietzsche è in genere diretta, viene rovesciata dall'arte moderna e dalla filosofia postmoderna, poiché l'arte moderna non punta più al bello e alla tranquillità ma anela al differimento nell'incommensurabile; e la filosofia postmoderna coglie decisamente questo tentando di ridargli i suoi diritti61. La relazione tra la filosofia postmoderna e l'arte moderna - che è il primo significato del mio titolo -, perciò, non solo corrisponde genealogicamente alla relazione tra musica e tragedia in Nietzsche; ma la filosofia postmoderna - qui sta il secondo e più significativo senso della mia allusione - attua anche ciò che Nietzsche voleva stimolare per mezzo della sua opera programmatica: andare al di là della razionalità che era divenuta restrittiva attraverso la riconsiderazione dell'incommensurabile. In questo senso, la filosofia postmoderna redime il progetto e la profezia di Nietzsche (del progenitore Nietzsche) - e se non lo fa ovunque letteralmente ma (in contraddizione con il trasmetterlo con uno spirito puramente storicista) in conformità con le condizioni contemporanee, questo avviene anche nello spirito di Nietzsche. 

VI. DOPO LA NASCITA E L'INFANZIA IL DIVENIRE ADULTO O DAL PENSIERO POSTMODERNO AL PENSIERO ESTETICO 
In questa sesta sezione desidero porre una questione che mi sembra particolarmente importante e nel rispondervi delineerò il mio approccio. Che cosa può significare, a lungo andare, l'iniziazione estetica del pensiero postmoderno per questo tipo di pensiero? Manterrà esso il suo carattere estetico, e se sì ciò ritornerà a suo vantaggio; e se la risposta è ancora affermativa, quali sono i vantaggi che è in procinto di ottenere? 
1. Pensatori postmoderni come pensatori estetici 
Che il pensiero postmoderno rimanga caratterizzato dall'estetica è evidente e ciò può essere mostrato in tutti gli autori principali del discorso postmoderno quali, oltre quelli già citati, Baudrillard, Kamper, Sloterdijk. 
Così, Jean Baudrillard ha variamente usato i fenomeni estetici per decifrare da essi le circostanze della realtà contemporanea. Ha letto, per esempio, dalle frasi senza senso dei graffiti americani, che per lungo tempo abbiamo trattato non solo nelle teorie poststrutturaliste accademicamente elevate ma anche nella vita quotidiana come significanti fluttuanti liberamente senza significato, che i segni nella realtà sono diventati incongruenti, che la semiocrazia è imperante (Is lying) e che scoprirla è uno dei pochi interventi critici ancora possibili62. 
Oppure ha compreso - e questo è caratteristico di un modo estetico di pensiero - come visualizzare metaforicamente e in modo simultaneo alcuni fenomeni isolati del mondo d'oggi come fenomeni chiave - per esempio il cancro e i cloni. Il cancro, l'eccessiva crescita dello stesso, e i cloni, l'identica riproduzione dello stesso, stanno infatti a simbolizzare la tendenza fondamentale contemporanea verso l'espansione vorace dello standardizzato e verso la paralisi estrema nell'uniformità. 
Allo stesso modo Dietmar Kamper, nelle sue analisi dei fenomeni attuali, inizia sempre con le ambivalenze del carattere dell'immagine (imagic). Le immagini contengono le più antiche promesse di felicità ma si rivelano anche insignificanti e ingannevoli. Quando vengono realizzate, visioni di salvezza si trasformano improvvisamente in imprese di rovina63. La società delle immagini di oggi è una società dell'immaginario con conseguenze letali, non una repubblica del fantasioso che dovrebbe essere in accordo con il creativo e liberare le facoltà. Tuttavia, la sola cosa che aiuta l'azione contro la barriera imprigionante dell'immaginario è ancora una volta un appello all'immaginazione64. Dunque, un immaginario corretto contro un immaginario erroneo; questa è una linea di opposizione fondamentale nel pensiero di Kamper, che in proposito cerca di modellarsi sull'estetica. 
Una specie di impregnazione estetica è evidente anche in Peter Sloterdijk. Le sue analisi sono disseminate di immagini di esempio e il suo linguaggio è pervaso dalla metaforicità. Anche il suo pensiero è estetico, poiché un caratteristico stile di musicalità diviene udibile in esso - incidentalmente - secondo Nietzsche, e non il segno più infimo ha a che fare con un autentico filosofo. 
Così, anche in Sloterdijk viene suggerito uno spostamento di accento sul concetto dell'estetico, che tratterò separatamente più sotto. Sloterdijk dice (in un libro caratteristicamente sottotitolato un "saggio estetico") che oggi la linea separante il logico e l'estetico è divenuta indifendibile: "Bisogna fare attenzione a qualcosa che è percezione, estetica nel senso più ampio, e che rimane fino alla sua ultima istanza una questione del pensiero"65. Egli si riferisce perciò a un'estetica in senso ampio, non determinata da alcuna relazione con l'arte ma che enfatizza la percezione. Tale percepire costituisce per Sloterdijk il nucleo del pensiero. E questo contiene una svolta che secondo me è caratteristica del pensiero postmoderno e della sua impregnazione estetica. 

 Dall'estetica all'aistetica 
Ciò che Sloterdijk qui chiama "estetica nel senso più ampio" io l'ho tematizzato altrove con la definizione di "aistetica"67. Mi sembra, infatti, che il pensiero postmoderno sia più propriamente un "pensiero aistetico" e che proprio per questo esso dia alla sua iniziazione estetica una tendenza veramente produttiva. L'espressione "aistetica", infatti, indica il riflesso elementare dell'estetica retrocesso all'aisthesis; cioè alla percezione. E questo riflesso retrocesso costituisce il cuore del "pensiero aistetico". Darò di questo, tuttavia, il seguente abbozzo molto in breve68. 
In modo abbastanza caratteristico, gli autori postmoderni menzionati non tematizzano l'arte fondamentalmente per dire qualcosa su di essa ma per comprendere, a partire dalle percezioni (che essi traggono dall'arte, tra le altre cose), la nostra realtà. Perciò, l'arte non è l'ambito a cui puntare ma l'ambito che fa da modello alla riflessione. Essa può farlo perché rende disponibili delle risorse per la percezione e richiede o libera una particolare capacità di percezione. È tale percepire che conta nel "pensiero aistetico". 
Questo non significa una percezione puramente sensoriale ma una percezione in generale, fondamentalmente una comprensione di fenomeni originari che, come tali, possono essere capiti soltanto per mezzo di atti simili alla percezione e non, per esempio, attraverso l'induzione o la deduzione logica. Questo tipo di percezioni hanno infatti a che fare con l'avere cognizione, il divenire consapevoli, avvertiti e sensibili. Si tratta, cioè, di scovare i significati primi - soprattutto quelli che oltrepassano il sensibile. Devo perciò richiamare ancora una volta la tematizzazione del sublime di Lyotard, il fatto che vi sia un rendersi conto del fallimento della sensibilità e un divenire coscienti del transestetico o dell'anaestetico. Percepire i confini e gli oltrepassamenti dell'estetico - che non avevano un proprio posto nell'estetica tradizionale - diviene centrale per il pensiero aistetico che abbiamo abbozzato sopra. Si potrebbe effettivamente vedere l'intera differenza tra postmodernità e modernità rispecchiata in questa distinzione tra aistetica ed estetica. Poiché in essa tutte le opposizioni menzionate ritornano - consapevolezza dei confini contro pretese di globalità, primato della sublimità contro quello della bellezza, opzione lyotardiana contro quella habermasiana. 

 Pensiero aistetico: un pensiero realistico di oggi 
Per un pensiero capace di percepire come questo - che comincia, cioè, dalla percezione e rimane imbrigliato in ceppi anaestetici; in breve un pensiero aistetico che abbraccia sia l'estetica che l'anaestetica - mi sembra, non perché correntemente alla moda come sospettano alcuni ma per la sua capacità di comprendere e la sua pertinenza alla realtà, essere giunto il momento. Oggi, infatti, - questa è la mia tesi - esso è il pensiero genuinamente realistico, quello che meglio, qui e ora, misura la realtà presente (che assolutamente niente è in grado oggi di misurare). Le prospettive estetiche, che un tempo erano considerate incerte, stanno divenendo, perciò, sempre più vicine alla realtà e sono le più intense per la loro forza di rivelazione69. 
Ma quello che si rivela decisivo per il cambiamento nella pertinenza di un tipo di pensiero - per lo spostamento di enfasi, cioè, da un pensiero logocentrico a uno aistetico - è un cambiamento nella realtà stessa. La realtà del giorno d'oggi è infatti essenzialmente costituita attraverso processi percettivi; cioè, soprattutto per mezzo di processi medi di percezione. Tale realtà può quindi solo essere trattata per mezzo di un pensiero capace di percezione. Questo vale - il che è apparentemente paradossale - anche per i fenomeni anaestetici - dal 26 aprile 1986, il giorno in cui è accaduto il fatto di Chernobyl, noi tutti sappiamo che le minacce decisive di oggi sono di tipo anaestetico, che non possono più essere percepite dai sensi e che solo il danno che causano influenza questi, divorandoli. Solo per qualcuno che è aisteticamente in sintonia, soprattutto per coloro la cui attenzione è rivolta all'oltrepassamento anaestetico dell'estetico, tali scoperte sono attinenti in modo allarmante. 


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