martedì 16 ottobre 2007

ARTE INFORMALE

RICERCHE A CURA DI D. PICCHIOTTI

L'arte informale è più o meno consapevolmente, la risposta artistica che l'Europa dà alla profonda crisi morale, politica e ideologica conseguente agli orrori messi in luce dalla seconda guerra mondiale. Per sua stessa natura non è un movimento artistico omogeneo e in esso, pertanto, si raccolgono tendenze tra le più svariate e a volte, anche contrapposte. Sviluppatosi nel decennio tra gli anni Cinquanta e Sessanta, l'Informale si pone in forte polemica con tutto ciò che, in qualche modo, può essere riconducibile ad una forma, sia essa figurativa o anche puramente astratta. L'Informale, dunque, nega in modo esplicito ogni forma e con essa la conoscenza razionale che ne deriva. All'interno del movimento possono individuarsi varie matrici, che traggono soprattutto origine dal movimento Dada, dall'Espressionismo e dal Surrealismo. Da questo esplosivo miscuglio delle principali tematiche delle avanguardie storiche scaturisce una concezione dell'arte ironica e provocatoria, costantemente tesa a negare qualsiasi valore ad ogni attività che presupponga il filtro della ragione. Passioni, tensioni e disagi devono pertanto essere espressi nel modo più libero, spontaneo e violento possibile, al di fuori di qualsiasi schema precostituito e contro ogni regola normalmente accettata. L'evento artistico, svuotato da qualsiasi residuo valore formale, si esaurisce pertanto con l'atto stesso della creazione. In questo nuovo contesto assumono fondamentale importanza i materiali impiegati. Essi non sono più un semplice mezzo del quale l'artista fa uso al fine di esprimere le proprie idee ma, al contrario, diventano i veri protagonisti dell'opera d'arte. Superfici rugose e butterate, ad esempio, richiameranno alla mente sensazioni di spiacevolezza o di conflitto, mentre superfici morbide e levigate indurranno più facilmente alla dolcezza e alla serenità. Nell'uno e nell'altro caso le due componenti fondamentali dell'informale si precisano nel gesto e nella materia. Il primo viene fortemente enfatizzato, come già aveva fatto il Dada, in quanto lo si ritiene unico momento veramente creativo. Arte non è dunque la pittura eseguita ma l'atto di eseguirla. E se arte è eseguire un gesto, il valore artistico sta nel gesto stesso, non più nel prodotto di quel gesto. Ecco allora che il gesto può essere un gesto qualsiasi, non necessariamente un gesto pittorico. Può essere un gesto simbolico, ad esempio, come quello di tagliare una tela, o un gesto di provocazione, come quello di apporre la propria firma (una firma d'artista!) sul corpo nudo di una modella o, ancora, un gesto di protesta, come quello di realizzare macchie più o meno informi. La materia, infine, si trova improvvisamente in primo piano. È nella sua scelta e in quella di tutti i possibili accostamenti tra materie diverse che l'artista manifesta la propria energia creativa. Un ruvido sacco, un lucido rottame d'acciaio, un morbido pezzo di gomma, una fredda luce al neon, una tagliente scheggia di vetro, altro non sono che altrettanti atti artistici. In questo senso l'arte diventa soprattutto scelta e questa nuova visione ne allarga il campo praticamente all'infinito. Tutto, allora, può diventare arte, così come è possibile che nulla effettivamente lo sia. L'artista informale, dunque, non è più colui che crea nuovi eventi, ma colui che sa lasciarli accadere, limitandosi magari a favorirne l'attuazione con la spontaneità del caso o la fantasia del sogno. Emblematica in questo senso è la produzione del tedesco Alfred Otto Wolfgang Wols, che si avvicina alle tematiche informali fin dagli ultimissimi anni della guerra. Nella tela dal titolo significativo di "Pittura" realizzata nel 1945-1946, troviamo già espresse tutte le principali tematiche dell'Informale. I vortici e le macchie di colore fanno evidente riferimento ad un'impostazione di tipo surrealista. Le esperienze più profonde della psiche emergono con spontanea casualità. La trascrizione delle sensazioni avviene con un automatismo slegato da qualsiasi intento descrittivo. Il disagio esistenziale dell'artista si fa direttamente materia, impastandosi con colori misti a sabbia, e saltando del tutto ogni passaggio di tipo figurativo. L'Informale, comunque, non è un fenomeno circoscritto alla sola Europa. Non solo l'Europa, infatti, era stata coinvolta dalla guerra, e la generazione dei sopravvissuti nutriva, a livello mondiale, lo stesso disagio profondo e la stessa incapacità di comunicare. L'Informale è proprio l'arte dell'incomunicabilità o, se vista da una prospettiva meno pessimista, l'arte del tentativo di comunicare di nuovo. Molti e interessanti sono dunque i risvolti informali che maturano sia in Giappone, che l'alleanza alla Germania nazista aveva coinvolto in una terribile crisi di valori e d'identità, in modo particolare dopo il bombardamento atomico di Hiroshima e Nagasaki, sia, soprattutto, negli Stati Uniti. Questi ultimi uscivano vittoriosi dalla guerra, ma con la consapevolezza che era necessario ricostruire al più presto un fruttuoso rapporto di dialogo politico, economico e culturale con il Vecchio Continente. Uno dei massimi esponenti dell'arte "informale materica" europea è Jean Fautrier, ricordiamo anche Alberto Burri, Jean Dubuffet, Jean Fautrier, Hans Hartung, Jean Paul Riopelle, Pierre Soulages, Nicolas De Staël, Antoni Tàpies. Uno dei migliori esponenti dell'arte informale attuale è l'italiano Giorgio Flis.
L'Action Painting* e Pollock.
*L'action painting (letteralmente pittura d'azione) a volte chiamata astrazione gestuale oppure "Espressionismo astratto" è uno stile di pittura nella quale il colore viene fatto sgocciolare spontaneamente, lanciato o macchiato sulle tele, piuttosto che applicato con attenzione. L'opera che ne risulta enfatizza l'atto fisico della pittura stessa.
Lo stile si diffuse negli anni '40 e nei '60, ed è strettamente associato con l'Espressionismo astratto (alcuni critici hanno usato i termini action painting e espressionismo astratto in modo intercambiabile). Una minima comparazione è spesso tracciata tra l'action painting americana e il tachisme francese.
L'arte informale americana, legata alle diverse e più pragmatiche tradizioni di quel popolo, si identifica con la cosiddetta Action Painting, che potremmo forse tradurre come "pittura d'azione". Precoce anticipatrice di alcune tematiche europee, essa si sviluppa nel primo decennio del dopoguerra e per le caratteristiche che assume viene anche definita Espressionismo astratto, in quanto in essa si coniugano la virulenza espressiva e l'assenza di forme immediatamente riconoscibili. Il maggior esponente dell'Action Painting è senza dubbio lo statunitense Jackson Pollock (1912-1956), la cui vita sregolata, stroncata da un incidente d'auto, si riallaccia a quella degli artisti bohémien della Belle époque o dei primi anni del Novecento. Pollock, uno dei pochi artisti-mito dell'ultimo dopoguerra, ha una formazione abbastanza irregolare, trascinata di malavoglia tra varie accademie e scuole d'arti applicate americane. Fin dall'inizio risente molto del fascino della pittura popolare messicana e di quella che gli indiani d'America praticavano secondo riti antichissimi a scopo magico-propiziatorio. Nel 1937, neanche trentenne, Pollock è già gravemente affetto dall'alcolismo e deve sottoporsi a varie terapie psicoanalitiche. Proprio nell'ambiente medico e culturale il giovane artista ha modo di conoscere le ultime avanguardie europee, dalle quali rimane immediatamente affascinato. Nel 1947, infine, Pollock mette a punto la tecnica del dripping, consistente nel sopprimere il pennello e sostituirlo con sgocciolature più o meno regolari di colori sintetici puri su tele o cartoni distesi al suolo. In questo modo si ottengono risultati quasi assolutamente casuali, generando grovigli filamentosi di colore che si sovrappongono gli uni agli altri in un caotico intreccio di schizzi, gocce e colature, come ben si vede in "Foresta Incantata" dove tecnica e soggetto si amalgamano in un'unica ragnatela di segni. Scrive Jackson Pollock: "Io dipingo per terra ma non è una cosa anomala. Gli orientali lo facevano. Il colore che uso quasi sempre è liquido e molto fluido. Utilizzo i pennelli più come bastoni che come veri pennelli. Il pennello non tocca mai la superficie della tela, resta al di sopra". Nel celebre "Pali Blu" infine, realizzato dall'artista nel 1953, si ha un'idea abbastanza precisa di cosa sia il dripping. Lavorando concitatamente intorno alla tela disposta per terra, Jackson Pollock la schizza con batuffoli di cotone, con pennelli da verniciatore e con pezzi di legno; poi vi cola sopra fili sottili di colore che, a seconda del movimento della mano, si distribuiscono o si addensano creando zone di maggiore o minore concentrazione. Quel che ne nasce è un caotico labirinto di segni e colore all'interno del quale è lecito che ciascuno immagini ciò che più desidera o, al contrario, che più teme. I pali blu del titolo corrispondono agli otto segmenti variamente inclinati che percorrono l'intero dipinto. Essi rappresentano gli ultimi elementi geometrici residui, attorno ai quali si addensa il convulso assedio delle sgocciolature variopinte. È il grido disperato della ragione sopraffatta dall'urlo dell'irrazionale. È la testimonianza più tragica dell'intimo tormento di Jackson Pollock, l'eterno ribelle che amava ripetere: "ogni buon artista dipinge solo ciò che è". L'artista entra definitivamente nella leggenda nel 1956, quando muore in un incidente stradale. Acclamato come artista maledetto per eccellenza, come talento giovane, illimitato e autodistruttivo, Jackson Pollock può ben collocarsi tra quelle celebrità "ribelli" a lui contemporanee: l'attore James Dean, anch'egli morto vittima di un incidente stradale alla sola età di ventiquattro anni e lo scrittore Jack Kerouac, per il quale il ricorso all'alcool diventa sempre più sistematico fino al 1969 quando un attacco di ernia non curata chiude un'esperienza umana che sembra segnata dal riconoscimento del primo e fondamentale principio del buddhismo: che la vita umana è essenzialmente dolore.

Nessun commento: