martedì 29 giugno 2010

La tecnica creativa artistica dell’acqua e del fuoco


IL PROCESSO ARTISTICO DELL’ACQUA E DEL FUOCO
NELL’ATTO CREATIVO


a cura di Marco Calì
Artista-pittore, Artcounselor
Psicologia in Movimento – Bistrò …Punti di Vista
Via Giovanni Pittaluga, 22 - Roma
Domenica 21 gennaio 2007, ore 20.00


La tecnica creativa artistica dell’acqua e del fuoco procura dei passaggi tonali e cromatici, molto graduali e molto morbidi tra la figura e lo sfondo. Questa modalità creativa permette alle figure che appaiono all’interno della composizione artistica, che chiameremo “soggetto”, di essere in stretto legame con lo “sfondo” della composizione stessa. Esse sono in stretto rapporto così da indurre la sensazione che l’uno appartiene a l’altro, in modo tale che il “soggetto” è il prolungamento dello “sfondo”. Allo stesso tempo lo “sfondo” acquisisce valore grazie al ruolo svolto dal “soggetto” stesso. La tecnica dello sfumare i contorni innesca un movimento in avanti, durante il quale le figure pittoriche si rivelano allo spettatore, emergendo progressivamente dallo “sfondo” verso un piano visivo successivo.
Il “soggetto”, quindi, appare dallo “sfondo”, per poi scomparire in un secondo momento e lasciare spazio all’apparizione di una figura successiva. Attraverso una paziente osservazione la mente riesce a riconoscere gli elementi creativi. Talvolta è lo “sfondo” che prevale sulle figure “soggetto”. Talvolta, invece, è il “soggetto” che emerge dallo “sfondo”. Tutto questo varia a seconda degli spostamenti dello sguardo del fruitore, dal suo stato d’animo, e a seconda di come le sue esperienze sensoriali possono evolvere durante l’esperienza fruitiva.
La tecnica dello sfumare i contorni produce una connessione tra il comportamento del “soggetto”, cioè la figura, e lo “sfondo”, così come “Il corpo”, secondo Perls, ”è anche lo sfondo particolare a contrasto del quale è organizzata e compresa la figura del comportamento” di una persona.
Tutto ciò non sarebbe possibile quando le figure creative dipinte sono ben delineate da un contorno, che delimita in modo irreversibile qualsiasi possibilità relazionale tra il “soggetto” creativo e lo “sfondo” creativo.
L’acqua e il fuoco, sono elementi primordiali, e come tali in natura sono contrapposti. Il fuoco è rapido, irruente, è l’elemento dell’attimo impercettibile che non si può trattenere. Esso non esiste nel “prima” e neanche nel “dopo”. Così come, secondo Bachelard “ l’essere umano non è mai fisso, non è mai in un luogo, non vive mai nel tempo in cui gli altri vedono vivere, dove egli stesso dice agli altri di vivere.” Al contrario l’elemento “acqua” è fluido, può arrivare ovunque, e può penetrare la materia più dura come la roccia. Nel testo del Tao-Te-Ching l’acqua viene paragonata a “La bontà suprema ... La bontà dell’acqua consiste nel fatto che essa reca profitto ai diecimila esseri senza lottare. Buon per il cuore, la profondità; buona per i rapporti sociali, l’umanità; buono per il governo, l’ordine.”
Nel corso dell’atto creativo l’elemento “acqua” non ha più il ruolo di liquido inteso come “medium pittorico” per diluire il pigmento, ma diventa essa stessa soggetto creativo, che, insieme all’elemento “fuoco”, risulta essenziale per il concepimento del contenuto artistico, il quale non può sussistere senza contaminazione attiva tra i due elementi. Il gioco consapevole della relazione tra acqua e fuoco permette la manifestazione dell’ “imaginatio”, così importante nella messa in opera dell’energia trasformatrice che è quella della vita.
L’atto creativo è un processo lungo e complesso, che si basa sull’accettazione dei vissuti a livelli diversi dell’esperienza artistica. Esso matura nel tempo la consapevolezza artistica, attraverso una confluenza di esperienze a diversi livelli, in quanto, come sostiene il critico Achille Bonito Oliva: “l’arte diventa il luogo dove l’artista, attraverso il fare, realizza una conoscenza del mondo, grazie a una identità di pensiero e azione. Ora non è importante il risultato, l’opera compiuta, ma il processo atto a promuoverla”.

mercoledì 9 giugno 2010

Una volta i colori del mondo

A cura di danilo picchiotti


Una volta i colori del mondo cominciarono a litigare: tutti reclamavano di essere il migliore, l'indispensabile, il preferito.
Il Verde disse: "E' chiaro che io sono il più importante. Sono l'emblema della vita e della speranza. Sono stato scelto per l'erba, le foglie, gli alberi, senza di me gli animali morirebbero. "
Il Blu lo interruppe: "Pensi solo alla terra, ma considera il cielo e il mare. L'acqua è la fonte della vita. Senza la mia pace, ognuno di voi sarebbe nulla."
Il Giallo rideva sotto i baffi: "Siete tutti così seri! Io porto il sorriso, la felicità e il calore nel mondo. Il sole, la luna e le stelle sono gialle. Senza di me non ci si divertirebbe."
L'Arancione cominciò a cantare le proprie lodi: "Io sono il colore della salute e della forza. Porto le più importanti vitamine. Pensate alle carote, alle zucche, alle arance, ai mango. Non vado in giro a bighellonare tutto il giorno, ma quando riempio il cielo all'alba o al tramonto, la mia bellezza è così folgorante che nessuno rivolge più il pensiero a qualcuno di voi."
Il Rosso non sopportò più a lungo e gridò: "Io sono il vostro sovrano, sono il sangue della vita! Sono il colore del pericolo e del coraggio. Metto il fuoco nelle vene. Senza di me la terra sarebbe vuota come la luna. Sono il colore della passione e dell'amore."
Il Viola andò su tutte le furie. Era molto alto e parlò con grande superbia: "Io sono il colore della regalità e del potere. Re, capi e vescovi hanno sempre scelto me come segno d'autorità e saggezza. La gente non discute quello che dico, ascolta e obbedisce."
E infine parlò l'Indaco, molto più calmo degli altri ma con ancor maggiore determinazione: "Pensate a me. Sono il colore del silenzio. Mi si nota appena, ma senza di me diventereste tutti superficiali. Io rappresento il pensiero e la riflessione, il crepuscolo e l'acqua profonda. Avete bisogno di me come contrappeso, per la preghiera e per la pace interiore."
Così i colori continuarono a vantarsi, ciascuno convinto della propria superiorità. I loro contrasti divennero sempre più forti. Poi ci fu un lampo, e un tuono rombò. La pioggia cominciò a cadere implacabilmente. I colori cominciarono a temere il peggio e si stringevano fra loro per farsi coraggio. Nel bel mezzo della tempesta, la pioggia cominciò a parlare: "Pazzi, che lottate fra di voi cercando di dominarvi l'un l'altro! Non sapete che siete stati creati ciascuno per una ragione diversa, unica e particolare? Unite le mani e venite con me." Facendo com'era stato richiesto loro, i colori si diedero le mani. La pioggia continuò: "D'ora in poi, quando pioverà, ognuno di voi attraverserà il cielo in un grande arco, per ricordarsi che potete vivere in pace. Che l'arcobaleno sia il segno della speranza nel futuro."E così, ogni volta che un buon acquazzone lava il mondo e l'arcobaleno appare in cielo, abbiamo una buona occasione per ricordare di rispettarci l'un l'altro.

domenica 31 gennaio 2010

La storia di Edward Hopper

A CURA DI DANILO PICCIOTTI


La storia di Edward Hopper è indissolubilmente legata al Whitney Museum of American Art che ospitò varie mostre dell’artista, dalla prima nel 1920 al Whitney Studio Club a quelle memorabili nel museo, del 1960, 1964 e 1980. Dal 1968, grazie al lascito della vedova Josephine, il Whitney ospita tutta l’eredità dell’artista: oltre 3000 opere tra dipinti, disegni e incisioni.

A cura di Carter Foster, conservatore del Whitney Museum che ha concesso per l’occasione il nucleo più consistente di opere, la rassegna, realizzata con il coordinamento scientifico di Carol Troyen, vanta tuttavia altri importanti prestiti dal Brooklyn Museum of Art di New York, dal Terra Foundation for American Art di Chicago e dal Columbus Museum of Art.

Suddivisa in sette sezioni, seguendo un ordine tematico e cronologico, l’esposizione italiana ripercorre tutta la produzione di Hopper, dalla formazione accademica agli anni in cui studiava a Parigi, fino al periodo “classico” e più noto degli anni ‘30, ‘40 e ’50, per concludere con le grandi e intense immagini degli ultimi anni. Il percorso prende in esame tutte le tecniche predilette dall’artista: l’olio, l’acquerello e l’incisione, con particolare attenzione all’affascinante rapporto che lega i disegni preparatori ai dipinti: un aspetto fondamentale della sua produzione fino ad ora ancora poco considerato nelle rassegne a lui dedicate.

Le prime sezioni “Autoritratti”, “Formazione e prime opere. Hopper illustratore” e “Hopper a Parigi” illustrano un gruppo di promettenti autoritratti, le opere del periodo accademico e quindi gli schizzi inondati di luce e le opere del periodo parigino, come il noto dipinto Soir Bleu (1914). La sala dedicata a “La definizione dell’immagine: Hopper incisore”, con capolavori fra cui Night Shadows (1921) e Evening Wind (1921), mette in evidenza la sua tecnica elegante e quel “senso di incredibile potenzialità dell’esperienza quotidiana” che riscuote grande successo e che segna l’inizio di una felice carriera.

Nella sezione titolata “L’elaborazione di Hopper: dal disegno alla tela”, che celebra la straordinaria mano di Hopper disegnatore e il suo metodo di lavoro, viene presentato un gruppo significativo di disegni preparatori per esempio per Morning Sun (1952) e per il precedente New York Movie (1939), nei cui bozzetti si può vedere chiaramente come prenda forma la figura femminile: all’inizio è quasi un ritratto della moglie Jo (sua unica modella) per poi giungere alla “maschera” del cinema - uno dei temi prediletti dall’artista - assorta nei suoi pensieri e bella come una diva. Questa sezione svela quanto il “realismo hopperiano” sia spesso il frutto di una sintesi di più immagini e situazioni colte in tempi e luoghi diversi e non una semplice riproduzione dal vero. In mostra eccezionalmente anche uno dei suoi i famosi taccuini, l’Artist’s Ledger Book III, che riempiva insieme alla moglie, dove si vedono abbozzati molti dei suoi dipinti a olio.

Nelle sale dedicate a “L’erotismo di Hopper” la mostra riunisce invece alcune delle più significative immagini di donne in stati contemplativi, perlopiù nude o semi svestite, da sole e in interni, che insieme alle opere della sezione "L’essenza dell’artista. Tempo, luogo e memoria" illustrano al meglio la poetica dell’artista, il suo discreto realismo e soprattutto l’abilità nel rivelare la bellezza nei soggetti più comuni, usando spesso un taglio cinematografico, molto apprezzato dalla critica.

Hopper è stato per lungo tempo associato a suggestive immagini di edifici urbani e alle persone che vi abitavano, ma più che i grattacieli – emblemi delle aspirazioni dell’età del jazz – egli preferiva le fatiscenti facciate rosse di negozi anonimi e i ponti meno conosciuti. Tra i suoi soggetti favoriti vi sono scorci di vita nei tranquilli appartamenti della middle class, spesso intravisti dietro le finestre da un treno in corsa, immagini di tavole calde, sale di cinema, divenute delle vere e proprie icone, come testimoniano alcuni celebri capolavori esposti: Cape Cod Sunset (1934), Second Story Sunlight (1960) e A Woman in the Sun (1961). Hopper realizza anche notevoli acquerelli, durante le estati trascorse a Gloucester (Massachusetts), nel Maine, e a partire dal 1930, a Truro (Cape Cod). Difficile vedere il mare in quelle opere che raffigurano piuttosto dune di sabbia arse dal sole, fari e modesti cottage, animati da sensuosi contrasti di luce e ombra. Dipinti che evocano sempre delle storie pur lasciando irrisolte le motivazioni dei personaggi.



venerdì 1 gennaio 2010

"La pittura dell'acqua e del fuoco 2006" Di Marco Cali
















A cura di Picchiotti Danilo

Vorrei riproporre all'inizio del 2010 questo bellissimo articolo di MARCO CALI " gia' pubblicato sul sito: WWW.associazioneilcuore.it (link) www.associazioneilcuore.it/articoli/acqua e fuoco.pdf- Sul processo artistico dell'acqua e del fuoco nell'atto creativo". 
Anticamente arte era intesa come capacità, talento, ingegnosità. “Il termine “arte” dal latino ars-artis, ha il significato di “abilità di fare”. 
Un’atteggiamento artistico preannuncia un prodotto creativo, il quale, come sosteneva Kandjnsky, “è determinato dalla necessità interiore”, che risulta strettamente collegato a “leggi” che regolano e armonizzano i vissuti personali.
Spesso il fare arte partorisce prodotti ricchi di contenuti socio-culturali e spirituali che determinano una spinta innovativa rispetto ai riferimenti culturali già affermati all’interno di una società. “L’artista” come lo definisce Joseph Beuys, “è il catalizzatore della creatività degli individui.”
Ben altra cosa è il desiderio di esprimersi creativamente, che è alla portata di tutti. Ogni essere umano porta dentro di sé le informazioni necessarie per essere in grado di tracciare una forma o un colore, poiché, come disse l’artista Dubuffet (1946), "il bisogno d’arte è per l’uomo un bisogno primordiale". In altre parole l’atto creativo è la manifestazione pura del semplice fatto di esistere al mondo. 
La pratica creativa restituisce, all’adulto come al bambino, una dimensione armoniosa. Lo psichiatra Carl Gustav Jung, riprendendo il pensiero di Kandjnsky sopra citato, ci dice che “l’atto creativo” è un mezzo attraverso il quale la persona può entrare in contatto con i contenuti interni e dargli così voce.
Proprio per questo motivo la pratica dell’espressione creativa, di tipo grafico-pittorico e plastico-manuale, affiancata da una consapevolezza scientifica, è funzionale in ambito della salutogenesi per ottimizzare le personali condizioni di vita in caso di difficoltà.
Attraverso la pratica della creatività, il professor Edoardo Giusti e la dottoressa Isabella Piombo (2003), sostengono che “la persona vede ciò che produce come qualcosa di profondamente suo, d’interiore, che lo aiuta ad entrare in relazione con l’esterno, come una finestra sul mondo. Tutto ciò non sarebbe esistito senza le conquiste dell’arte moderna, che ha introdotto un nuovo rapporto con l’opera e ha rivalutato l’arte infantile, come linguaggio spontaneo, portatore di messaggi profondi.” Joseph Campbell scrive “L’arte è l’esperienza che trasforma” capace di concepire la bellezza che è nello stato delle cose, la cui forma manifesta è modellata dal bisogno dei contenuti latenti, a prescindere se sono negativi o positivi.
Tutto ciò assume una risonanza particolare quando gli strumenti creativi utilizzati non sono i pennelli o le matite, ma viene fatto uso di elementi naturali primordiali come il liquido dell’acqua, che non ha più il ruolo di diluente pittorico, ma diventa essa stessa soggetto creativo, che insieme alla fiamma del fuoco, risulta essenziale per il concepimento del contenuto creativo.
L’elemento “acqua” si identifica simbolicamente con il personaggio femminile shakespeariana di Ofelia, meglio identificata nel significato del “Risveglio” (Marco Calì 1999), e l’elemento “fuoco”, “l’ultra-vivente” come lo definisce il filosofo Bachelard, l’elemento maschile della conoscenza che Prometeo ruba agli dei per donarlo agli umani. Il gioco consapevole della relazione tra acqua e fuoco permette la manifestazione dell’“imaginatio”, così importante nella messa in opera dell’energia trasformatrice che dà forma al “sogno” vitale, in cui, l’elemento “acqua” sostiene la “bambina” interiore senza affogarla, così l’elemento “fuoco” riscalda il “bambino” interiore senza bruciarlo.
DI MARCO CALI'