mercoledì 12 novembre 2008

Cintura di castità

A CURA DI D. PICCHIOTTI

Cinture di Castità Storiche
Le leggende affermano che le Cinture di Castità sono state utilizzate per la prima volta ai tempi delle crociate, per preservare la castità delle mogli dei cavalieri. Queste teorie sono pura aneddotica, in quanto non ci sono prove storiche a supportare questa tesi, mentre vi sono molte motivazioni pratiche a suggerire l'infondatezza di tale teoria. E' infatti virtualmente impossibile indossare senza interruzione una cintura di castità per periodi così lunghi (mesi o anche anni) e non finire nei guai per motivi squisitamente igienici. Alcuni storici italiani ritengono che la Cintura di Castità sia stata utilizzata per la prima volta in Italia, probabilmente tra il XIV ed il XV secolo. E' chiamata infatti il congegno fiorentino in un documento, datato 1405, conservato nella Biblioteca di Gottinga, in Germania. Molte delle cinture storiche che sono conservate nelle collezioni di musei europei sono state utilizzate da donne nobili: la Cintura conservata nel Palazzo dei Dogi di Venezia apparteneva alla moglio di Francesco II di Carrara, mentre le cinture custodite nel museo di Cluny a Parigi sembra siano state commissionate da Enrico II per sua moglie Caterina De Medici e da Luigi XIII per Anna D'Austria. Nel 1750 Freydier de Nimes pubblicò la prima requisitoria contro l'uso dei lucchetti e delle cinture di castità, in cui sosteneva che Francesco II di Carrara fosse l'inventore della Cintura e di altri dispositivi simili, come l'ostacolo che usava per sua moglie. La maggioranza delle cinture antiche sono conformate in maniera simile, con la classica cintura addominale, posta nel punto più stretto della vita, unita ad una banda che copre pube ed ano, con le superfici interne ricoperte di velluto o di pelle. Le cinture erano normalmente chiuse con un solo lucchetto, avanti o dietro. Sono in circolazione molte altre cinture che, nonostante siano state datate prima del XV secolo, sono riproduzioni di vecchie cinture

Nell'anedottica tradizionale si fa risalire l'uso della cintura di castità al tempo delle crociate, collegandola alla necessità, per i cavalieri che partivano per il Santo Sepolcro, di assicurarsi della fedeltà delle proprie consorti, evitando i rischi connessi a un così prolungato distacco. In realtà, una ricostruzione storica più attenta porta a concludere che i primi usi della cintura di castità risalgano, in Italia, al XIV o XV secolo, in particolare negli ambienti dell'alta nobiltà. Il primo documento in cui compare la cintura di castità, è datato 1405 e conservato nella biblioteca di Gottinga (la cintura è qui nominata come "congegno fiorentino"). Indossarono la cintura di castità, fra le altre, Caterina de' Medici, Anna d'Austria, la moglie di Francesco II di Carrara (il quale fu addirittura accusato di esserne l'inventore, in uno scritto del 1750 di Freydier de Nimes). Recentemente, tuttavia, l'esistenza e l'utilizzo della cintura di castità nel medioevo è stata contestata[1]
Sono esistiti svariati tipi di cintura di castità, ma l'aspetto prevalente, essenzialmente, si compone di una banda in vita ed una fascia pubica (che copre completamente i genitali, in modo da renderli inaccessibili), bloccate insieme. Il materiale utilizzato, nelle cinture classiche è solitamente metallico, con un rivestimento, soprattutto interno, di velluto o pelle; le cinture moderne, attualmente in commercio, sono realizzate perlopiù su misura, in acciaio inossidabile rivestito internamento in neoprene o gomma, che assicura una migliore igiene.
L'igiene è infatti uno degli aspetti maggiormente problematici per chi adopera la cintura di castità; essa prevede, in ogni caso, due piccole aperture, anteriore e posteriore, per l'espletazione dei bisogni fisiologici, ma la normale igiene intima risulta in ogni caso di difficile attuazione senza rimuovere la cintura. Naturalmente, per impedire la rimozione della cintura, essa è predisposta per l'applicazione di uno o più lucchetti.

Tradizionalmente l'uso della cintura di castità è correlato all'esigenza maschile di assicurarsi la fedeltà della propria partner, in particolare laddove questa fedeltà sia messa a repentaglio dalla particolare avvenenza o disponibilità sessuale della donna, ovvero dall'impossibilità, per l'uomo, di ottenere un controllo costante del suo comportamento sessuale. A questo uso tradizionale, fortemente connotato di maschilismo e probabilmente semi-leggendario, si correla invece l'esigenza di garantire la sicurezza delle donne, in particolare nobili o comunque aristocratiche, dalla possibilità di essere esposte a stupri o violenze che avrebbero potuto portare, come conseguenza, una filiazione illegittima. Questa esigenza, sia pure in un'epoca diversa, quella moderna, segnata dalla liberazione sessuale e dalla facilità di accesso alla contraccezione, è stata fra i motivi di una ripresa di interesse per l'uso della cintura di castità, la quale riveste, per alcune donne, il ruolo di difesa estrema dal pericolo di aggressioni e stupri, molto sentito dal sesso femminile in particolare nelle metropoli occidentali più esposte alla violenza e alla microcriminalità. Non è noto tuttavia il numero di donne che effettivamente utilizza la cintura di castità con questo scopo (si può immaginarlo, tuttavia, molto ridotto, anche a causa dell'alto costo commerciale della cintura stessa).
Altre motivazioni per l'uso della cintura di castità si riscontrano, in particolare negli ambienti più puritani, fra coloro che ritengono importante il mantenimento della verginità fino al momento del matrimonio. In questo caso la cintura di castità assume il ruolo (auto)dissuasivo, rispetto alla tentazione di un eventuale rapporto pre-matrimoniale: quasi una prova d'amore, fra due fidanzati impegnati nel rinviare il loro primo incontro sessuale.
La motivazione però più diffusa (ed estesa, peraltro, anche ai maschi), probabilmente, per l'uso della cintura, riguarda la comunità BDSM, nella quale l'uso di questo strumento fa parte di quel tipo di dominazione-sottomissione che prevede, da parte dello/a slave (schiavo/a), la disponibilità a lasciare al partner dominante le decisioni riguardo la propria sessualità. In questo caso, è il partner dominante, di solito, a detenere la chiave e quindi a regolare l'uso e la rimozione della cintura, con l'obiettivo, oltre che di indurre l'impossibilità di avere rapporti sessuali, anche di ottenere una maggiore umiliazione e repressione sessuale del soggetto sottomesso, impedendone anche la masturbazione e, nel caso dei maschi, rendendone dolorosa la stessa erezione. In questo tipo di relazioni, il c.d. "dono della chiave", che lo/a slave fa nei confronti del dominante, assume un valore molto significativo, come testimonianza effettiva dell'importanza della relazione e della fiducia che il sottomesso ha, nei confronti di chi assume il controllo sulla sua sessualità. Va infine detto che in alcuni casi questo tipo di disciplina sessuale è applicato a sé stesso, direttamente, senza intervento di estranei, da soggetti praticanti il masochismo sessuale.

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