domenica 28 ottobre 2007

ANNIVERSARI " La poetica di Viani"

LAURA LARCAN

A Matera, nelle chiesi rupestri, una grande antologica celebra lo scultore Alberto Viani, nel centenario della nascita. Quasi 60 sculture e 50 disegni ripercorrono la carriera di un artista che seppe competere con Brancusi, Arp e Giacometti
Matera - La poesia nell'astrazione. L'armonia nel non figurativo. Un'ossessione per la forma, che sapesse evocare senza rivelare, che spingesse al massimo delle possibilità le sue linee fino a schiudere una creatura primordiale. Una passione per la forma stilizzata all'inverosimile, non arcaica, ma ascetica, dove i profili appaiono morbidi e flessuosi, sinuosi e spudoratamente sensuali nel loro moto ondoso che insegue le curve di un'entità femminile. Una perversione per quel ritmo placido ed elegante che scolpisce e rende immortale la fisionomia della donna, che accarezza l'idea immaginifica di un fianco che sprofonda nel ventre per poi risorgere sul seno, nella forza della torsione di un busto muliebre. E' questo che esprime l'arte di Alberto Viani, uno dei più grandi scultori del Novecento italiano di cui quest'anno ricorre il centenario della nascita, avvenuta a Quistello in provincia di Mantova, e che viene celebrato da una monumentale antologica curata da Giuseppe Appella e organizzata dal Comune di Matera e dal Circolo della Scaletta, ospitata, con una perfetta stridente ambientazione, nelle chiese rupestri della città, fino all'8 ottobre.
Qui, nelle cripte della Madonna delle Virtù e San Nicola dei Greci, scavate nella roccia viva, dove la materia esplode nella sua forza più naturale e incontenibile, trovano posto le armonie levigate e pure, di un bianco cangiante, dei gessi di Viani, sofisticate creature primitive che sembrano aver ritrovato il loro antro demiurgico. Uno spettacolo nello spettacolo, in questo allestimento firmato dall'architetto Alberto Zanmatti, che vede sfilare un vasto repertorio di 58 sculture, in larga parte realizzate nel suo materiale prediletto, il gesso, con altre testimonianze in marmo, bronzo e ferro, che coprono un'intera carriera, dalle prime ricerche del 1939 segnate dall'influenza profonda e nobilitante dell'illustre maestro, Arturo Martini, di cui fu assistente all'Accademia di Venezia, fino alle ultime più pionieristiche sperimentazioni dell'astrattismo negli anni Ottanta, nel 1983, nello specifico, sei anni prima di morire a Mestre.
A scortare questa galleria di gioielli plastici, anche una selezione accurata di più di cinquanta disegni, datati 1943 - 1984. Il tutto proveniente da musei italiani e stranieri, da note collezioni private italiane e, soprattutto, dalla figlia Eva che ha offerto la propria completa collaborazione per la riuscita dell'esposizione. Una mostra che fa assaporare un artista importante e competitivo, non solo sulla scena nazionale, ma europea, almeno nella sua stagione più alta, quella degli anni Quaranta e Cinquanta. Troppo spesso decantato come classico o neo-classico, Viani ha sì la lucidità di riconoscere una paternità ispiratrice nella ricercatezza della scultura greca, ma le sue ardite ricerche hanno anche sfiorato la sensualità morbida di Canova, e le virtuose sintesi formali di grandi protagonisti come Brancusi e, a sua volta, Modigliani, le silhouette di Matisse, i volumi levigati colti nel gioco di pieni e vuoti di Henry Moore, le danze acrobatiche di superfici concave e convesse alla Arp, le fisionomie filiformi di Giacometti.
Viani, che partì sì da Martini, non ne adottò completamente la velleità narrativa ma ne sviluppò la chiarezza formale fino ad una visionaria e ardita sintesi plastica. Le sue statue che immortalano sempre figure isolate, con una devozione per la donna, si concentrano principalmente sull'essenza del solo torso nudo che diventa immagine simbolo della vita ma anche ideale estetico di una bellezza corporea. Ecco come, nel percorso naturale e mistico allo stesso tempo dei Sassi di Matera, le opere di Viani appaiono splendide e luminose in questi volumi dai profili sinuosi e continui, sintesi "astrattofigurative - dice Giuseppe Appella - rasserenate da una vita interiore al limite dell'ascesi".
Un omaggio doveroso a questo maestro della materia che ha cavalcato, ma con una proverbiale riservatezza, le impennate sperimentali e gli eventi che hanno segnato l'arte italiana dell'immediato secondo dopoguerra. Quando aderì, forse la sua unica militanza ufficiale, al Fronte Nuovo delle Arti - in vita dal '46 al '48 - che radunava i protagonisti della pittura e della scultura per collaudare una rinnovata arte italiana che esplose alla Biennale del '48, e dove Viani veniva applaudito accanto ai suoi amici e colleghi Vedova, Santomaso e Birolli. Anni in cui Viani seppe districarsi genialmente nella dialettica tendenza tra l'adesione al reale e la sintesi astratta. Lui che rifiutava la lezione post-cubista, che infervorava molti degli artisti sopravvissuti alla guerra e al fascismo, e che prediligeva, invece, una sensibilità alle ricerche verso un'astrazione organica, vicina all'euforia surrealista che già alla fine degli anni Venti aveva convinto uno come Picasso, i cui esiti non erano certo estranei a Viani, attento, scrupoloso, lungimirante osservatore della scena contemporanea. E che da allievo e assistente di Martini all'Accademia di Belle Arti di Venezia, ne diventerà a sua volta titolare della cattedra di scultura.
La mostra ripercorre i suoi cinquant'anni di vita culturale italiana da protagonista principale. Dai momenti epici col "Fronte Nuovo delle Arti" alla famosa mostra del rinnovamento dell'arte italiana alla prima Biennale veneziana del dopoguerra, alla su partecipazione alla retrospettiva sull'arte moderna italiana al Moma di New York (1949), istituzione museale che acquisì per l'occasione il suo "Torso femminile". Una rassegna che documenta le sue molteplici partecipazioni alle Biennali di San Paolo del Brasile, della scultura di Carrara, fino a Documenta di Kassel, al Museo Rodin di Parigi, alle Quadriennali romane, alle mostre d'arte italiana nelle maggiori città del mondo, senza dimenticare le personali alla Biennale lagunare (1952, 1958, allestita con magistrale sensibilità museografica da Carlo Scarpa, 1963 e 1972), fino a Palazzo Te (Mantova 1980), attraverso le quali l'ideale classico della forma assoluta segna il distacco tra la sua opera e quella del suo maestro, sempre sviluppando il mito dell'uomo, ma, come dirà Argan, gravando la figura "in quanto figura storica, di tutte le esperienze che il presente impedisce o di cui distrugge la memoria".

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