sabato 29 novembre 2008

Per i creativi quello che conta è sviluppare e coltivare la loro creatività.

A CURA DI D. PICCHIOTTI

Per i creativi quello che conta è sviluppare e coltivare la loro creatività. Di qui deriva la parte fondamentale della loro soddisfazione. Possono essere nuove idee e soluzioni, ma l’aspetto fondamentale risiede nel modo, nello stile del loro lavoro e nell’esperienza stessa della creatività.
Sono attentissimi alla motivazione, che non è un dato, un patrimonio acquisito una volta per tutte, un tesoro nascosto nel loro animo, ma piuttosto un talento da investire e sviluppare costantemente, un patrimonio da rinnovare e arricchire.
La motivazione è l’energia stessa che li attraversa, che alimenta il loro lavoro e prima ancora il loro essere e sentire di essere.
Troverete i creativi sempre impegnati in un percorso interiore, spirituale, perché la vita interiore è il luogo dove le immagini dei loro sogni prendono consistenza e luminosità. Li troverete impegnati nella cura di sé perché la creatività è vista come un traboccare di vitalità. I creativi sanno che non si può dare quel che non si ha. E ciò che bisogna avere è entusiasmo, passione, slancio, gusto per l’ideazione.
Molti creativi sono impegnati in un lavoro di produzione di immagini e simboli che aspirano a diventare i simboli della vita creativa stessa. Perché la cultura della creatività è ancora in formazione e suscita, con gli stimoli e le sfide che il superamento del mondo industriale comporta, una potente corrente di creazione di linguaggio, di immagini, di simboli che aspira ad una visione matura e adeguatamente rappresentativa della creatività stessa.
Per lo più amano la semplicità la funzionalità ma strettamente connesse con il buon gusto estetico.
L’estetica dei creativi è impegnata nella espressione delle emozioni e dei sentimenti, e di quell’atmosfera magica che è il contesto coerente in cui nascono le intuizioni.
La formazione – in gran parte, autoformazione – dei creativi aspira a superare il livello degli espedienti e delle tecniche con cui hanno fatto i primi passi nella creatività, Vogliono partorire una filosofia della creatività, capace di raggiungere la radice delle proprie opzioni, alimentare la sorgente stessa del loro lavoro e del loro sentire, tenere insieme uno stile di vita che aspira a diventare cultura universale.
Le conversazioni tra creativi sono sempre conversazioni creative, protese ad alimentare la creatività, a far scoccare scintille nella testa, ad aprire nuovi orizzonti là dove sembravano chiusi.
L’ambiente in cui vivono e lavorano ha aspetti bohémien ma senza lo squallore e il tormento di certi ambienti bohémien dell’inizio del secolo XX. Un caos pulito, una molteplicità nutritiva senza polvere, un turbine di stimoli visivi e musicali.
I creativi sono impegnati nel contempo a partorire le loro creazioni e a inventare modi nuovi e strategie originali per far loro spazio nella società e nel mercato, spesso reinterpretando e ridefinendo territori concettuali che sembravano cristallizzati per sempre dalle regole del gioco e dalla scienza del management.
Cercano modi per finanziare il loro tempo di lavoro creativo, aggirando ostacoli e trappole apparentemente insormontabili; cercano nuove forme che realizzino la visibilità delle loro opere e di loro stessi, uscendo dalla scarsa capacità comunicativa del già detto e del ripetuto.
Per lavorare in team i creativi trovano non poche difficoltà, perché lo stile di collaborazione di cui hanno bisogno deve rispettare pienamente il loro spazio di libertà e di manovra. Ma i creativi stanno sviluppando una reale coscienza delle regole del lavoro di team proprio a partire dalla loro esperienza individuale. Un creativo sa ed accetta di essere un intero gruppo. In lui convivono diverse istanze, quasi diverse persone. E il creativo impara in proprio a creare sinergia tra queste varie istanze, a trovare i modi naturali per far combaciare le varie tessere della sua personalità perché formino un disegno unitario e si muovano costantemente nella stessa direzione di marcia.
I creativi sono impegnati a trovare una sintesi felice, postindustriale, tra modalità del mondo dell’artigianato e la realtà industriale. Sono entusiasti della tecnologia perché la tecnologia consente oggi di fare artigianalmente in casa propria ciò che nel passato doveva essere demandato a diverse imprese esterne.
I creativi vivono.
(liberamente tratto da testi vari)

mercoledì 26 novembre 2008

la Musica è affascinante, enigmaticamente ammaliante, non meno di quanto lo sia l'idea di un Dio

RICERCHE A CURA DI D. PICCHIOTTI

Ci siamo mai chiesti perché la Musica, l'arte astratta per antonomasia, nonché la regina stessa delle arti, disponga di così innumerevoli quantità d'armi per la "cattura" dell'animo e del corpo umano?
Esaltare, con la grandiosità e la forza dei suoi cori; deprimere, con la malinconia e la tristezza delle sue nenie; percuotere, con l'energia e la tribalità dei suoi ritmi; accarezzare, con la dolcezza e la soavità delle sue melodie. Ed ancora, commuovere, rilassare, irare, addormentare, svegliare, stordire, intimorire e mille altre cose ancora. Per non parlare poi dei " si dice che...", in cui Essa può guarire o procurare malattie, incantare animali, immobilizzare pesci, render mansuete le bestie, ed inoltre far gonfiare e traboccare fiumi, far germogliare piante, pacare tempeste.
Insomma sembra proprio che ci governi. La Musica ha il potere di gestire lo stato d'animo ed il comportamento di tutto ciò che sia ad Essa esposto. Per cui la Musica è affascinante, enigmaticamente ammaliante, non meno di quanto lo sia l'idea di un Dio che ci ha creato o di un Aldilà che ci sta aspettando. Sono queste le caratteristiche che hanno attribuito alla Musica una connotazione divina, quindi estranea ed anteriore all'uomo.
A ben vedere l'operato e l'influsso che essa esercita sull'Uomo non è dissimile da quello prodotto, sullo stesso, dai transiti degli Astri. Ed è quì praticamente inutile illustrarne le affinità, tanto forte ne è l'analogia.
Quello che mi propongo, invece, è di accennare ad una riflessione storica sul paragone, una riflessione cioé in cui la Storia abbia la possibilità di confermare come di smentire il significato di ciò su cui stiamo riflettendo.
Diamo quindi un veloce sguardo ad alcuni punti che potrebbero interessare il nostro argomento.

La tradizione orfeico-pitagorica
Una delle più importanti ipotesi sull'origine e sulla provenienza della Musica ci giunge dalla tradizione orfeico-pitagorica.
L'Apollo Iperboreo dalla "coscia d'oro" (Pitagora, per intenderci), c'insegna come la Musica non sia altro che un pallido riflesso di quel divino suono prodotto dai moti armonici dei Dieci corpi celesti che ruotano attorno ad un Fuoco centrale ( di quì le dieci note del Salterio Decacorde, lo strumento mistico che svelò a Gioacchino da Fiore il mistero della Trinità).
Per Pitagora quindi lo studio della Musica e dell'Astronomia, già note dai tempi dei Caldei, condotto su leggi matematiche, costituirebbe un notevole tramite per raggiungere la Conoscenza.
Non è indegno di nota il fatto che tale ipotesi sistematica abbia avuto ampio consenso in tutto il mondo culturale di allora, e abbia influenzato attivamente il pensiero di grandi personaggi come Platone, Aristotele e Plotino ( per citare i più autorevoli), tanto da sopravvivere anche alle scoperte rivoluzionarie di Copernico e Galileo.
Agrippa e il De occulta Filosofia
Fin dagli arbori della Cultura post-atlantidea troviamo quindi Musica ed Astri legati indissolubilmente in un rapporto che verrà più chiaramente esposto in quella meravigliosa sintesi del sapere umano (ed iniziatico) cinquecentesco che è il De occulta Filosofia di Cornelius Agrippa.
Il noto, seppur misterioso filosofo di Nettesheim, facendo pieno riferimento al sistema dei pitagorici, riporta ( nei capitoli XXIV, XXV, XXVI della sua opera) uno schema di corrispondenza tra Muse, corde del Salterio, scale musicali e pianeti ( e che troviamo già anche nel Pratica Musice di Gafurius (figura 1), andandolo ad inserire nel capitolo dedicato al "Mondo celeste".
Quest'ultima considerazione è fondamentale poiché introduce a quella concezione dell'Universo che vedeva il Cosmo diviso in tre livelli:

- Mondo Elementare, costituito dai quattro elementi, tutto il terrestre quindi.
- Mondo Celeste, costituo dai Corpi celesti e dalle Stelle fisse.
- Mondo Intellettuale, occupato dal Creatore e dalle Sue dirette emanazioni.

Ad ognuno dei tre Mondi veniva inoltre riferito un particolare tipo di Conoscenza, che si trovava quindi scissa in tre grandi gruppi di Sapere:

- Magia Naturale (Fisica), che studiava i fenomeni che avvengono nel mondo organico ed inorganico.
- Magia Celeste (Matematica), che si occupava del moto dei Corpi celesti.
- Magia Cerimoniale (Teologia), che trattava di Dio e di tutte le creature divine.

L'importanza di aver dovuto ricordare il sistema di Agrippa s'identifica con la necessità di mostrare in quale circostanza egli si sia occupato della Musica: il Mondo Celeste. Questo, che governava il Mondo Elementare e dal Mondo Intellettuale era retto, faceva da
tramite alle influenze che dal Creatore erano dirette alla Terra, ed era quindi anche il terreno dell'Astrologia. Abbiamo perciò una solare equiparazione di MUSICA e ASTROLOGIA: da un lato la Musica come dono, messaggio proveniente dalla Divinità e recepito sulla Terra dall'uomo, dall'altro l'Astrologia come prodotto dello sforzo umano di una conoscenza superiore.
Sono entrambi due tentativi di comunicazione tra gli stessi estremi.
Per cui anche Agrippa non riteneva certo fuori luogo l'idea che studiando gli effetti della Musica sull'animo umano e riferendoli a teorie astrologiche, si possa giungere ad una più alta Conoscenza. Prova ne è il largo successo riscosso in tutto il mondo musicale rinascimentale, decretando, per un certo verso, lo svilupparsi della polifonia.

L'antroposofia di Steiner

Ma è in Rudolf Steiner (1861-1925) che il nostro trinomio di partenza ritrova il fattore mancante: l'UOMO.
La necessità di aver dovuto fare un balzo di quattro secoli - escludendo quindi la possibilità di parlare di personalità eminenti quali Mozart, Goethe, Schopenhauer, Wagner, Nietzsche e molti altri ancora - viene dettata dal fatto che mai come con Steiner si era indagato tanto intimamente sull'atavico legame tra Umanità, Musica e Terra.
L'autore della Scienza Occulta (1910), oltre a tracciare le note linee di sviluppo parallelo tra le reincarnazioni dell'Uomo e quelle della Terra, elabora tra l'altro anche una similitudine tra l'evoluzione umana e quelle della Musica, o meglio della comprensione che l'Uomo ha e ha avuto della Musica ( Steiner predilige di parlare di "Esperienza musicale sperimentabile dall'Uomo").
Ma vediamo di seguire sommariamente le tappe del suo discorso:
L'Uomo è il risultato della compenetrazione di tre diversi livelli del proprio Essere:
- il corpo Fisico, ovvero l'insieme di tutte le strutture materiali che compongono il corpo vero e proprio ( apparato osseo, muscolare, epidermico, etc.); lo abbiamo in comune con il mondo minerale.
- il corpo Eterico, il complesso di quelle attività vitali che ci mantengono in vita (apparato circolatorio, linfatico, respiratorio etc.); lo abbiamo in comune col mondo vegetale.
- il corpo Astrale, dimora degli istinti, degli impulsi e dei desideri che ci impongono di agire (fame, sesso, conservazione della vita etc.), corpo che abbiamo in comune col mondo animale.
La consapevolezza, poi, che noi tutti abbiamo di questi corpi, dà luogo ad un quarto livello: l'IO, che ci distingue dagli animali e che caratterizza l'evoluzione umana sulla Terra. Gli altri corpi li abbiamo infatti ricevuti graduatamente ( durante l'arco di miliardi d'anni ), in passate "reincarnazioni" della Terra stessa ( l'Antroposofia chiama solo indicativamente Antico Saturno, Antico Sole, Antica Luna quei pianeti in cui noi abbiamo assunto rispettivamente il corpo Fisico, l'Eterico, e quello Astrale). L'Uomo, così come la Terra, dovrà
ancora passare attraverso altri tre gradi della propria evoluzione: il Sé spirituale, lo Spirito vitale e l'Uomo-Spirito, che acquisiremo quando la Terra sarà rispettivamente il Nuovo Giove, la Nuova Venere e il Nuovo Vulcano.
L'"ottava" musicale (i sette toni più i cinque semitoni) si evolve anch'essa ed è attualmente organizzata in modo simile all'Uomo, affinché possa egli sperimentarla (fig.2):
I primi quattro gradi della scala ( do, do#, re, re#) agiscono sull'Uomo facedone vibrare il corpo fisico, i quattro intermedi (mi, fa, fa#, sol) operano sul corpo eterico, mentre gli ultimi quattro (sol#, la, la#, si), sul corpo astrale.
Alla successiva ottava corrisponde l'Io, il quarto livello in cui si sperimenta in fondo tutta la scala.
L'esperienza musicale percorre quindi l'Uomo per intero, di modo che ogni singolo intervallo tra una nota e l'altra assuma in egli un determinato significato:

- l'intervallo di 2a (maggiore e minore) provoca sconcerto, asfissia melodica.
- l'intervallo di 3a (maggiore e minore) è proprio dell'interiorità umana e suscita debole gioia e
tristezza.
- nell'intervallo di 4a (giusto ed eccedente) ci si senti incerti, sospesi come in un precario
equilibrio: è infatti un intervallo di confine tra il corpo Fisico e quello Eterico, tra il mondo
umano e quello divino indicato da
- l'intervallo di 5a (giusto ed eccedente), in cui l'uomo sperimenta la piacevole sensazione del
rapimento dal proprio essere, che avviene per mano divina; ritrovandosi poi potenziato in
un'altra condizione.
- l'intervallo di 6a (maggiore e minore) indica infatti un felice risveglio, il ritrovarsi in un
ambiente soavemente bucolico, ma non certo reale.
-l'intervallo di 7a (maggiore e minore) infonde dolore e malinconia, poiché è il più lontano, e
perciò simboleggia il ricordo, la Memoria. E' tra i più notevoli perché, oltre al fatto che con esso
si sperimenta tutta la scala musicale, rappresenta inoltre, come la 4a, un momento di
transizione, di passaggio dalla zona astrale ( quella appunto della 7a) ad un livello superiore
del proprio Essere, l'Io, indicato ne
- l'intervallo di 8a, che ci conduce a possedere di nuovo noi stessi.

Per quanto riguarda la provenienza della Musica, Steiner si mostra tacitamente d'accordo con la tesi pitagorica: i suoni cosmici prodotti dal moto dei Pianeti, e residenti nel DEVACHAN - il mondo dei suoni fluttuanti che il nostro corpo Astrale attraversa quando si libera dalla "prigionia" del corpo Fisico (durante il sonno) - raggiungono le sostanze terrestri che, sotto l'influenza di tali vibrazioni, cominciano a "danzare". In tal modo ogni elemento terrestre ha un suo corrispettivo negli Astri, che plasmano la Terra attraverso la Musica.
Credo che a questo punto la traccia che ho voluto fornire sia sufficiente per favorire altre riflessioni riguardo all'argomento ASTRI-MUSICA-UOMO, che personalmente ritengo possa costituire un solido appiglio nella scalata della VERITA', nella quale però, oltre al pericolo di non avere l'attrezzatura adatta, si corre anche il rischio, una volta raggiuntala, d'identificarla con la CONOSCENZA, quando poi di questa non ne è che un infinitesima e relativa componente.
(liberamente tratto da testi vari) 
by Jon Clayt Graziano

Luce, colori, effetti, curiosita', terapie e salute "La cromoterapia "

RICERCHE A CURA DI D. PICCHIOTTI

L'influenza che i colori hanno sui nostri stati d'animo è nota a tutti (o, almeno, dovrebbe esserlo!).
Ma i colori, se opportunamente usati, possono essere di grande aiuto anche nei disturbi del corpo fisico, offrendo una valida alternativa, quando sia possibile, all'uso indiscriminato di farmaci.
La cromoterapia ha delle solide basi scientifiche e viene applicata perfino in qualche reparto ospedaliero.
Le vibrazioni dei colori hanno un'azione riequilibrante sul metabolismo cellulare.
E' stato dimostrato da esami di laboratorio che le cellule, in condizione di salute, emettono una certa luce colorata, che varia a seconda del tessuto al quale appartengono. Se le cellule di un certo tessuto si "ammalano", ossia smettono di funzionare in modo ottimale, la loro emissione cromatica cambia ed influenza in tal senso tutte le cellule vicine. Applicando il colore appropriato, in base alla legge fisica della risonanza è possibile riportare il sistema alla sua originaria condizione di equilibrio.
Questa la base scientifica della cromoterapia. Ma il vero valore dei colori va ben al di là di una semplice osservazione e sta nei risultati. La cromoterapia funziona sempre, anche su quei soggetti per i quali è da escludere un'azione di suggestione, come, per esempio, i neonati, gli animali e le piante.
D'altra parte, tutti usiamo la cromoterapia pur senza saperlo: imparare ad usarla con consapevolezza non può fare altro che tradursi in vantaggi concreti per la nostra vita quotidiana.

Che cos'e'

La cromoterapia è una medicina alternativa che usa i colori per aiutare il corpo e la psiche a ritrovare il loro naturale equilibrio. I colori possono essere assorbiti in diversi modi: attraverso gli alimenti, attraverso la luce solare, attraverso le onde elettromagnetiche della luce, attraverso il bagno, attraverso la meditazione, attraverso la visualizzazione.
In particolare, la cromoterapia con onde elettromagnetiche è l'utilizzazione della luce colorata che, all'interno di una precisa lunghezza d'onda, penetra nei tessuti creando le condizioni di interagire con le cellule ripristinando l'equilibrio elettrico e chimico dell'omeostasi cellulare migliorandone le funzioni biologiche.
Anche questa cromoterapia non cura i sintomi ma scende alle radici dello squilibrio e non lascia, come alcuni farmaci, residui dannosi che il corpo deve faticosamente eliminare. Non ci si deve stupire di fronte al fatto che le irradiazioni colorate agiscono sui nostri stati emotivi, sull'andamento del nostro stato psichico e sul nostro corpo favorendo così l'equilibrio, la calma e il benessere fisico.
Proprio per questi motivi sempre più ricercatori e medici si stanno concentrando nell'analisi di questa medicina alternativa e più persone si stanno con essa curando data per certa l'influenza che i colori hanno sulla nostra psiche, sulle nostre emozioni e quindi sul nostro stato fisico, come anche documentato dal famoso test cromatico di fama mondiale di Luscher.
Anche secondo Christa Muths, esperta cromoterapeuta tedesca, i colori sono forza vitale e fonte di energia, se ne usufruiamo nel modo giusto. Le irradiazioni con fasci di luce colorata, quindi, sono in grado di stimolare la formazione delle cellule del corpo e influire su nervi e organi.

Le origini

La cromoterapia ha origini antichissime, poiché le medicine tradizionali hanno sempre attribuito grande importanza all'influenza dei colori sulla salute e sullo stato d'animo dell'uomo. Egizi, Romani e Greci praticavano l'elioterapia (esposizione alla luce solare diretta) per la cura di diversi disturbi. In India la medicina ayurvedica ha sempre tenuto conto di come i colori influenzino l'equilibrio dei chakra, i centri di energia sottile che vengono associati alle principali ghiandole del corpo. Anche i Cinesi affidavano il proprio benessere fisico all'azione delle varie tinte: il colore giallo serviva a rimettere in sesto l'intestino, il violetto ad arginare gli attacchi epilettici. In Cina, addirittura, le finestre della camera del paziente venivano coperte con teli di colore adeguato e il malato doveva indossare indumenti della stessa tinta.
Grazie alle scoperte di I. Newton, poterono essere riprodotte artificialmente radiazioni di ogni singolo colore, che fino ad allora potevano soltanto essere passivamente osservate in natura. Le notizie si perdono e gli studiosi si susseguono fino al 1877, quando il dott. S. Pancoast pubblica il primo trattato sull'impiego dei colori a scopo terapeutico. L'anno successivo il dott. E. D. Bobbit rende pubblico un suo lavoro in cui descrive il diverso effetto dei colori in terapia.
Negli ultimi anni la cromoterapia ha avuto un notevole sviluppo grazie ai numerosi studi scientifici che evidenziano l'influenza dei colori sul sistema nervoso, immunitario e metabolico.

Perche' e' poco usata

Pur essendo così vantaggiosa, non la si utilizza di più per pochi motivi principali: primo, perché gli utenti non la conoscono ancora sufficientemente bene (chi ne ha già avuto beneficio, di solito ne pubblicizza le doti ai conoscenti solo per la sua particolare problematica, pensando, erroneamente, che Cromoterapia sia specialistica solo per certe disfunzioni). Secondo, di fronte all’immediato aggravio di spesa, c’è chi pensa: “ora mi sto già curando con altro, magari la proverò in futuro”, non tenendo conto che se la si abbinasse subito all’altra cura si otterrebbe un risultato più rapido e completo, quindi, proporzionalmente meno dispendioso. Terzo, per poterla praticare ad alto livello, con ottimi risultati, occorrono anni di esperienza e pratica quotidiana, perciò, chi ha già altre specializzazioni, in genere adopera Cromoterapia solo a livello base, con risultati senz’altro positivi, ma notevolmente migliorabili con interventi completi. Infine, occorre sottolineare che qualsiasi terapia, deve stimolare l’individuo a cambiare in meglio il proprio stile di vita, per evitare di vanificare gli effetti positivi ed immediati della cura; ma, riuscire a rinunciare ai “vizi” e alle “abitudini” nocive con metodi persuasivi e non invasivi, non è un’impresa alla portata di tutti.

Curiosita'

Perché nella sale operatorie si usa il verde? Perché il verde ha delle riconosciute proprietà antibatteriche. E perché i bambini che nascono con l'ittero vengono posti sotto una luce blu? Perché il blu scompone la bilirubina, responsabile del fenomeno.
Il viola rappresenta un efficacissimo sistema per dimagrire senza troppi sacrifici? E il rosso è un validissimo alleato di qualsiasi dieta.
Con il verde chiaro, il viola ed il rosso si risolvono moltissimi disturbi femminili.
Per dormire bene e riposare davvero occorre fare molta attenzione ai colori della camera da letto e delle lenzuola. Per far abbassare la temperatura corporea troppo alta (quella che comunemente si chiama 'febbre'), sconfiggere il mal di gola e gli abbassamenti di voce, non è necessario rimpinzarsi di farmaci. Con alcune bottiglie colorate, riempite di comunissima acqua e poste al sole, puoi avere in casa, con pochissima spesa ed ottimi risultati, un antirughe, un collirio, un disinfettante, un collutorio, un antidepressivo, un tonico… e tante altre cose ancora.
Insomma, per ogni frangente esiste il colore adatto a risolvere bene, in fretta, con poca fatica e poca spesa.
Il rapporto del mondo attuale con i colori è assolutamente privo di equilibrio e questa è una delle tante Conoscenze che l'uomo moderno ha perduto, seppellendole sotto montagne di inutili schemi mentali frutto di mille paure.
(liberamente tratto da testi vari)

martedì 25 novembre 2008

"Il pensiero debole" Gianni Vattimo

RICERCHE A CURA DI D. PICCHIOTTI

Gianni Vattimo è uno dei massimi teorici del pensiero debole, ovvero di un nuovo modo di porsi del pensiero nei confronti delle problematiche filosofiche ed etiche. L'idea che sta alla base di questa forma di pensiero è che non esiste alcuna possibilità, da parte del pensiero, di affermare o raggiungere una qualsiasi verità stabile o definitiva (si può notare la forte connessione tra pensiero debole e problematica della postmodernità).
La filosofia si era strutturata in passato come indagine del senso autentico della verità, ogni sistema filosofico aveva come proprio obiettivo quello di racchiudere in un sistema di regole razionali il senso ultimo dell'esistenza e dell'essere. Vattimo riconosce, come molti altri, la tendenza storica che vede l'occidente perdere progressivamente questa volontà di dimostrare il senso stabile della realtà.
Il pensiero filosofico è arrivato, a parere di Vattimo, al termine della sua avventura. Ogni tentativo di dimostrare i principi metafisici che regolano e sorreggono eternamente la realtà si è risolto in un fallimento, questo dimostra (sempre storicamente) che non esiste alcuna verità stabile.
Da queste premesse si evince che occorre dare alla filosofia un altro senso: il nuovo senso della filosofia, quella strada che la filosofia dovrà percorrere in futuro, non è la ricerca della verità assoluta, ma è invece l'adeguarsi alla verità che esistono diverse verità (per cui non esiste verità assoluta, ma solo una pluralità di verità relative), per cui Vattimo auspica l'avvento di un pensiero debole, una forma di pensiero che non si ponga come spiegazione certa e incontrovertibile di un'unica verità alla quale adeguarsi (ovvero un pensiero forte, che non sia negabile), bensì una forma di pensiero che avverta e lasci apparire la pluralità dei sensi che il mondo via via verrà ad assumere. 
Il pensiero debole (contrapposto alla forma di pensiero forte che ha monopolizzato in passato il cammino della conoscenza) è in sostanza una forma di pensiero che si adegua al mutamento incessante delle condizioni della realtà, un pensiero morbido, che è in grado di accettare la pluralità dei punti di vista senza imporre alcun punto di vista come l'assoluto e incontrovertibile.
(liberamente tratto da testi vari)

"rapporto tra freud e cartesio "

RICERCHE A CURA DI D. PICCHIOTTI

La ricerca metafisica di Cartesio poggia sulla certezza del pensiero, l'unica in una realtà dove il dubbio può mettere in discussione ogni cosa. Se io dubito, allora io penso, io esisto come "cosa pensante", afferma lo scienziato e filosofo francese. Il mondo materiale e il corpo sono territorio dei sensi; ma i sensi ingannano, sono fallaci. Per questo l'identità del soggetto coincide con il pensiero prima che con la corporeità. Tanto che il corpo muore, l'anima, invece, in quanto principio spirituale, sopravvive.
Freud, il padre della psicanalisi, rivendica le ragioni del corpo. Scopre e ribadisce che non esiste una manifestazione "pura" del pensiero. Anche le parti più elevate dell'io (il pensiero e l'arte) vanno ricondotte a pulsioni biologiche. In ogni atto dell'uomo - nel sintomo dei nevrotici, nel sogno, nel delirio - si iscrivono forze, motivazioni e spinte che restano perlopiù sconosciute. E il "modello" di funzionamento dell'apparato psichico è prevalentemente di natura fisica.

La ricerca metafisica di Cartesio poggia sulla certezza del pensiero, l'unica in una realtà dove il dubbio può mettere in discussione ogni cosa. Se io dubito, allora io penso, io esisto come "cosa pensante", afferma lo scienziato e filosofo francese. Il mondo materiale e il corpo sono territorio dei sensi; ma i sensi ingannano, sono fallaci. Per questo l'identità del soggetto coincide con il pensiero prima che con la corporeità. Tanto che il corpo muore, l'anima, invece, in quanto principio spirituale, sopravvive.
Freud, il padre della psicanalisi, rivendica le ragioni del corpo. Scopre e ribadisce che non esiste una manifestazione "pura" del pensiero. Anche le parti più elevate dell'io (il pensiero e l'arte) vanno ricondotte a pulsioni biologiche. In ogni atto dell'uomo - nel sintomo dei nevrotici, nel sogno, nel delirio - si iscrivono forze, motivazioni e spinte che restano perlopiù sconosciute. E il "modello" di funzionamento dell'apparato psichico è prevalentemente di natura fisica . .

Nella filosofia moderna, inaugurata da Cartesio, la coscienza ha il significato di "consapevolezza soggettiva" di sé e dei propri processi mentali. Di noi stessi, in quanto coscienza, siamo certi direttamente.
Tutto il resto cade sotto la critica corrosiva del dubbio.
Con Freud l'inconscio diviene una costruzione teorica comprensiva degli aspetti motivazionali della personalità, sia sana che patologica. E pur non arrivando a esaltare il lato notturno e inconsapevole della vita contro la ragione e la coscienza, il medico austriaco sostiene che la nuova scienza deve esplorare ciò che non si sa, ciò che è nascosto, perché è là, nella "via regia" che si determinano le condotte affettive, intellettuali e sociali.

L'io per Cartesio è il soggetto pensante e consapevole di sé opposto alla natura: spirito contro materia, mente contro corpo. Nel celebre trattato Le passioni dell'anima Cartesio fornisce una sorta di "medicina" per diventare proprietari unici e autorevoli del proprio "io".
Come? Attraverso il dominio della passioni da raggiungere con lo strumento della ragione.
L'io, per Freud, non è pura trasparenza, non è forza della ragione che domina il mondo. Il soggetto ospita dentro di sé più parti. L'io - la parte consapevole dell'uomo - è solo una piccola porzione della "topografia" della psiche. L'io subisce le inibizioni e le pressioni del "super-Io" (la voce genitoriale che ognuno ha introiettato e che ancora comanda , castiga e affligge con il senso di colpa) ma è anche in balia dell'altro (in tedesco "es" o "lui"). Ed è l'"es", che è in-coscio, la scaturigine profonda dei desideri e delle azioni.
(liberamente tratto da testi vari)

Il rito, il sacrificio e la passione

RICERCHE A CURA DI D. PICCHIOTTI
Il rito
Due sono gli elementi che contraddistingono il rito.
Il primo è l’azione (elemento fisico, materiale, tangibile, fisiologico). Una serie di operazioni rigorosamente codificate. Esse vengono poste in essere dall’officiante – sciamano, sacerdote – e riconosciute come parte e materia del rito da lui stesso e dagli altri partecipanti.
Il secondo è la convinzione (elemento spirituale, immateriale, intangibile, psicologico). Esso si rapporta all’intimo sentire dell’officiante, dei soggetti direttamente o indirettamente coinvolti. Agli oggetti inanimati che possono acquistare anima. All’ambiente, alla natura, all’universo. La convinzione dà senso e significato a situazioni e azioni che altrimenti non ne avrebbero.
Dall’incontro e dalla fusione di questi due elementi nasce il rito. Esso si colloca in una realtà ulteriore, altra, trascendente. L’esistenza di questa realtà è parte stessa del rito, dei soggetti che vi partecipano e che ne sono coinvolti.
Il rito è autentico. Non è finzione, non è recitazione.
Il rito è immanente e trascendente. Immanente, presente, concreto, reale per chi vi è coinvolto e/o vi assiste. Trascendente, perché permette di entrare in contatto con l’Altro da sé, nel senso più ampio del termine.
Il rito è comunicazione e comunione. Attraverso il rito, ci si rispecchia in un’unica realtà, in un unico senso di essere che viene reciprocamente comunicato, che viene messo in comune.
Il rito è soggettività ed oggettività. Soggettività perché attraverso di esso si concretizza un proprio sentire, un proprio individualissimo rapportarsi a sé, al rito stesso e all’universo. Oggettività, perché questo sentire, attraverso la condivisione (operata sia spazialmente, in senso intersoggettivo – sia temporamente, in senso diacronico) diventa qualcosa che trascende le proprie dimensioni individuali e si concretizza in qualcosa di più grande.
Il rito è ricerca. Attraverso di esso si va oltre, si cerca, si incontra, si esplora, si scopre.
Il rito è causale e finalistico. Esso ha sempre una ragione, e tende sempre a uno scopo. E ciò può essere più o meno sancito, determinato, condiviso, partecipato, ma ne è l’unica ragione di esistere.
Il rito è religioso. Un rito senza religione può esistere – e in tal caso sarà lo stesso rito a costruire una sacralità. Ma una religione priva di riti, non è data.
Il rito è un valore altro che viene dato anche alle azioni quotidiane. Chiunque è in grado di identificare, nella sua personale esistenza, alcune azioni – di effetto più o meno pratico, ma comunque reali e persistenti – che per lui hanno un valore particolare, magico, sacro, significante – ritualistico, appunto. Spesso è proprio a queste azioni che ci si lega per offrire un significato al proprio esistere, al proprio sentire, al proprio essere qui (dasein). In qualche misura il rito è una necessità della mente e dello spirito umano, un modo per riconoscere la propria esistenza, per ancorare la propria identità, per rispecchiarsi nell’altro da sé.
Il rito può diventare strumento e fine anche dell’incontro con l’altro da sé nel suo senso più immediato, concreto, animale: il senso carnale e sessuale. Non deve stupire pertanto che molte religioni pongano l’incontro sessuale come strumento del rito (il tantrismo, varie forme di sacralità tribali un po’ ovunque nel mondo, compreso il nord America; e perfino la religone cristiana, nonostante tutta la sua sessuofobia, riserva un valore sacrale-ritualistico al congiungimento carnale come parte integrante e culminante del rito del matrimonio, tanto che il matrimonio non "consumato" può essere sciolto, ed è l’unico caso in cui ciò sia possibile).
Sesso (sesso come atto, quindi dinamico, agito, pensato, vissuto; non faccio, in questo contesto, ricorso al concetto di eros, troppo lontano da una dimensione genitale, l’unica qui che ci può interessare) come luogo del rito – e del sacro. Luogo dove quanto sopra scritto può trovare compimento e realizzazione.
Come il rito, il sesso è autentico. Non è possibile pensare un sesso finto, recitato, giocato (uso comunque queste parole con somma prudenza, in quanto il rito, e tutto quello che ne consegue, investe non poco anche le dinamiche della recitazione e del gioco, trascinandole a forza fuori dalla dimensione della finzione). Il fatto che il sesso richiami e utilizzi dimensioni peculiarmente fisiologiche, animali, naturali, lo costringe all’autenticità appunto della natura e dell’animalità. In questo senso non può esistere altra scelta che l’autenticità anche per il sesso giocato nella finzione (prostituzione, pornografia).
Allo stesso modo il sesso può essere immanente e trascendente. Immanenza dei corpi, degli umori, degli odori. Trascendenza dell’andare oltre, del sentire oltre, del cercare oltre la fase materialmente animale-fisiologica.
Sesso come comunicazione e comunione. Può realizzarsi su molti piani differenti, ma fondamentalmente il sesso è – anche, o soprattutto – un linguaggio, che permette di comunicare al di là dei significati semantici delle parole, dei comportamenti, delle sensazioni. E di condividere, se non piaceri ed emozioni, almeno i momenti e le cause che ne stanno alla base.
Sesso come soggettività ed oggettività. Nella pratica sessuale, sicuramente è importante il proprio sentire e il proprio piacere – qualcosa di forte e di concreto, che si individua e si realizza nell’io. Ma questo sentire individuale trascende in un’esperienza più globale, esterna, oggettiva, creatoria (in senso demiurgico, non artistico) che sta fuori dal corpo e dall’essere – a questo proposito vorrei usare le parole "esistenza cosmica", ma esito a farlo, dato l’abuso che di tale armamentario concettuale è stato fatto da parte di teosofie "usa e getta" molto diffuse in questi ultimi tempi…
Sesso come ricerca. E’ proprio della dimensione culturale – artificiale (da arte intesa come tecnica e studio) dell’uomo non limitarsi al principio della natura, e cercare oltre, costruire, sentire e vivere qualcosa che si colloca oltre la propria animalità. Proprio nel sesso, che come il rito parte da azioni oggettive, questa ricerca può trovare una sua dimensione privilegiata, imparentandosi e collimando con la sperimentazione, l’incontro, la rivelazione (queste ultime due proprie del rito).
Sesso come causa e fine. Non è facile definire quali possano essere la causa e il fine del sesso; può trattarsi di motivi biologici – la conservazione della specie – o mistici – la trascendenza, appunto – ma in ogni caso devono esistere. In quanto in loro assenza lo stesso sesso non avrebbe ragione di essere e motivo di essere agito.
Sesso come religione. E’ il senso di questo discorso.
Il sacrificio
Nella grande tradizione ebraico-cristiana, il rito utilizza una grande quantità di strumenti simbolici, allegorici, metaforici. Alcuni di essi hanno delle ascendenze di tipo pagano. Tra questi, il più importante e significativo è quello del sacrificio.
Il sacrificio è l’offerta (Opfer) alla divinità. Mediante di esso, la divinità viene placata se in collera; ad essa viene chiesta un’intercessione o un favore: la fine di una siccità, di una carestia, la concessione di una buona caccia o di un raccolto abbondante; la vittoria sui nemici. Il sacrificio è il rito cardinale; è attraverso di esso che – mediante la distruzione e la rinuncia a qualcosa di prezioso; nelle società pastorali, ad un capo di bestiame (pecus) – la divinità viene placata, appagata, gratificata. Il sacrificio è il gesto strumentale, inoltre, attraverso cui la colpa viene redenta.
Il sacrificio più estremo è il sacrificio umano. La divinità viene pacificata e soddisfatta col sangue di una vittima (Opfer). Il valore della vittima sacrificale è tale in quanto essere umano – quindi fisiologicamente simile all’offerente-officiante, e la similitudine limitarsi a questo, ad esempio un nemico catturato in battaglia (altra gente, altro popolo, altra identità). Ma tanto maggiore sarà la forza del sacrificio quanto più la vittima sarà simile all’offerente: medesima gente, medesimo sangue. Ecco quindi i sacrifici umani delle popolazioni precolombiane, dove la vittima veniva scelta con cura nella medesima popolazione che la sacrificava, accudita ed onorata (e per essa stessa, quella scelta era un onore). Ancora più forte è il sacrificio della tradizione giudaico-cristiana: Abramo sacrifica nientemeno che il proprio figlio Isacco, salvo poi sostituirlo con un simbolo (e nel rito, il simbolo è di importanza cardinale: la pittura rupestre al posto della belva da cacciare, l’animale al posto dell’essere umano da sacrificare). Ancora oltre: non solo la vittima sarà sangue dello stesso sangue dell’offerente, ma dovrà essere anche "innocente", "pura", "priva di peccato". Al sacrificio dell’animale "prezioso" (valore pecuniario) si preferisce l’animale "innocente" e "puro" per eccellenza, l’agnello. Il valore del sacrificio umano sarà tanto più alto quanto più si ricorrerà ad un essere "puro" ed "innocente", quanto più sarà una scelta libera e volontaristica, fino ad arrivare al definitivo, totale rispecchiamento tra divinità e vittima (questa figlia di quella) che si giocherà nel sacrificio cardinale della civiltà occidentale, quello di Cristo.
In tutto questo processo, com’è evidente, viene completamente a mancare un rapporto causale diretto tra "colpa" e "redenzione"; in un’ottica causale e non simbolica, come scrisse Borges il "vero" sacrificio redimente non sarebbe più quello di Cristo, ma quello di Giuda. La "redenzione" avviene per conto terzi, in seguito ad una sorta di processo di delega – anche questo, inevitabilmente, simbolico. "Il cristianesimo ha fatto man bassa sull’Errore e sulla Redenzione. Quella statua al centro del mantello rosso era una crocifissione laica, il riscatto delle colpe più pesanti, quelle che non si sono commesse". Sono le parole con cui Florence riflette sul suicidio della sua amante Nathalie, al termine del romanzo "Dolorosa soror" di Florence Dugas.
Non sarebbe inopportuno, a questo punto, interrogarsi sul valore sacrificale, in senso strettamente antropologico, che nel mondo contemporaneo possono avere determinate azioni sociali come le condanne a morte (l’aspetto punitivo e/o vendicativo recede nettamente di fronte a quello ritualistico, visti i rigorosi e ridondanti protocolli a cui gli attori, primo tra tutti il condannato, devono sottoporsi; o l’esplicita richiesta della condanna da parte di alcuni criminali particolarmente efferati, quale evidente ricerca di redenzione ed espiazione) o determinate azioni individuali come l’immolarsi, liberamente scelto e testardamente perseguito, di alcune figure poi divenute simboliche (me ne viene in mente una sola, quella di Ernesto Guevara, che peraltro assume connotazioni decisamente cristologiche).
La passione
Abbiamo detto che il sesso è rito. Adesso possiamo aggiungere che il rito, e, all’interno della dimensione del rito, il sacrificio collimano nelle pratiche sessuali cosiddette "bdsm". Qui infatti la ritualità non è soltanto un motore sottinteso, un substrato antropologico (o forse biologico) all’incontro, alla comunicazione, alla trasmissione di sensazioni, calori, umori. Qui diventa parte attiva, integrante, consapevole, giocata. E’ un rito che si richiama a mondi altri, a vissuti, sensazioni, sogni; al subconscio, all’onirico. In cui si fa (o si può fare) un uso abbondante e strutturato di simboli materiali o psichici. In cui la dimensione della rappresentazione (intesa come manifestazione di una realtà interiore e giocata) viene vissuta, esperita e agita fino in fondo.
Il sacrificio è l’essenza della sottomissione, del dolore. Talvolta dell’umiliazione. E il valore del sacrificio diventa tanto maggiore quanto maggiore è l’innocenza, reale o presunta, del soggetto che si sottomette (volontariamente e liberamente) ad esso. Il fatto che si tratti di un gioco non toglie nulla alla profondità e alla realtà delle sensazioni che vengono vissute, esperite e costruite. A volte il gioco può essere di ruolo, e allora si attueranno delle parti (carnefice e vittima, giudice e imputato, inquisitore e strega) e delle scene; altrimenti parti e ruoli potranno essere lasciati da parte, e il motore primo dell’azione non sarà null’altro che il proprio sentimento, il proprio desiderio ritualizzato; la commozione che nasce dalla contemplazione e dall’esperienza del sacrificio liberamente disposto, desiderato, agito, dalla sofferenza e dal dolore che ne deriva; il valore catartico e purificatorio che nasce dalla malinconia del sì, dal’accettazione e dalla sottomissione al dolore. E del rito rivestirà le caratteristiche – azione, convinzione – che faranno del vissuto e dell’agito un evento oltre la realtà, oltre il contingente, di dialogo con forze oscure, profonde, creatrici, trascendenti.
(liberamente tratto da testi vari)

mercoledì 19 novembre 2008

CARNE E ANIMA

RICERCHE A CURA DI D. PICCHIOTTI

L'umano è un essere al contempo pienamente biologico e pienamente culturale, che porta con sé questa unidualità originaria. E' un super- e un ipervivente: ha sviluppato in modo inaudito le potenzialità della vita. Esprime in modo ipertrofico le qualità egocentriche e altruistiche dell'individuo, giunge a parossismi di vita nell'estasi e nell'ebbrezza, ribolle di ardori orgiastici e orgasmici, ed è in questa ipervitalità che l'homo sapiens è anche homo demens. L'uomo è dunque un essere pienamente biologico (Marte) ma, se non disponesse pienamente della cultura (che lo spoglia del suo armamento biologico: istinti, pulsioni e libido), sarebbe un primate del rango più basso. La cultura accumula in sé ciò che è conservato, trasmesso, appreso, e comporta norme e principi di acquisizione." 

Le parole del sociologo Morin esprimono un punto di vista che tutti condividiamo. Già San Paolo, Sant'Agostino e Meister Eckhart avevano messo il dito nella natura biologica  fatta di carne (sarx), anima (psichè) e mente (pneuma), così come Caravaggio aveva esasperato nel dito di  San Tommaso  la percezione critica degli effetti atroci prodotti dalla  libido  nel "corpo" sociale (Gesù) e spirituale (Cristo) della società.
Velazquez dipinge l'emblema di Marte con lo stesso intento pedagogico di Morin, nel tentativo "utopistico" di "liberare" l'uomo del suo tempo dalla cultura dell'aggressività, dell'egocentrismo, del maschilismo e del protagonismo a tutti i costi. Contestualizzata all'interno di una società in cui la donna è relegata a ruoli di 'fattrice' e i bambini sfruttati come forza lavoro, l'opera di Velazquez assume un rilievo  pedagogico quanto mai attuale e significativo. 

"Marte desnudo" non si spoglia solo dell'armamentario "biologico" costituito dalle armi, dall'armatura e dallo scudo, ma anche dei vestiti che la cultura gli cuce addosso. Seduto mollemente sopra un rosso lenzuolo (la rubedo) l'homo sapiens ricopre di coscienza (il perizoma azzurro copre il bacino) il nucleo di energia sessuale, vitalistica e creativa in grado di "liberarlo" dai modelli sociali e dalla "cultura di massa". Il messaggio è chiaro, esplicito, semplice da decodificare. La trasformazione  della libido sessuale  in amore, creatività e coscienza è l'unica via per far di nuovo risplendere la bellezza all'interno della cultura contemporanea (i baffi di marte).
La libido sessuale è l'energia fondamentale necessaria  per attivare l'alchimia interiore. Non deve essere inibita, frustrata e repressa altrimenti si corre il rischio di "ridurla in cenere" e di renderla inutilizzabile per la trasformazione. Il Tantra (l'alchimia  della coscienza)  insegna che  il contenimento dell'energia sessuale suscita  il desiderio di amare il corpo, l'anima e la mente del partner. Quando ciò avviene le donne descrivono l'amore come passione fisica, follia  e attrazione fatale,  a rimarcare  il grado di coinvolgimento della propria libido sessuale e la sua inevitabile evoluzione  in  "amor di sè".
Ma l'amor di sè, lo stesso che genera l'orgoglio ferito, la sensazione di essere usati, o di non essere stati compresi,  è la soglia per entrare nel mondo della coscienza alchemica.
Dante vi giunge  attraverso una consapevole frustrazione del desiderio sessuale, una infinita procrastrinazione della soddisfazione carnale e infine elevando Beatrice  a  Musa ispiratrice. L'amor di sè è la logica manifestazione dell'introversione della passione amorosa che, pur rappresentando  una sensibile evoluzione della coscienza individuale, diventa comunque espressione di un sentimento egocentrico e autoreferente. 
mino della salvezza , intesa come salus, salute psicosomatica, l'anima deve  giungere a "pentirsi" come Maria Maddalena.  Il pentimento interpretato da Caravaggio non è religioso, ma  è indotto da  un secondo livello di introversione. Maddalena sta seduta, immobile,  a capo chino, in  uno stato di profonda meditazione. Ai suoi piedi sono disseminati i simboli della rinuncia  alla passione carnale e materiale (i gioielli) a significare  che  l'introversione della passione  e la rinuncia all'ore egocentrico di sè, suscita  il  "desiderio alchemico": conoscere e amare se stessi.
Questo secondo stadio di trasformazione dell'anima è chiamato "rubedo delle passioni" (la  gonna rossa di Maddalena).  Caravaggio dipingerà tre volte Maddalena per rendere esplificito, fino in fondo,  le fasi di trasformazione della libido sessuale (il seme maschile) e della passione ( il sangue femminile)  in  amore, coscienza e conoscenza di sè (le tre dita aperte da Maddalena) che conducono sulla soglia dell'iniziazione all'alchimia  della coscienza (La presentazione al tempio della Vergine). 

Tito Lucrezio Caro

RICERCHE A CURA DI D. PICCHIOTTI

Le notizie sulla vita di Tito Lucrezio Caro sono estremamente poche ed anche imprecise. I dati riferiti dal grammatico Donato ( nella sua vita di Virgilio ) e dal padre della chiesa Girolamo ( 347 ca-420 d.C. ), in opposizione talora fra loro, dovrebbero a loro volta rimontare allo storico Svetonio. Senza entrare nel merito dei riscontri cronologici elaborati dagli studiosi della questione, pare accertato che Lucrezio nacque nei primi anni del I secolo a.C. e morì intorno al 54. Sul luogo d’origine non abbiamo particolari conferme, se non per il fatto che il cognomen “Carus” risulta attestato nel territorio di Napoli e di Pompei. Sulla condizione sociale del poeta non siamo informati. Qualcuno ha voluto intravedere un atteggiamento da cliens nel tono delle parole rivolte a Memmio, il dedicatario dell’opera, quello stesso al cui seguito si trovò Catullo quando si recò in Oriente ( 57/56 ).Fatta eccezione per l’indicazione cronologica, Girolamo sostiene che Lucrezio divenne folle per un filtro d'amore ( poculum amatorium ) e che compose il poema, poi pubblicato da Cicerone, nei momenti di lucidità mentale ( per intervalla insaniae ), e si suicidò poi all’età di 44 anni. Non abbiamo alcuna conferma di queste notizie: esse apparirebbero sicuramente leggendarie se non fosse per l'effettiva incompiutezza del poema, quella certa aria di eccitazione che lo pervade e quella descrizione degli effetti disastrosi della passione amorosa che chiude il libro IV. In effetti, Cicerone in una lettera al fratello Quinto ( II, 9, 3 ) fa un cenno proprio al poema di Lucrezio: Lucreti poemata, ut scribis, ita sunt: multis luminibus ingeni, multae tamen artis, “il poema di Lucrezio è così come scrivi, ricco di talento, tuttavia molto meditato” ( tuttavia è opportuno sotolineare che sulla tradizione manoscritta di questa asserzione sono stati sollevati dei dubbi ). Quanto alle altre osservazioni di san Girolamo, è quanto meno credibile che la tradizione cristiana abbia voluto dare un’immagine negativa del poeta, facendo passare Lucrezio per un folle e per un suicida. Si vuole credere che la sua formazione culturale sia avvenuta all’interno del circolo di Filodemo ad Ercolano nella villa di Calpurnio Pisone, noto epicureo ( e nemico personale di Cicerone ), ma anche su questo punto non esistono certezze. Certo è invece il fatto che la vita di Lucrezio ebbe a svolgersi in uno dei periodi più drammatici della storia romana, caratterizzato da un’intensità senza precedenti di scontri politici e civili, oltre che dalle scorrerie delle bande armate e dalle famigerate liste di proscrizione. In quest'ottica dunque acquistano un senso particolare le sue osservazioni sulla negatività del contenzioso politico, sui danni dello spopolamento delle campagne, addirittura sull’approssimarsi della fine del mondo. È quanto si ricava dal poema, al quale abitualmente si usa fare riferimento come unica fonte affidabile di informazioni.

Il titolo De rerum natura, che ripropone quello di alcune opere filosofiche greche ( Perì phýseos ) si traduce in italiano semplicemente “La Natura”, tuttavia con l'avvertenza che res potrebbe propriamente indicare i “fenomeni” che della natura, cioè delle leggi dell'universo, sono le manifestazioni. Si discute anche sulla struttura generale del poema: il fatto che certi antichi autori riportino versi non reperibili nel testo dell'opera quale noi possediamo, legittimerebbe, secondo alcuni, successivi tentativi di revisione e di riordinamento. Si può certamente parlare di incompiutezza del poema: l'autore non ebbe modo di terminarlo nè tanto meno di revisionarlo, come dimostrerebbe la palese contraddizione tra l'intento dichiarato di utilizzare la dottrina epicurea per salvare l'uomo dal male, e la conclusione dell'opera, che rappresenta scene di sconcertante drammaticità relative alla peste di Atene. Che il poeta non sia riuscito a revisionare il testo della sua opera risulterebbe inoltre dimostrato dalle frequenti ripetizioni di versi singoli o di gruppi di versi, di lacune chiaramente non imputabili a imperizia degli amanuensi, o altri elementi di carattere tecnico. Comunque si debbano interpretare questi aspetti strutturali ( le ripetizioni infatti potrebbero trovare ragione nel fine didascalico dell'opera ), è certo che il disegno dell'opera appare ben congegnato e simmetricamente definito. I sei libri di cui si compone il De rerum natura, quanto ai temi fondamentali che trattano, possono distribuirsi in tre coppie: - libri I-II: La dottrina atomistica ( costituzione del mondo e della materia ); - libri III-IV: La scienza antropologica ( costituzione dell'anima; problema gnoseologico ); - libri V-VI: II sistema cosmologico ( fenomeni celesti e terrestri ). Lo schema ripete sostanzialmente quello canonico delle scuole epicuree, tuttavia è significativo che Lucrezio lo abbia sconvolto solo per porre al centro il problema riguardante l'uomo, problema che la tradizione usualmente poneva come ultimo. Ciascuna delle tre coppie prende inizio con un preludio e termina con l'esposizione e l'interpretazione di un episodio triste o drammatico. Altre corrispondenze e parallelismi possono rintracciarsi in un gioco non rigido ma studiato che contempla un intrigo di microsequenze in seno alle più grandi ripartizioni, così da giustificare l'opinione secondo cui il De rerum natura è un poema terminato in sé stesso. Le incongruenze innegabili troverebbero spiegazione tenendo conto del particolare ingegno di Lucrezio, distinto come detto da contraddizioni, del suo metodo di lavoro e non da ultimo della mancata revisione del testo. La conclusione del poema, improntata ad una concezione del mondo irrimediabilmente pessimistica, è prova dell'originale spiritualità dell'autore, che si sovrappone alla dottrina ottimistica dell'epicureismo che pur vuole illustrare. In altri termini, potremmo affermare che per provare la necessità di un equilibrio razionale garante della felicità, egli non veda altro mezzo didattico che mostrare i mali prodotti dalla condizione contraria, cioè dall'ignoranza e dalla passionalità.

martedì 18 novembre 2008

LUCREZIO, L'ORIGINE DEL LINGUAGGIO

A CURA DI D. PICCHIOTTI

I vari suoni della lingua, poi, fu la natura che costrinse
ad emetterli, e l'utilità foggiò i nomi delle cose,
in modo non molto diverso da quello in cui si vede che la stessa
incapacità della lingua a esprimere parole induce i bimbi a gestire,
quando fa che mostrino a dito le cose che sono presenti.
Difatti ognuno sente per qual uso possa valersi delle proprie facoltà.
Il vitello, prima che le corna gli siano spuntate e sporgano
dalla fronte, con esse irato assale e ostile incalza.
Dal canto loro, i cuccioli delle pantere e i leoncini
si difendono con unghie e zampe e morsi già quando
denti e unghie non sono ancora ben formati.
Vediamo poi ogni specie di uccelli affidarsi alle ali
e chiedere alle penne un aiuto che ancora è tremolante.
Perciò pensare che qualcuno allora abbia assegnato i nomi
alle cose e che da lui gli uomini abbiano imparato i primi vocaboli,
è follia. Infatti, perché colui avrebbe potuto designare con parole
ogni cosa ed emettere i vari suoni della lingua, ma si dovrebbe
credere che nello stesso tempo altri non abbiano potuto farlo?
Inoltre, se delle parole non avevano fatto uso fra loro
anche altri, donde fu impressa in quello la nozione
della loro utilità e donde fu data a lui per primo la facoltà
di sapere e di vedere nella mente che cosa volesse fare?
Parimenti, non poteva uno solo costringer molti e vincerli
e domarli, sì che acconsentissero a imparare i nomi delle cose.
Né in alcun modo è facile insegnare a sordi e persuaderli
di ciò che bisogna fare; difatti non lo sopporterebbero,
né in alcun modo tollererebbero che inauditi suoni di voce
più volte assordassero le loro orecchie invano.
Infine, che c'è di tanto sorprendente in questo,
se il genere umano, che aveva voce e lingua vigorose,
secondo le diverse impressioni designava le cose con suoni diversi?
Quando le greggi prive di parola, quando perfino le stirpi
delle fiere son solite formare voci dissimili e varie,
secondo che sentano timore o dolore o cresca in esse la gioia.
E infatti è possibile conoscer questo in base a fatti palesi.
Quando le larghe morbide labbra dei cani molossi
incominciano a fremere irritate, scoprendo i duri denti,
tirate indietro per la rabbia, minacciano con suono molto diverso
da quando poi latrano ed empiono tutti i luoghi delle loro voci.
Ma, quando prendono a lambire con la lingua carezzevolmente i cuccioli
o li sballottano con le zampe e, minacciando di morderli,
senza stringere i denti fingono di volerli divorare teneramente,
li vezzeggiano col mugolìo in modo molto diverso
da quando lasciati soli in casa abbaiano, o quando
uggiolando scansano col corpo schiacciato a terra le percosse.
E ancora, non si vede che parimenti differisce il nitrito,
quando un polledro nel fiore dell'età infuria fra le cavalle,
colpito dagli sproni di amore alato,
e con le froge dilatate freme movendo all'assalto,
e quando, in altri casi, nitrisce con membra tremanti?
Infine, le specie degli alati e i vari uccelli,
gli sparvieri e le aquile marine e gli smerghi
che cercano il nutrimento e la vita nei salati flutti del mare,
in un tempo diverso gettano gridi di gran lunga diversi
da quando contendono per il cibo e le prede fanno resistenza.
E alcuni mutano col mutare del tempo i rauchi canti,
come le longeve stirpi delle cornacchie e le frotte dei corvi,
di cui si dice che a volte invochino l'acqua e la pioggia,
altre volte chiamino i venti e le brezze.
Dunque, se sensi diversi costringono gli animali,
benché siano privi di parola, a emettere voci diverse,
quanto è più naturale che gli uomini allora abbian potuto
designare cose dissimili con suoni differenti fra loro!

I DIALOGHI DI SRILA PRABHUPADA"Cercare l'origine delle cose"

A CURA DI D. PICCHIOTTI

Questa conversazione di Sua Divina Grazia A. C. Bhaktivedanta Swami Prabhupada, con un ospite e un suo discepolo, il dottor Thoudam D. Singh (Bhaktisvarupa Damodara Swami) ebbe luogo nel dicembre del 1973, durante una passeggiata mattutina a Venice Beach, a Los Angeles.
Dott. Singh: Gli scienziati dicono che ad un certo momento la Terra era composta da particelle di polvere che fluttuavano in una sostanza gassosa. Poi, nel corso del tempo questa sospensione colloidale si condensò e formò la Terra.
Srila Prabhupada: Può essere, ma da dove veniva quel gas?
Dott. Singh: Essi si limitano a dire che esisteva.
Srila Prabhupada: Sri Krishna nella Bhagavad-gita [7.4] dice:
bhumir apo ’nalo vayuh
kham mano buddhir eva ca
ahankara itiyam me
bhinna prakritir astadha
“Terra, acqua, fuoco, aria, etere, mente, intelligenza e falso ego — questi otto elementi, distinti da Me, costituiscono la Mia energia materiale.” Qui Krishna spiega che vayu (il gas) deriva da Lui. E più sottile di vayu è kham (l’etere), più sottile dell’etere è la mente, più sottile della mente è l’intelligenza, più sottile dell’intelligenza è il falso ego e più sottile del falso ego è l’anima. Gli scienziati però non lo sanno. Essi conoscono solo gli elementi grossolani. Parlano di gas, ma da dove viene il gas?
Dott. Singh: A questo non sanno rispondere.
Srila Prabhupada: Noi però possiamo rispondere. Dal Bhagavatam sappiamo che il gas proviene da kham o etere, che l’etere viene dalla mente, la mente dall’intelligenza, l’intelligenza dal falso ego e il falso ego dall’anima.
Dott. Singh: Gli scienziati sostengono che prima che avesse luogo l’evoluzione biofisica secondo la teoria di Darwin, doveva esserci una fase che loro chiamano “chimica prebiotica” o evoluzione chimica.
Srila Prabhupada: Sì. E il termine “evoluzione chimica” significa che gli elementi chimici hanno un’origine e che l’origine è lo spirito, la vita. Un limone produce acido citrico e i nostri corpi producono molti elementi chimici sotto forma di urina, sangue, sudore ed altre secrezioni. Questa è la prova che la vita produce elementi chimici, non che gli elementi chimici producono la vita.
Dott. Singh: Gli scienziati dicono che una volta che il seme della vita è presente nelle cellule, l’essere vivente automaticamente si sviluppa e agisce.
Srila Prabhupada: Sì, ma chi fornisce il seme? Nella Bhagavadgita [7.10] Krishna risponde a questa domanda. Bijam mam sarva-bhutanam viddhi partha sanatanam: “O figlio di Pritha, sappi che Io sono il seme originale di tutte le esistenze.” E in seguito [14.4] Krishna dice:
sarva-yonisu kaunteya
murtayah sambhavanti yah
tasam brahma mahad yonir
aham bija-pradah pita
“Sappi, o figlio di Kunti, che la vita di tutte le specie è resa possibile dalla nascita in questa natura materiale e Io sono il padre che dà il seme.”
Dott. Wolf-Rottkay: Ma, in tutta umiltà, Srila Prabhupada, supponi che gli scienziati riescano davvero a creare artificialmente un organismo vivente o anche una cellula vivente. Che cosa ne dici?
Srila Prabhupada: Quale sarebbe il loro merito? Stanno soltanto imitando ciò che già esiste in natura. La gente è molto attratta dalle imitazioni. Se un uomo in un nightclub imita un cane, le persone ci andranno e pagheranno per vederlo. Quando invece vedono un cane vero che abbaia, non gli prestano nessuna attenzione.
Dott. Singh: Srila Prabhupada, l’idea dell’evoluzione chimica è nata nel 1920 ad opera di un biologo russo. Egli dimostrò che prima dell’evoluzione chimica l’atmosfera della Terra era molto riducente. In altre parole, era soprattutto ricca d’idrogeno con pochissimo ossigeno. Poi, nel corso del tempo, la radiazione solare causò la trasformazione delle molecole d’idrogeno in elementi chimici diversi.
Srila Prabhupada: Questo è uno studio di parte. Prima di tutto, da dove veniva l’idrogeno? Gli scienziati studiano semplicemente la fase centrale del processo, ma non ne studiano l’origine. Dobbiamo conoscere l’inizio dei fenomeni. Guardate, c’è un aeroplano [Srila Prabhupada indica un aeroplano che appare all’orizzonte]. Direste che l’origine di quell’areo è il mare? Una persona sciocca potrebbe dire che tutto ad un tratto una luce è apparsa sul mare ed è così che l’aeroplano è stato creato. Ma questa è una spiegazione scientifica? Le spiegazioni degli scienziati sono simili a questa. Essi dicono: “Questo esisteva e poi, all’improvviso, per caso, accadde quello”. Questa non è scienza. Scienza significa spiegare la causa originale. Forse gli scienziati potranno creare imitazioni della natura, ma perché dovremmo dar loro fiducia? Dobbiamo dare fiducia al creatore originale, Dio; questa è la nostra filosofia.
Dott. Singh: Quando uno scienziato scopre una legge della natura, generalmente la chiama con il proprio nome.
Srila Prabhupada: Sì, esattamente. La legge c’è già in natura, ma quel mascalzone vuole prendersene il merito.
Dott. Singh: In realtà stanno lottando contro le leggi della natura, ma spesso in questa lotta trovano una forma di piacere.
Srila Prabhupada: Questo piacere è infantile. Pensate ad un bambino che con un grande sforzo costruisce sulla spiaggia un castello di sabbia. Può provare piacere, ma è un piacere infantile, non è un piacere da uomo maturo. I materialisti hanno creato uno standard di falsa felicità. Essi hanno creato una splendida organizzazione per mantenere una civiltà confortevole, ma è tutto illusorio perché non possono creare una situazione in cui godere in modo permanente. In qualsiasi momento, chiunque può essere sorpreso dalla morte e tutto il suo piacere finirà.
Dott. Singh: Questa è la ragione per cui dicono che Dio non ci ha dato tutto — perché non possiamo vivere qui per sempre.
Srila Prabhupada: Dio però ha dato loro tutto il necessario per vivere serenamente e tutto ciò che è necessario per comprenderLo. Allora perché non fanno domande su Dio? Fanno, invece, cose che li aiutano a dimenticare Dio.

L'origine dello Stato "Un percorso da Platone a Marx"

A CURA DI D. PICCHIOTTI

Il maestro di Platone, Socrate, rappresentò per lui non solo un esempio di sapienza e di ricerca teorica della verità, attraverso
il continuo dialogare, ma anche un esempio morale e politico di comportamento nei confronti della comunità, della polis e
del potere.
Fin dall’inizio della sua ricerca teorica, Platone si avvicina alla filosofia intesa socraticamente come scienza non solo teoretica
- ricerca della verità - ma anche pratica e morale - come scienza del bene e del male - ; il piano puramente teorico del
pensiero, del ragionamento, della discussione intorno alla verità delle cose viene tenuto insieme a quello del comportamento
morale, del rapporto politico fra il cittadino e la polis, fra l’individuo e la comunità. La ricerca della verità è, per Socrate,
consapevolezza di ciò che è bene e di ciò che è male; ricerca che avviene in un contesto di rapporti umani, politici e sociali,
quale era quello della polis (Atene) nel corso del V secolo a. C.
La vicenda umana e filosofica di Socrate si conclude tragicamente, come si sa, nel 399 a.C. con la condanna a morte del
filosofo, il quale, fedele ai propri princìpi, pur non riconoscendosi colpevole di fronte ai giudici - colpevole di tradire la
religione olimpica e di deviare i giovani dalla tradizione - accetta e porta di persona a termine la propria condanna bevendo
la cicuta.
L’esempio socratico costituisce per Platone un punto di partenza per il suo successivo percorso filosofico che si distaccherà,
a un certo punto, dalla concezione della dialettica che aveva Socrate approdando a quella "dottrina delle idee" che, invece di
eliminare l’esigenza filosofica di interrogarsi sulla verità, accentuerà la necessità, da parte di chi ricerca il vero, di percorrere
un cammino di conoscenza verso quelle forme o idee delle cose (éidos o idéa in greco) che, non sconosciute all’animo umano,
debbono però essere faticosamente riportate alla memoria.
Socrate costituisce un fondamentale punto di partenza anche per la riflessione e l’attività politica di Platone, il quale, dopo la
morte del maestro, si recherà in Sicilia a Siracusa, presso la corte del tiranno Dionigi il Vecchio, con il fine di realizzare, fuori
d’Atene (la città che aveva condannato il più sapiente fra gli uomini), uno stato in cui potere politico e filosofia fossero
organicamente uniti.
La forte delusione, per altro ripetuta in altri due successivi viaggi, che seguì all’incontro e al tentativo di collaborazione col
tiranno, spinse Platone, tornato ad Atene, da una parte a fondare nel 387 a.C. l’Accademia, alla quale si dedicò per circa 20
anni, e dall’altra ad occuparsi in modo prevalentemente teorico dei problemi e delle questioni politiche.
Nei primi dialoghi (Gorgia, Menone) del secondo periodo platonico (periodo della maturità che segna il distacco da Socrate),
vengono fatti accenni per lo più negativi alla politica, considerata in modo assai pessimistico, data la vicenda socratica alle
spalle. La politica però viene definita eticamente, e cioè proprio come la pratica consapevole del bene da parte di chi vuole
estendere la virtù a tutta quanta la città, a tutti i cittadini e al loro comportamento complessivo; cosa a cui finora si sono
sottratti tutti i (falsi) politici, e della quale solo Socrate si è seriamente occupato.
La teoria politica di Platone si fa più complessa e articolata nella Repubblica dove il filosofo viene descritto come il perfetto
politico, e cioè come colui che sa cos’è la giustizia e la applica consapevolmente. Il dialogo comincia con la domanda che
cosa sia veramente giustizia, approdando a una feconda analogia fra la giustizia nell’uomo e la giustizia nello Stato. Da
questo punto in poi viene ricercata la genesi dello Stato, la sua origine di carattere economico, fondata cioè sulla necessità di
soddisfare i bisogni naturali dell’uomo e della comunità. D’altra parte lo Stato si fa "gonfio di lusso" e cioè aumentando la
popolazione, aumentano e si complicano quei bisogni che si distaccano dalla iniziale naturalità e necessitano di un
allargamento, che provoca guerre, ma soprattutto disequilibri interni.
La giustizia viene allora identificata proprio con l’equilibrio, con la capacità di ciascuno - e di ciascuna classe presente nello
Stato - di svolgere bene il proprio compito. Ma per fare questo è necessaria la massima consapevolezza dell’identità fra
l’interesse proprio e l’interesse dello Stato. Gli unici a possederla, secondo Platone, sono i filosofi, ai quali viene affidato il
comando supremo. In questo senso si può parlare in Platone di uno Stato e di rapporti politici fra le classi (filosofi-
governanti, guerrieri-soldati e artigiani-agricoltori) in cui viga la noocrazia, e cioè l’egemonia e il potere di chi sa. Come si
vede, qui dove non ce lo aspettavamo, si impone il concetto e il termine nous, mente, conoscenza e consapevolezza
filosofica, la quale solamente può identificarsi senz’altro con il potere politico. La perfezione politica dello stato, in altri
termini, presuppone la perfezione filosofico-etica di esso, incarnata dalla classe dei filosofi al potere.
Si è a lungo parlato e discusso del valore storico e filosofico dello Stato platonico; se esso sia solo un’utopia (un’idea perfetta
ma difficilmente realizzabile), oppure abbia un carattere normativo nei confronti della realtà, e cioè sia un modello a cui gli
Stati reali devono, per quanto è possibile, rifarsi. Hegel ha sostenuto in vario modo che lo Stato platonico fosse una ‘utopia
reale’, e cioè certamente un prodotto di pensiero, ma non un ideale vuoto, piuttosto quel concetto di Stato che meglio di tutti
coglieva la natura stessa dell’eticità greca. D’altra parte la Repubblica di Platone ha riscontri oggettivi nell’esperienza da lui
vissuta con la vicenda di Socrate, dalla quale risultò l’esigenza di una profonda riforma politica che riportasse l’equilibrio
all’interno della democrazia e comunque prospettasse la concreta possibilità di fondare lo Stato non su interessi particolari e
privati ma universali e generali.
La riflessione politica di Platone, dopo la Repubblica, si sviluppò ulteriormente nel Politico e nelle Leggi, oltreché nel Timeo
(dove l’analogia fra la struttura dell’individuo e quella dello Stato è estesa a tutto l’universo), tutte opere della vecchiaia, nelle
quali il forte dualismo fra mondo delle idee e mondo della realtà concreta viene in un certo senso attenuato, e d’altra parte
l’idea di Stato come attuazione consapevole ed equilibrata della giustizia viene affiancata dalla necessità di osservare le leggi.
Nel Politico viene considerata la forma di costituzione democratica come la meno pericolosa - anche se la costituzione ‘regia’
rimane pur sempre l’ideale, ma ahimè perduto per sempre - perché la divisione dei poteri presente in essa limita quelle
tendenze nocive provenienti dal mancato rispetto delle leggi e dal prevalere di forze particolari sull’interesse comune. In
questo dialogo si prende a tema la necessità, da parte dello Stato che intende perfezionarsi, di darsi una costituzione, un
insieme di leggi, il più possibile misurata e bilanciata. Nelle Leggi verrà inoltre stesa da Platone una vera e propria legislazione
positiva, cioè un codice di leggi riguardante tutti i campi del diritto, da quello costituzionale, al pubblico, a quello privato.
Questo maggiore senso del concreto che l’ultimo Platone sembra manifestare nella sua ricerca in campo politico, individua
nello Stato spartano la forma costituzionale migliore, poiché essenzialmente mista: l’unità del principio monarchico è nella
figura del Re, di quello aristocratico nel Consiglio degli anziani e di quello democratico nell’Eforato. La predilezione
platonica per la politica spartana, rispetto a quella ateniese, risale in realtà al tempo della giovinezza, ma qui viene espressa
con riferimenti precisi al campo del diritto che precedentemente non erano mai stati presi in considerazione.
In conclusione si può dire che l’ultimo Platone si sia evoluto in senso pessimistico per quanto riguarda la politica, nella
misura in cui prende atto della sempre maggiore difficoltà di fondare uno stato veramente giusto ed equilibrato (si vedano
anche le negative esperienze politiche vissute in Sicilia); d’altra parte però non abbandona la sua convinzione profonda della
necessità di tenere organicamente unite la vita politica con la vita filosofica, la conoscenza dell’uomo con quella dello Stato,
quella dello Stato con quella dell’universo. In questo senso - e qui vi accenniamo soltanto - il Timeo risulta paradigmatico,
anche perché istituisce un nesso etico universale; si potrebbe dire che l’etica stessa, in questo dialogo, riceva una fondazione
cosmica. Come il mitico Demiurgo è l’artefice del mondo e dell’uomo, così l’uomo deve dar vita a uno stato basato su
equilibri che ricordino quelli dell’armonia universale. di Carla Maria Fabiani

domenica 16 novembre 2008

ARCHITETTI ORGANICI : Frank Lloyd Wright

A CURA DI D. PICCHIOTTI

Frank Lloyd Wright , nato nel 1867 a Richland Center e morto nel 1959 a Phoenix , è il fondatore dell'Architettura Organica ed uno dei massimi architetti della storia umana . Frequentò per alcuni anni la facoltà d'ingegneria  all'Università del Wisconsin , quindi passò alla Chicago Architectural School . Dopo un periodo di intensa attività edilizia , quello delle " case della prateria " nel Middle West , visitò l'Europa , nel 1910 ; poi, durante la prima guerra mondiale , visse per qualche anno in Giappone . Tornato negli Stati Uniti , visse fra Taliesin West in Arizona e Taliesin nel Wisconsin, dirigendo in entrambe le località una libera scuola di architettura . Grande teorico oltre che grande architetto , Wright ha lasciato numerosi saggi , importantissimi per la comprensione della sua arte . Fra i più significativi ricordiamo : Modern Architecture , An Autobiography , An Organic Architecture : the Architecture of Democracy , A Testament . Fra le numerose opere che l'hanno reso celebre : il Larking Building a Buffalo (1904) ; l'Imperial Hotel a Tokio (1915-22) ; la casa Kaufman detta " casa sulla cascata " (1936) ; il museo Solomon R. Guggenheim a New York (1943) e l'ardito progetto del grattacielo alto un miglio a Chicago (1956) .
 
"...L'Architettura Organica è creata dall'amore per la natura umana...
...The Organic Architecture is created from the love for the human nature..."
dal libro Testamento di Frank Lloyd Wright

Architettura Organica
Pensieri di Frank Lloyd Wright
 
... Io dichiaro che è giunta per l'architettura l'ora di riconoscere la sua natura , di comprendere che essa deriva dalla vita e ha per scopo la vita come oggi la viviamo , di essere quindi una cosa intensamente umana ...
 
... La Bellezza consegue sempre da una pienezza totale di natura dell'espressione : che è espressione intrinseca . Mai l'eccesso va confuso con l'esuberanza ... chi conosce questa differenza tra eccesso ed esuberanza sente la natura del principio poetico ... quanto più un cavallo è un Cavallo ; un uccello , Uccello ; un uomo , Uomo ; una donna , Donna , tanto meglio è : e più un progetto è rivelazione creativa di schietta natura , qualunque sia il mezzo o la forma dell'esprimere , tanto meglio è . Perciò , " creativo " implica esuberanza . Non è solo veridico esprimere ma veridico interpretare , integralmente , il senso , la verità e la forza della Natura ; elevato dal poeta alla sua efficacia suprema . Migliore progetto sarà quel progetto che più profusamente riveli la verità dell'intimo essere . Il progetto che resiste più a lungo ; che l'umanità rammenta ...
... L'arte non è mai ripetizione ...
... Amavo l'architettura in quanto romantica e profetica di un vivere vero : perché la vita riviveva in bellezza oggi come nelle più grandi civiltà del passato . Non eravamo , oggi , uomini liberi ? E dunque , in ciò doveva qualificarsi l'architetto in mezzo a noi ; essere la libera guida di uomini liberi nella nostra nuova e libera terra . Ogni edificio costruito doveva servire alla liberazione dell'umanità , affrancando le vite degli individui . Quale stupefacente bellezza sarebbe stata nostra se lo spirito dell'uomo , reso , così , organico , avesse imparato a caratterizzare come naturale questa nostra nuova , libera vita ...
... L'architetto vero è un poeta che un giorno scoprirà in se stesso la presenza del domani nel nostro presente ...
... Costruire appunto per l'alta sovranità dell'individuo ... architettura organica fondata su questa fede nuova , fede non soltanto nell'umanità dell'umanità , ma nell'uomo in quanto , egli stesso , creativo ; nell'uomo , che è sempre più grande di qualsiasi sistema possa immaginare ! ... Oltre la parola del principe dei profeti del nostro mondo : " Il regno di Dio è dentro di voi " , mi parve che l'architettura organica fosse , di questa verità , l'unica visibile testimonianza nell'arte moderna ... Le antiche architetture americane degli Inca , dei Maya , dei Toltechi giacciono da secoli nel profondo sepolcro della terra laddove nelle ere del passato , anziché l'anima libera dell'uomo , l'ordine cosmico del sole della luna degli astri ispirava l'uomo primitivo a spianare le montagne e ad erigere templi giganteschi alla propria potenza materiale ... Nuovamente alziamo templi ... ma questa volta non tanto al mistero delle grandi forze cosmiche o ctonie , ma di quelle interiori , allo spirituale potere dell'umanità ... Quanto è più grande questa nuova espressione dell'anima umana ! Una luce novella può irradiare da ogni edificio eretto dalla mente dell'uomo ... Se è propria dell'uomo l'integrità dello spirito , l'architettura ne manifesterà le naturali fattezze : la fisionomia del principio . Poiché l'architettura esprime l'uomo quale egli è , l'uomo rivivrà nel libero spirito dell'architettura organica del nostro tempo ... Un'astrazione nuova , cioè una civiltà , sorge ad esprimere la nuova vita dell'uomo come essere libero . Egli è pur sempre qualcosa che il flusso del tempo tramuta ... Una vita culturale nuova , che oggi deve scaturire dalla " realtà dell'interno " , da inizio a un mondo nuovo ... Scopriremo questa cultura dello spirito , che a noi urge tanto disperatamente , soltanto attraverso una nuova integrità : la stessa integrità necessaria in concreto per difendere le nostre libertà civili . Impareremo a scorgere che cosa si armonizzi , lungo il vivere quotidiano , col principio poetico . E se dovremo sacrificare le nostre vite , ciò almeno sia per un domani umano , più ricco d'amore per la bellezza ... Le belle architetture sono più che opere di scienza . Sono veri organismi , spiritualmente concepiti ; opere d'arte ...
... La molla motrice di ogni architettura vera è una sana filosofia della natura ; la quale , ovunque si proponga senza remore , è base di quella cultura esclusivamente autoctona ... la manifestazione della profondità dell'architettura concepita in funzione del suo Principio , costruita come un organismo , dall'interno verso l'esterno ... un architetto cosciente apprende ad intendere a tal punto la natura dell'umana natura che la qualità della sua maestria costruttiva può giustificare , in definitiva , l'identificazione dell'architettura organica con l'amore umano alla vita che manifesta l'uomo all'Uomo . Alla democrazia è necessaria questa ispirazione per mantenere la vita della democrazia e la libertà ...
... L'anima di qualunque civiltà sulla terra è sempre consistita e ancora consiste nell'Arte e nella Religione ... Sia l'Arte che la Religione sono in cammino Ambedue debbono procedere fianco a fianco come è sempre stato . Ambedue debbono insieme illuminare la scienza e costituire l'anima di questa civiltà ... L'uomo non troverà i termini della salvezza democratica  che nel suo intimo più profondo , nell'intendere i principi fondamentali della natura e della sua propria , umana , natura ...
... l'architettura è organismo , fondato sull'assioma :" la parte sta alla parte come la parte al tutto ". Solo tali entità possono vivere ... espressione integrale dell'uomo in architettura . Mai un vero edificio è stato altro che questo . " Tale la vita , tale la forma " ... Lao Tse ha espresso questa verità ... " la realtà dell'edificio non sta nelle mura e nel tetto , ma nello spazio nel quale si vive " . Io l'ho costruita ... ideale nuovo , di modellare un ambiente confacente alla vita ... un ambiente libero ...
... L'ambiente umano può essere concepito e creato secondo natura : secondo la natura del Tempo , del Luogo e dell'Uomo : nativo
  ... L'ambiente umano può essere concepito e creato secondo natura : secondo la natura del Tempo , del Luogo e dell'Uomo : nativo ...
... Più un edificio , inteso come idea , è vero rispetto all'Idea , più amo quell'edificio ...
... La vita è pienezza d'amore quando è normale rispetto all'essere umano , e ciò tanto nel campo delle idee , o nella natura degli edifici , quanto nel comportamento . Vera qualità dell'uomo ... è proprio il corpo , se e quando è usato sotto la guida dello spirito ... L'amore che riconosciamo bellezza e la bellezza che riconosciamo amore sarà naturale alla nostra civiltà ...
... Ho sempre voluto costruire per l'uomo d'oggi , costruirgli dentro il suo domani , organico rispetto al suo Tempo e al suo Luogo d'Uomo moderno ... architettura intrinseca al Tempo , al Luogo e all'Uomo ...
... Questo liberarsi dello spirito umano passa davanti a noi nel nostro Tempo ; tocca a noi . Perciò l'architettura oggi consegue un senso nuovo della scala : la scala dell'essere umano , dell'uomo stesso . Una libertà maggiore , in tutta la gamma dei modi di abitare , diviene non soltanto suo desiderio ma suo privilegio . Gli appartiene ora una grande semplicità ; la semplicità dell'organismo perfetto può essere sua , in tutto ciò che fa . Umana dignità radicata nell'unione della natura fisica dell'uomo con la sua sensibilità spirituale ... Nel regno della sua fantasia si profilano forme , che hanno vita soltanto in libertà di spirito . Fluire , sgorgare di spazio anziché statico ordine . La liberazione che si realizza in pieno ... L'architettura ... è generosa , spaziosa e plastica ... espressione della sua nuova libertà ... veracemente libera il senso umano che l'uomo nutre di sé in quanto Uomo ... rivelazione che egli non può concepire nulla di più alto della propria anima , e che quando interpreta se stesso dall'interno la sua espressione intrinseca sarà tutto il paradiso che egli possa immaginare e comunque desiderare...
... Affermare che l'ornamentazione è genuina , significa dire che essa è autoctona . L'ornamentazione è intrinseca all'umano essere di ogni essere umano ... Simpatia e gentilezza , un raffinato sentire nella sfera del cuore umano , sono , nel comportamento , come la grazia e la bellezza dell'ornamentazione nell'architettura organica ...
... Ogni edificio vero , come ogni totalità musicale , ha il suo fulcro , i suoi flussi , e sta armonicamente nel suo luogo , come un cigno nel suo specchio d'acqua ...
... Se intendete praticare il culto della vita nel disordine del mondo contemporaneo , rammentate la profezia dell'Uomo per eccellenza :" Il Regno di Dio è dentro di voi " . Potrete raggiungere il Dio che è dentro di voi attraverso il culto della Natura , attraverso la semplice rivelazione della vostra stessa natura . L'architettura organica è sorta attraverso questo senso nuovo dell'individualità ...
... La Legge del Mutamento è il grande fattore "eterno" della verità . E' la libertà , questo "grande divenire" ...
... l'originalità di pensiero è la suprema delle qualità umane ...
... L'architetto artista sarà un uomo ispirato dall'amore per la Natura , e conoscerà che non l'uomo è fatto per l'architettura , ma l'architettura per l'uomo . Non vedrà mai nel mestiere dell'architetto un affare , ma sempre una religione , fondamentale per il benessere e la cultura dell'umanità , come , al suo supremo livello , è sempre stata . E dobbiamo riconoscere l'architetto creativo come poeta e interprete della vita ...
... Il decentramento e la reintegrazione organica della città sono primariamente compito dell'architettura ...
    ... PARENTELA DELL'EDIFICIO COL SUOLO : ... la figura umana come la vera base della scala umana dell'architettura ... la linea orizzontale , serena e intuitiva ... grazia e appropriatezza dell'architettura come arte , rispetto al Tempo , al Luogo e all'Uomo moderno ... sempre , nell'architettura organica , ho adoperato la macchina ed ho sviluppato un sistema costruttivo che procedeva dall'interno verso l'esterno , accordando sempre l'edificio alla natura sia dell'uomo che della macchina ...
... IL MODULO DEL KINDERGARTEN : ... la mia attività compositiva si imperniò su un opportuno sistema modulare e proporzionale . Mi accorsi che esso avrebbe mantenuto ogni cosa alla propria scala , avrebbe assicurato un'armonica proporzionalità a tutto l'edificio , grande o piccolo , che in tal modo sarebbe divenuto - come un arazzo - un tessuto coerente di unità interdipendenti , e sempre in relazione l'una all'altra , per quanto varie ...
... DECENTRAMENTO : ... il decentramento urbano era inevitabile : era una necessità di crescita , perché la crescita cercava spazi nuovi , comunque e dovunque potesse trovarli ... vivere doveva essere una qualità dello spirito umano ... una vita nuova  , quella dell'urbanismo rurale e dell'agricoltura urbana , virtualmente le nozze tra città e campagna ...
... IL CARATTERE E' FATTORE INTRINSECO : Ogni architettura organica ha come componente inevitabile un suo " carattere " , definito e appropriato . Il significato di qualsiasi edificio dovrebbe esprimere esplicitamente il suo fine , il suo contenuto : magazzino , casa d'appartamenti , banca , chiesa , albergo , club , fabbrica , circo o scuola ... nuovi modi e nuove forme di costruzione continueranno a garantire un carattere nuovo e un significato autentico ad ogni edificio moderno ... Risultato dell'arte del costruire dovrebbe essere una poetica  serenità , anziché una "efficienza" mortale , in sempre maggior copia . Armoniosa , sana , esuberante e conveniente al fine : durevole , razionale , economica . Bella ...
... SNELLEZZA PIU' CONTINUITA' : ... La costruzione alleggerita per mezzo dell'acciaio aggettante in tensione (snellezza) , fa della continuità una preziosissima caratteristica dell'alleggerirsi architettonico . La nostra nuova libertà architettonica oggi sta in questa direzione di ricerca . Nel carattere determinato da questa situazione nuova , gli edifici possono oggi svilupparsi dall'interno verso l'esterno : poiché oggi le funzioni sia del tendere che del tirare possono essere integrali rispetto alla composizione architettonica ...
... INTERPRETAZIONE DELLA TERZA DIMENSIONE : ... l'architettura organica considera la terza dimensione mai come peso o puro spessore , ma sempre come profondità . La profondità è un elemento dello spazio ; la terza dimensione ( ovvero spessore ) si è trasformata in dimensione spaziale ... ogni composizione architettonica diventa , quindi , effettivamente quadridimensionale ... In ogni parte dell'edificio agisce la libertà . Lo spazio è l'elemento fondamentale della composizione architettonica ...
... SPAZIO : ... Lo Spazio , l'elemento stesso dell'Architettura , ha trovato infine espressione architettonica ... nuovi usi dello spazio da vivere , usi più esuberanti e più sereni . Una sicurezza nuova e una nuova pacatezza . Gioia illuminata di fresca bellezza già appare , o verrà ... Presto vedremo nascere la casa come opera d'arte ; una casa che più che mai sarà focolare , proprio perché possiederà una sua intrinseca bellezza ...
... FORMA : ... si manifesta un senso della forma architettonica , ed è inteso come nuova integrità spirituale ... E non solo piacevolezza e qualità per il pratico impiego consente oggi lo spazio , ma offre pure bellezza d'aspetto e di forma e un nuovo e valido tipo d'abitazione per la specie umana ... costituire un'espressione libera , eppure economicamente conveniente , di ciò che realmente sono , di ciò che realmente significano ... un'arte flessibile , varia , infinita nelle sue possibilità quanto lo spirito dell'uomo ...
... UNITA' ORGANICA : ... Così ambiente ed edificio sono una cosa sola ; piantare gli alberi nel terreno che circonda l'edificio , quanto arredare l'edificio stesso , acquistano un'importanza nuova , poiché divengono elementi in armonia con lo spazio interno nel quale si vive . Il luogo (la costruzione , l'arredamento) - ed anche la decorazione , e anche gli alberi - tutto diviene una cosa sola  nell'architettura organica ... sintesi nella quale confluiscono tutti gli aspetti dell'abitare , e si pongono in armonia con l'ambiente . Questo appunto è ciò che la posterità definirà " architettura organica " ...
... LA COPERTURA E IL SUO UMANO SIGNIFICATO : ... L'architettura organica considera la copertura una qualità non soltanto dello spazio ma dello spirito , la vede come il fattore primario di ogni concezione che intenda costruire per l'uomo nel suo ambiente , intendendo l'uomo come legittimo elemento dell'ambiente . L'ambiente meteorologico è onnipresente e gli edifici devono essere lasciati fuori , alla pioggia . A questi elementi meteorologici la copertura è dedicata ...
... IL CLIENTE : ... l'architettura moderna implica una collaborazione da parte del cliente , collaborazione che dev'essere di gran lunga più intelligente che in passato ... l'investimento nella " casa come opera d'arte " è oggi quanto di più saggio si possa avere . L'alloggio " come opera d'arte " è un luogo migliore in cui vivere , col quale , per il quale , del quale vivere , in ogni senso ... Gli interessi dell'architetto e quelli del proprietario sono qui mutuamente connessi , interdipendenti ...
... MATERIALI : ... Tutti i materiali atti ad essere usati in edilizia sono importanti , più che mai . Sono tutti significativi : ognuno secondo la propria particolare natura . Materiali vecchi e nuovi hanno il proprio contributo vivente da offrire alla forma , al carattere e alla qualità di qualsiasi edificio . Ogni materiale può divenire un felice fattore determinante ... usare erroneamente qualsiasi materia è tradire l'integrità di tutta la composizione ...
... STILE : ... Non esiste uno stile vero che non sia autoctono ... " Lo stile è l'uomo " ...
... L'edificio è un organismo soltanto se armonizza l'interno con l'esterno e ambedue col proprio carattere e fine , e col processo costruttivo , e col luogo , e col tempo ...
... Ho sempre voluto costruire per l'uomo d'oggi , costruirgli dentro il suo domani , organico rispetto al suo Tempo e al suo Luogo d'Uomo moderno ...
Frank Lloyd Wright
Fonte Testo : Testamento , di Frank Lloyd Wright , Einaudi , Torino , 1963 .
 

sabato 15 novembre 2008

l'arte degenerata

A CURA DI D. PICCHIOTTI
l'arte degenerata
Con l'avvento del nuovo regime nazionalsocialista in Germania, i Nazisti iniziarono un programma di pulizia etnica anche nell'ambito dell'arte,"epurando" i musei tedeschi da tutte le opere moderne: cubiste, espressioniste, dadaiste, astrattiste e primitiviste.
Vennero confiscate più di seimila opere, tra quadri e sculture, in parte destinate al rogo, in parte vendute all'asta a musei americani e svizzeri e in parte esposte al pubblico ludibrio nella mostra di Arte degenerata. In questa mostra, inaugurata da Hitler nel 1937, le opere erano accompagnate da scritte dispregiative e dal prezzo ovviamente "altissimo", che i musei avevano precedentemente pagato agli "speculatori ebrei". L'esposizione si proponeva di mostrare al pubblico quei generi artistici non ammessi dalla nuova "razza superiore", definiti appunto come "degenerati". L'apertura dell'esposizione avvenne il giorno dopo l'inaugurazione di una Grande Rassegna di arte Germanica, che comprendeva invece opere gradite al regime. Per effetto indesiderato, e per questo destinato a diventare un boomerang, la mostra di arte degenerata ebbe un successo di gran lunga maggiore di quella di arte ufficiale; la sua apertura dovette essere prolungata ed il pubblico (si conteranno alla fine più di un milione duecentomila persone) fu costretto a lunghe attese prima di vederla, attratto soprattutto dallo scandalismo per il quale essa era stata vietata ai più giovani. Il risultato di tale programma fu l'enorme pubblicità all'estetica "degenerata", destinata a diffondersi ovunque a distanza di pochi anni, a regime nazista finito.

Arte e cultura nel regime nazionalsocialista
I nazionalsocialisti cercarono di riformare l’intera cultura e di assoggettarla alla loro ideologia, con un regime totalitario ed una cultura omologata dall’apparato di potere nazionalsocialista. Il nuovo uomo-modello doveva corrispondere all’ideale razzista e divenne il soggetto caratteristico e dominante dell’arte nazionalsocialista. La visione artistica del Terzo Reich è fedelmente rispecchiata nei quadri di Arno Breker. Culto del corpo, unità razziale e forza militare costituiscono la base dell’ideale dei nazionalsocialisti.
La nuova cultura unitaria,con la riunione di tutti i cittadini nella cerchia della Corte Imperiale Culturale, distrusse la molteplicità culturale in Germania. L’astensione da tale organo significava il divieto a numerosi letterati, ebrei, democratici e artisti di svolgere la propria attività.
Poiché Hitler si sentiva particolarmente competente nel settore dell’arte e dell’architettura, intervenne in modo smodato nelle attività artistiche: impose l’annientamento di ogni influsso stilistico moderno internazionale, che doveva essere schiacciato dalla rappresentazione del patetico eroismo dell’anima e del corpo.



Dal discorso di Adolf Hitler durante il congresso sulla cultura, 1935
"Sono certo che pochi anni di governo politico e sociale nazionalsocialista porteranno ricche innovazioni nel campo della produzione artistica e grandi miglioramenti nel settore rispetto ai risultati degli ultimi anni del regime giudaico.
(…) Per raggiungere tale fine, l’arte deve proclamare imponenza e bellezza e quindi rappresentare purezza e benessere. Se questa è tale, allora nessun’offerta è per essa troppo grande. E se essa tale non è, allora è peccato sprecarvi un solo marco. Perché allora essa non è un elemento di benessere, e quindi del progetto del futuro, ma un segno di degenerazione e decadenza. Ciò che si rivela il "culto del primitivo" non è espressione di un’anima naif, ma di un futuro del tutto corrotto e malato.
(…) Chiunque ad esempio volesse giustificare i disegni o le sculture dei nostri dadaisti, cubisti, futuristi o di quei malati espressionisti, sostenendo lo stile primitivista, non capisce che il compito dell’arte non è quello di richiamare segni di degenerazione, ma quello di trasmettere benessere e bellezza. Se tale sorta di rovina artistica pretende di portare all’espressione del "primitivo" nel sentimento del popolo, allora il nostro popolo è cresciuto oltre la primitività di tali "barbari".
Dal discorso di Joseph Göbbels
Göbbels fu un ben strano personaggio, in un primo tempo ammiratore di pittori moderni, poi tutti violentemente rigettati. Göbbels, dopo aver accennato qualche velleità d'indipendenza artistica, si schiera prontamente, e con opportunismo, dalla parte di Hitler. Preoccupato per la propria posizione in seno all'equipe dirigente, onde evitare critiche che lo avrebbero fatto cadere in disgrazia, egli appoggia il Führer e lo difende accanitamente nei suoi principi per un'arte ariana e antisemita. Così anche per Göbbels l'espressionismo, il primitivismo, il cubismo ed ogni altra forma d'arte moderna e d'avanguardia diventano bersagli di violenti attacchi.
"Dalla presa del potere ho lasciato quattro anni di tempo alla critica d’arte tedesca per orientarsi in base ai principi del nazionalsocialismo. Dato che neanche l’anno 1936 ha segnato un miglioramento in questo senso, proibisco da oggi una continuazione della critica d’arte nella forma adottata finora. Al posto della critica d’arte esistita finora da oggi viene istituito il resoconto d’arte, e il redattore d’arte al posto del critico d’arte. Il resoconto deve essere molto più una descrizione di un’interpretazione, quindi un omaggio. (…) . Esso richiede cultura, tatto, adeguato animo e rispetto per il volere artistico. (…) All’interno delle liste dei lavori della stampa tedesca la carica del redattore d’arte è legata ad un’autorizzazione particolare, la quale a sua volta è dipendente dalla dimostrazione del possesso di una sufficiente conoscenza del campo artistico all’interno del quale il redattore sarà attivo prossimamente."
Arte degenerata
Nel 1937 a Monaco i nazisti organizzano un’esibizione di quella che loro chiamavano Entartete Kunst, cioè arte degenerata. Lo scopo della mostra è quello di far sapere ai tedeschi che certe forme e generi artistici non sono accettati dalla razza superiore, quest'arte è degenerata in quanto ebraica, bolscevica o comunque di razza inferiore. Qualsiasi cosa che non rientri nel modo di pensare di Hitler è considerato "degenerato", perché l’arte deve esaltare lo stile di vita ariano. Gli autori delle opere proibite, dichiarati malati, sono per la maggior parte espressionisti, proprio quegli artisti che oggi tutti riconoscono come personalità di spicco: Ernst Barlach, Max Beckmann, Otto Dix, Wassily Kandinsky, Paul Klee, Käthe Kollowitz, Max Liebermann, Ernst Ludwig Kirchner, Emil Nolde, Edward Munch e molti altri senza escludere "il più degenerato degli artisti", Pablo Picasso.
Inaugurata da Hitler e Göbbels, l'esposizione è accompagnata da un catalogo illustrato, che in un capitolo introduttivo spiega i fini di siffatta manifestazione e presenta l'insieme delle opere raggruppandole sotto vari temi, ad esempio: "Manifestazioni dell'arte razzista giudaica", "Invasione del bolscevismo in arte", "La donna tedesca messa in ridicolo", "Oltraggio agli eroi"," I contadini tedeschi visti dagli ebrei", "La follia eretta a metodo" o "La natura vista da menti malate".
Le tele esposte sono circondate da slogan che puntano a metterle in ridicolo, e accompagnate, a titolo di confronto, dai disegni di malati mentali internati.
La mostra dà inizio ad una serie d'eventi artistici nella Germania di quei tempi, che risultano un metodo molto efficace per condizionare l’opinione generale. I nazisti, con sapiente regia ed efficace suggestione propagandistica, distruggono alcune opere d’arte in pubblico, così da creare quelli che spregiativamente vengono appellati "martiri". Il modo in cui lo fecero funzionò e così tutta l’arte d'avanguardia venne etichettata come incomprensibile.
Con la salita al potere del partito nazionalsocialista nel 1933, in Germania, era già stata proibita l’esposizione di qualsiasi opera delle avanguardie in musei pubblici e gallerie d’arte e gli artisti erano stati messi sotto sorveglianza.
La repressione culturale raggiunse il suo culmine nel 1937, con la mostra di cui ci occupiamo, nella quale furono esposte oltre 650 opere precedentemente confiscate, di 112 artisti che i nazisti consideravano decadenti. La maggior parte delle opere doveva la sua etichetta di degenerata al fatto di provenire da artisti di sinistra, o semplicemente a causa della loro visione antinazista. Altri artisti vennero considerati degenerati per via delle loro origini ebraiche.
L’esposizione delle opere della Entartete Kunst aveva come scopo quello di mostrare al popolo quale forma d’arte veniva da quel momento in poi riconosciuta come "accettata" e quella invece "degenerata", non ammessa alla nuova cultura. Oggi essa ci dà un quadro dell’intollerante mentalità imposta da Hitler durante il regime nazionalsocialista e della ingiusta svalutazione che egli ha fatto di notevoli personalità e di affascinanti e singolari movimenti artistici, che oggi vengono ancora o nuovamente studiati ed ammirati.
Dal discorso di Hitler per l'inaugurazione della "PRIMA GRANDE ESPOSIZIONE DI ARTE TEDESCA"
In questa prima mostra della nuova arte tedesca vennero esposte opere d'arte contemporanea che rispecchiavano il nuovo ideale nazionalsocialista, venerato durante la dittatura di Hitler. Queste opere erano in contrapposizione con quelle della Entartete Kunst; infatti erano destinate a rappresentare la bellezza e il benessere del nuovo regime.
Questo discorso richiama la mentalità imposta da Hitler.
Völkischer Beobachter, 19 luglio1937
"Vorrei quindi, oggi in questa sede, fare la seguente constatazione: fino all'ascesa al potere del Nazionalsocialismo c'era in Germania un' arte cosiddetta "moderna", cioè, come appunto è nell'essenza di questa parola, ogni anno un'arte diversa. Ma la Germania nazionalsocialista vuole di nuovo un' "arte tedesca", ed essa deve essere e sarà, come tutti i valori creativi di un popolo, un'arte eterna. Se invece fosse sprovvista di un tale valore eterno per il nostro popolo, allora già oggi sarebbe priva di un valore superiore.
Quando fu posta la prima pietra di questa casa, ebbe inizio la costruzione di un tempio non alla cosiddetta arte moderna, ma una vera ed eterna arte tedesca, o meglio: si erigeva una sede per l'arte del popolo tedesco non per una qualche arte internazionale del 1937, '40, '50 o '60.
Perché l'arte non trova fondamento nel tempo, ma unicamente nei popoli.
L'artista perciò non deve innalzare un monumento al suo tempo, ma al suo popolo. Perché il tempo è qualcosa di mutevole, gli anni sopravvengono e passano. Ciò che vivesse solo in grazia di una determinata epoca dovrebbe decadere con essa.
Questa caducità dovrebbe toccare non solo ciò che è nato prima di noi, ma anche ciò che oggi nasce davanti ai nostri occhi o che solo nel futuro troverà la sua forma.
(...)


Sappiamo dalla storia del nostro popolo che esso si compone di un certo numero di razze più o meno differenziate, che nel corso dei secoli, sotto l'influsso plasmante di un nucleo razziale dominante, hanno prodotto quella mescolanza che oggi noi abbiamo dinanzi agli occhi appunto nel nostro popolo.
Questa forza che un tempo plasmò il popolo, che perciò tuttora agisce, risiede nella stessa umanità ariana che noi riconosciamo non solo quale depositaria della nostra cultura propria, ma anche delle antiche culture che ci hanno preceduto.
Questa formula di composizione del nostro carattere nazionale determina la poliedricità del nostro specifico sviluppo culturale, come anche la naturale parentela che ne deriva con i popoli e le culture dei nuclei razziali simili appartenenti alla famiglia dei popoli europei. Tuttavia noi, che viviamo nel popolo tedesco il risultato finale in questo graduale sviluppo storico, auspichiamo un'arte che anche al suo interno tenga sempre più conto del processo di unificazione di questa compagine razziale e di conseguenza assuma un indirizzo organico ed unitario".
La mostra dell'arte degenerata
Con l'avvento del nuovo regime nazionalsocialista in Germania, i Nazisti iniziarono un programma di pulizia etnica anche nell'ambito dell'arte,"epurando" i musei tedeschi da tutte le opere moderne: cubiste, espressioniste, dadaiste, astrattiste e primitiviste.
Vennero confiscate più di seimila opere, tra quadri e sculture, in parte destinate al rogo, in parte vendute all'asta a musei americani e svizzeri e in parte esposte al pubblico ludibrio nella mostra di Arte degenerata. In questa mostra, inaugurata da Hitler nel 1937, le opere erano accompagnate da scritte dispregiative e dal prezzo ovviamente "altissimo", che i musei avevano precedentemente pagato agli "speculatori ebrei". L'esposizione si proponeva di mostrare al pubblico quei generi artistici non ammessi dalla nuova "razza superiore", definiti appunto come "degenerati". L'apertura dell'esposizione avvenne il giorno dopo l'inaugurazione di una Grande Rassegna di arte Germanica, che comprendeva invece opere gradite al regime. Per effetto indesiderato, e per questo destinato a diventare un boomerang, la mostra di arte degenerata ebbe un successo di gran lunga maggiore di quella di arte ufficiale; la sua apertura dovette essere prolungata ed il pubblico (si conteranno alla fine più di un milione duecentomila persone) fu costretto a lunghe attese prima di vederla, attratto soprattutto dallo scandalismo per il quale essa era stata vietata ai più giovani. Il risultato di tale programma fu l'enorme pubblicità all'estetica "degenerata", destinata a diffondersi ovunque a distanza di pochi anni, a regime nazista finito.
Arte e cultura nel regime nazionalsocialista
I nazionalsocialisti cercarono di riformare l’intera cultura e di assoggettarla alla loro ideologia, con un regime totalitario ed una cultura omologata dall’apparato di potere nazionalsocialista. Il nuovo uomo-modello doveva corrispondere all’ideale razzista e divenne il soggetto caratteristico e dominante dell’arte nazionalsocialista. La visione artistica del Terzo Reich è fedelmente rispecchiata nei quadri di Arno Breker. Culto del corpo, unità razziale e forza militare costituiscono la base dell’ideale dei nazionalsocialisti.
La nuova cultura unitaria,con la riunione di tutti i cittadini nella cerchia della Corte Imperiale Culturale, distrusse la molteplicità culturale in Germania. L’astensione da tale organo significava il divieto a numerosi letterati, ebrei, democratici e artisti di svolgere la propria attività.
Poiché Hitler si sentiva particolarmente competente nel settore dell’arte e dell’architettura, intervenne in modo smodato nelle attività artistiche: impose l’annientamento di ogni influsso stilistico moderno internazionale, che doveva essere schiacciato dalla rappresentazione del patetico eroismo dell’anima e del corpo.
Dal discorso di Adolf Hitler durante il congresso sulla cultura, 1935
"Sono certo che pochi anni di governo politico e sociale nazionalsocialista porteranno ricche innovazioni nel campo della produzione artistica e grandi miglioramenti nel settore rispetto ai risultati degli ultimi anni del regime giudaico.
(…) Per raggiungere tale fine, l’arte deve proclamare imponenza e bellezza e quindi rappresentare purezza e benessere. Se questa è tale, allora nessun’offerta è per essa troppo grande. E se essa tale non è, allora è peccato sprecarvi un solo marco. Perché allora essa non è un elemento di benessere, e quindi del progetto del futuro, ma un segno di degenerazione e decadenza. Ciò che si rivela il "culto del primitivo" non è espressione di un’anima naif, ma di un futuro del tutto corrotto e malato.
(…) Chiunque ad esempio volesse giustificare i disegni o le sculture dei nostri dadaisti, cubisti, futuristi o di quei malati espressionisti, sostenendo lo stile primitivista, non capisce che il compito dell’arte non è quello di richiamare segni di degenerazione, ma quello di trasmettere benessere e bellezza. Se tale sorta di rovina artistica pretende di portare all’espressione del "primitivo" nel sentimento del popolo, allora il nostro popolo è cresciuto oltre la primitività di tali "barbari".
Dal discorso di Joseph Göbbels
Göbbels fu un ben strano personaggio, in un primo tempo ammiratore di pittori moderni, poi tutti violentemente rigettati. Göbbels, dopo aver accennato qualche velleità d'indipendenza artistica, si schiera prontamente, e con opportunismo, dalla parte di Hitler. Preoccupato per la propria posizione in seno all'equipe dirigente, onde evitare critiche che lo avrebbero fatto cadere in disgrazia, egli appoggia il Führer e lo difende accanitamente nei suoi principi per un'arte ariana e antisemita. Così anche per Göbbels l'espressionismo, il primitivismo, il cubismo ed ogni altra forma d'arte moderna e d'avanguardia diventano bersagli di violenti attacchi.
"Dalla presa del potere ho lasciato quattro anni di tempo alla critica d’arte tedesca per orientarsi in base ai principi del nazionalsocialismo. Dato che neanche l’anno 1936 ha segnato un miglioramento in questo senso, proibisco da oggi una continuazione della critica d’arte nella forma adottata finora. Al posto della critica d’arte esistita finora da oggi viene istituito il resoconto d’arte, e il redattore d’arte al posto del critico d’arte. Il resoconto deve essere molto più una descrizione di un’interpretazione, quindi un omaggio. (…) . Esso richiede cultura, tatto, adeguato animo e rispetto per il volere artistico. (…) All’interno delle liste dei lavori della stampa tedesca la carica del redattore d’arte è legata ad un’autorizzazione particolare, la quale a sua volta è dipendente dalla dimostrazione del possesso di una sufficiente conoscenza del campo artistico all’interno del quale il redattore sarà attivo prossimamente."
Arte degenerata
Nel 1937 a Monaco i nazisti organizzano un’esibizione di quella che loro chiamavano Entartete Kunst, cioè arte degenerata. Lo scopo della mostra è quello di far sapere ai tedeschi che certe forme e generi artistici non sono accettati dalla razza superiore, quest'arte è degenerata in quanto ebraica, bolscevica o comunque di razza inferiore. Qualsiasi cosa che non rientri nel modo di pensare di Hitler è considerato "degenerato", perché l’arte deve esaltare lo stile di vita ariano. Gli autori delle opere proibite, dichiarati malati, sono per la maggior parte espressionisti, proprio quegli artisti che oggi tutti riconoscono come personalità di spicco: Ernst Barlach, Max Beckmann, Otto Dix, Wassily Kandinsky, Paul Klee, Käthe Kollowitz, Max Liebermann, Ernst Ludwig Kirchner, Emil Nolde, Edward Munch e molti altri senza escludere "il più degenerato degli artisti", Pablo Picasso.
Inaugurata da Hitler e Göbbels, l'esposizione è accompagnata da un catalogo illustrato, che in un capitolo introduttivo spiega i fini di siffatta manifestazione e presenta l'insieme delle opere raggruppandole sotto vari temi, ad esempio: "Manifestazioni dell'arte razzista giudaica", "Invasione del bolscevismo in arte", "La donna tedesca messa in ridicolo", "Oltraggio agli eroi"," I contadini tedeschi visti dagli ebrei", "La follia eretta a metodo" o "La natura vista da menti malate".
Le tele esposte sono circondate da slogan che puntano a metterle in ridicolo, e accompagnate, a titolo di confronto, dai disegni di malati mentali internati.
La mostra dà inizio ad una serie d'eventi artistici nella Germania di quei tempi, che risultano un metodo molto efficace per condizionare l’opinione generale. I nazisti, con sapiente regia ed efficace suggestione propagandistica, distruggono alcune opere d’arte in pubblico, così da creare quelli che spregiativamente vengono appellati "martiri". Il modo in cui lo fecero funzionò e così tutta l’arte d'avanguardia venne etichettata come incomprensibile.
Con la salita al potere del partito nazionalsocialista nel 1933, in Germania, era già stata proibita l’esposizione di qualsiasi opera delle avanguardie in musei pubblici e gallerie d’arte e gli artisti erano stati messi sotto sorveglianza.
La repressione culturale raggiunse il suo culmine nel 1937, con la mostra di cui ci occupiamo, nella quale furono esposte oltre 650 opere precedentemente confiscate, di 112 artisti che i nazisti consideravano decadenti. La maggior parte delle opere doveva la sua etichetta di degenerata al fatto di provenire da artisti di sinistra, o semplicemente a causa della loro visione antinazista. Altri artisti vennero considerati degenerati per via delle loro origini ebraiche.
L’esposizione delle opere della Entartete Kunst aveva come scopo quello di mostrare al popolo quale forma d’arte veniva da quel momento in poi riconosciuta come "accettata" e quella invece "degenerata", non ammessa alla nuova cultura. Oggi essa ci dà un quadro dell’intollerante mentalità imposta da Hitler durante il regime nazionalsocialista e della ingiusta svalutazione che egli ha fatto di notevoli personalità e di affascinanti e singolari movimenti artistici, che oggi vengono ancora o nuovamente studiati ed ammirati. Dal discorso di Hitler per l'inaugurazione della "PRIMA GRANDE ESPOSIZIONE DI ARTE TEDESCA"
In questa prima mostra della nuova arte tedesca vennero esposte opere d'arte contemporanea che rispecchiavano il nuovo ideale nazionalsocialista, venerato durante la dittatura di Hitler. Queste opere erano in contrapposizione con quelle della Entartete Kunst; infatti erano destinate a rappresentare la bellezza e il benessere del nuovo regime.
Questo discorso richiama la mentalità imposta da Hitler.
"Vorrei quindi, oggi in questa sede, fare la seguente constatazione: fino all'ascesa al potere del Nazionalsocialismo c'era in Germania un' arte cosiddetta "moderna", cioè, come appunto è nell'essenza di questa parola, ogni anno un'arte diversa. Ma la Germania nazionalsocialista vuole di nuovo un' "arte tedesca", ed essa deve essere e sarà, come tutti i valori creativi di un popolo, un'arte eterna. Se invece fosse sprovvista di un tale valore eterno per il nostro popolo, allora già oggi sarebbe priva di un valore superiore.
Quando fu posta la prima pietra di questa casa, ebbe inizio la costruzione di un tempio non alla cosiddetta arte moderna, ma una vera ed eterna arte tedesca, o meglio: si erigeva una sede per l'arte del popolo tedesco non per una qualche arte internazionale del 1937, '40, '50 o '60.
Perché l'arte non trova fondamento nel tempo, ma unicamente nei popoli.
L'artista perciò non deve innalzare un monumento al suo tempo, ma al suo popolo. Perché il tempo è qualcosa di mutevole, gli anni sopravvengono e passano. Ciò che vivesse solo in grazia di una determinata epoca dovrebbe decadere con essa.
Questa caducità dovrebbe toccare non solo ciò che è nato prima di noi, ma anche ciò che oggi nasce davanti ai nostri occhi o che solo nel futuro troverà la sua forma.
Sappiamo dalla storia del nostro popolo che esso si compone di un certo numero di razze più o meno differenziate, che nel corso dei secoli, sotto l'influsso plasmante di un nucleo razziale dominante, hanno prodotto quella mescolanza che oggi noi abbiamo dinanzi agli occhi appunto nel nostro popolo.
Questa forza che un tempo plasmò il popolo, che perciò tuttora agisce, risiede nella stessa umanità ariana che noi riconosciamo non solo quale depositaria della nostra cultura propria, ma anche delle antiche culture che ci hanno preceduto.
Questa formula di composizione del nostro carattere nazionale determina la poliedricità del nostro specifico sviluppo culturale, come anche la naturale parentela che ne deriva con i popoli e le culture dei nuclei razziali simili appartenenti alla famiglia dei popoli europei. Tuttavia noi, che viviamo nel popolo tedesco il risultato finale in questo graduale sviluppo storico, auspichiamo un'arte che anche al suo interno tenga sempre più conto del processo di unificazione di questa compagine razziale e di conseguenza assuma un indirizzo organico ed unitario".