lunedì 22 ottobre 2007

Mattotti. Cinque impressioni di lettura

DI Daniele Barbieri


Uno. Il colore e la materia
La prima cosa che colpisce nelle immagini e nei fumetti di Lorenzo Mattotti è il colore. Sono
passati molti anni da quando comparivano su Alter Alter le prime tavole di Fuochi, eppure i colori
di quell’opera non colpiscono il lettore di oggi meno di quanto colpissero il lettore di allora.
I colori di Fuochi tendono alle campiture piene e uniformi, ma è la grana stessa prodotta dallo
strumento utilizzato, il pastello a olio, a rendere modulate e materiche anche le superfici
dall’apparenza più piatta. Con questa tecnica, i colori di Mattotti godono sia della chiarezza e
autoevidenza dei colori piatti, sia della capacità descrittiva ed evocativa delle sfumature e delle
ombreggiature. Il colore piatto tradizionale del fumetto, in altre parole, conquista la morbidezza del
colore della pittura senza rinunciare alla propria specificità.
Che cosa contrappone, in generale, il colore del fumetto a quello della pittura? Dire che
nell’uno il colore è un mezzo e nell’altra è un fine sarebbe una semplificazione inaccettabile, se non
ci indirizzasse a sua volta verso una soluzione più sensata. Nella pittura, insomma, la distanza tra il
colore, inteso come significante, e il significato dell’opera complessiva è generalmente molto
minore che nel fumetto; la quantità di mediazioni che si interpongono è cioè significativamente più
piccola. Nel fumetto, il colore contribuisce a comporre delle immagini, le quali, insieme con le
parole che le accompagnano, costruiscono un racconto, e il significato complessivo è dato dal
rapporto tra questo racconto e le sue componenti. In pittura, il racconto è un’opzione non
necessariamente influente, e le parole di accompagnamento di solito non ci sono: in molti casi,
forme visive e colori costituiscono la totalità delle componenti da cui estrapolare un senso
dell’opera. In casi estremi può scomparire persino la forma, come nelle opere di Yves Klein, e il
colore rimane l’unica componente.
Tradizionalmente il colore ha nel fumetto una funzione contrastiva. L’immagine in bianco e
nero è in generale più difficile da leggere di quella a colori, perché possiede meno possibilità di
contrasto. Dal punto di vista cromatico, nell’immagine in bianco e nero in prima istanza solamente
l’opposizione tra chiaro e scuro può essere messa in gioco, e in seconda istanza una serie di
opposizioni meno forti possono ricavarsi dall’uso di tessiture e retinature differenti, le quali spesso
fanno le veci del colore. Ma non si tratta di veri colori. Sono piuttosto forme che da colori si
Daniele Barbieri - "Mattotti. Cinque impressioni di lettura", inedito, 1995. 2
travestono, senza raggiungerne la vividezza e la capacità contrastiva. Così rispetto all’immagine a
colori, quella in bianco e nero richiede una maggiore capacità di costruzione da parte dell’autore e
un lavoro interpretativo più intenso da parte del fruitore, perché i mezzi a disposizione di entrambi
sono minori.
È per questa ragione che i fumetti per bambini tendono a essere a colori, e i cattivi editori
ricolorano, di solito malamente, i fumetti nati per il bianco e nero. I colori restituiscono il contrasto,
migliorando la leggibilità, aumentando a poco prezzo la profondità delle immagini - e poco importa
a molti che spesso tradiscano il senso di un’opera nata per farne a meno. D’altro canto questa
chiarezza ha un costo, e questo costo è il colore piatto.
Non ci sono infatti solamente ragioni economiche dietro all’uso dei colori piatti nel fumetto,
ma anche ragioni percettive. L’immagine del fumetto richiede una lettura tendenzialmente rapida -
non perché il suo contenuto sia futile, ma perché il suo significato si trova solo nel rapporto con le
immagini che la precedono e la seguono. Il colore migliora questa rapidità della fruizione solo a
condizione di non imporsi a sua volta come oggetto di osservazione, solo a condizione, cioè, di
essere semplice, immediato, non problematico.
Vi sono autori di fumetti che hanno fatto della negazione di questa regola un punto di poetica,
con esiti dei più vari, spesso positivi quando il rallentamento così prodotto nella lettura trova
appoggio nella logica complessiva del testo, oppure negativi altrimenti - di solito quando la
complessificazione del colore si risolve in semplice virtuosismo pittorico.
Il colore di Mattotti, in questo senso, nasce come un colore fumettistico, e quindi vivido, di
immediato contrasto e facile leggibilità. Tuttavia, poiché le storie che i fumetti di Mattotti
raccontano affrontano temi delicatamente psicologici, questa facilità di lettura va necessariamente
sposata a qualcosa che non la renda troppo povera. Dev’essere insomma possibile utilizzare i colori
al tempo stesso per permettere la fluidità della lettura e per puntualizzare con estrema precisione gli
stati d’animo e le oscillazioni di situazione.
Non che al colore vada demandato tutto il carico, tutta le responsabilità di questi effetti di
senso; vi sono altre componenti del testo a fumetti che se ne fanno parzialmente carico. Ma nella
poetica di Mattotti il colore possiede un ruolo decisivo.
In Fuochi non è difficile individuare una serie di ritmi del colore. All’interno della singola
vignetta i contrasti di luce si accompagnano ai contrasti tonali tra gli azzurri e i gialli, tra i verdi e i
rossi - oppure sono le sfumature tra toni simili a dominare. Tra le vignette, il rapporto tra quelle
tonalmente omogenee e quelle tonalmente contrastate corrisponde al rapporto, nel racconto, tra
rilassamento e tensione - mentre a livello di grandi unità narrative, i colori azzurro violacei della
corazzata si contrappongono a quelli verdi e gialli dell’isola durante il giorno e ai rossi e ai neri
degli incubi della notte. L’alternanza delle fasi cromatiche corrisponde a quella delle fasi narrative,
a tutti e tre i livelli.
Per Mattotti, il rapporto tra colore e “matericità” è molto stretto. Il gesto stesso del disegnatore
che stende la sua materia cromatica sulla carta è un gesto sensuale e possessivo. La matericità del
colore allude implicitamente alla matericità delle cose che rappresenta; metaforicamente, è quella
stessa matericità. Attraverso la stesura del colore, e attraverso l’effetto che ne risulta, il mondo
rappresentato e raccontato dall’autore diventa estremamente presente al lettore, quasi vivo.
Qui, dunque, il colore non è più mimetico, non è più imitazione di quello del mondo che rinvia
alle cose in virtù della sua somiglianza. In tanti casi questa somiglianza non c’è per niente, nelle
immagini di Mattotti. È piuttosto la materialità del colore a farsi metafora della materialità delle
cose. Con questa invenzione linguistica, il colore di Mattotti acquista la freschezza che di solito il
colore del fumetto non possiede - facendosi protagonista della significazione senza togliere spazio
alle altre componenti del testo.
Il colore di Mattotti, insomma, è un colore fumettistico perché rispetta la regola della
semplicità interpretativa - ma al tempo stesso è un colore che inventa un modo nuovo per rendere
vivido il mondo che costruisce. La magia dell’opera di Mattotti non è dovuta solo al suo uso del
colore, ma la sua invenzione cromatica è già da sola un meccanismo semantico potentissimo,
capace di ricaricare di novità mille colori mille volte visti.

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