FRANCIS BACON. Una lettura critica
Eventi, di Saramicol Viscardi
La bella mostra retrospettiva “Francis Bacon and the Tradition of Art” che la Fondazione Beyeler ha dedicato al grande maestro inglese (di origine irlandese), ha avuto l’incontestabile merito di offrire una buona selezione delle opere dell’artista, ma soprattutto di permetterci una riflessione con cognizione di causa su tanti aspetti del complesso ed ambiguo linguaggio baconiano.
Le ampie sale ospitavano infatti un ventaglio molto vasto di autori a cui Bacon guardò con ammirazione durante il suo percorso artistico: non solo pittori, come Velázquez, Rembrandt, Picasso (solo per citarne alcuni), ma anche registi come Ejzenštejn e Buñuel. Tele e proiezioni di film storici, dunque, ma anche l’esposizione di riproduzioni di testi molto particolari, che hanno avuto un peso fondamentale nella redazione di molte opere dell’artista, come il volume “The Human Figure in Motion” di E. Muybridge (1887), o un libro sulle malattie della bocca con tavole dipinte a mano da lui acquistato nei primi anni di attivitá. Ritagli, pagine strappate, fotografie con numerosi interventi autografi dell’artista che se ne servì per la composizione e per l’ideazione dei propri lavori. Un tentativo di riprodurre – almeno in parte – quell’universo eterogeneo e sofisticato che doveva albergare nello studio e nella mente del pittore.
Non è un caso che gli autori storici e le illustrazioni a cui Bacon guardò lungo tutta la sua produzione appartengano al genere ‘formale’, poiché l’arte del maestro fu sempre tesa alla riproduzione della realtà, pur senza mai scadere nella banale illustrazione. Questo è un punto molto, molto importante per poter entrare nell’universo baconiano, poiché rende comprensibile quel substrato che è all’origine di ogni suo quadro. Descrive egli stesso: “Devi cominciare da qualche parte, e inizi dal soggetto che, gradualmente, se le cose funzionano, svanisce e lascia questo residuo che possiamo chiamare realtà e che forse si ricollega un pochino a ciò con cui hai iniziato, ma molto spesso vi è completamente estranea" (1).
Per lui il soggetto “è l’esca”, qualcosa che serve a catturare la realtà più essenziale della “cosa”, e che gli permette di imprigionare sulla tela una realtà che non avrà più nulla a che fare con l’apparenza dell’immagine, ma con ciò che realmente è. Il discorso si fa complesso, ed è stato eccellentemente riassunto dal noto critico Sylvester con la sintetica espressione: “[Bacon] cerca di pervenire a un’immagine dell’apparenza che sia il meno possibile condizionata dai criteri comunemente accettati su cosa sia l’apparenza”. A questo punto potrebbe affacciarsi, per chi non conoscesse già il modus operandi dell’artista, il quesito su come possa essere portata a termine una tale operazione. Ed ecco che ancora una volta ci viene in aiuto Bacon stesso: “è questa l’ossessione: quanto puoi rendere questa cosa somigliante nella maniera più irrazionale? In modo da ricostruire non solo l’apparenza dell’immagine, ma anche tutti i campi sensibili di cui hai consapevolezza. […] Ciò che voglio fare è distorcere la cosa molto al di là dell’apparenza, ma nella distorsione stessa riportarla a una registrazione dell’apparenza... […] Spero sempre di deformare le persone fino a ottenere l’apparenza; non posso dipingerle letteralmente. […] È sempre questione di una lotta tra l’elemento accidentale e il senso critico. Infatti, quello che io chiamo elemento accidentale può produrre un segno che sembra essere più reale, più fedele all’immagine di un altro, ma è solo il senso critico che può deciderlo. Quindi la facoltà critica è all’opera contemporaneamente alla manipolazione semi-inconscia…”
L’inconscio, la casualità, sono elementi molto importanti nell’atto creativo baconiano, sollevando peraltro l’ombra di certo Surrealismo (si pensi all’automatismo come processo creativo) all’interno delle influenze, più che stilistiche, concettuali dell’artista.
Ma quei livelli più profondi della personalità che in questo modo vengono fatti emergere - fluire - direttamente senza che il cervello interferisca con l’inevitabilità dell’immagine, costituiscono una modalità creativa ben lontana, nelle intenzioni di Bacon, da ciò che muove l’arte informale europea, come ad esempio l’Espressionismo astratto, a cui il pensiero potrebbe correre facilmente. I segni sulle tele dell’artista inglese vogliono avere in sé “una sorta di inevitabilità”, a costituire quella che l’artista stesso ha definito “una pittura sommamente disciplinata”, pur se raggiunta con mezzi ben distanti dalla nozione di disciplina comunemente intesa. Viceversa, “l’aria casuale” e la “sciatteria” dell’arte astratta infastidiscono profondamente Bacon, convinto com’è che l’arte abbia un ordine profondo, sebbene possano esserci, al suo interno, elementi fortemente istintivi o fortuiti, scaturiti però da “un desiderio di ordinare e di riconvogliare il reale nel sistema nervoso in un modo più violento”.
L’arte astratta, esclusivamente dedita alla bellezza, in senso estetico, dei propri ritmi e delle proprie forme, non può contenere in sé quella tensione che è caratteristica fondamentale della creazione artistica come il maestro l’intende: l’arte astratta può “comunicare sentimenti lirici [ma] molto annacquati, visto che qualsiasi forma può farlo. Ma non sentimenti con la S maiuscola”.
Le immagini delle opere di Bacon sono come “il percorso di un acrobata su una fune tesa tra la cosiddetta pittura figurativa e la pittura astratta. Sgorgherà direttamente dall’astrazione, eppure non avrà con essa niente a che spartire. È un tentativo di fare arrivare la cosa figurativa dentro al sistema nervoso con maggior violenza, con maggiore intensità”.
L’immediatezza e l’istintività nella ricezione da parte dello sguardo altrui che, anche solo per un attimo, si posi sulle sue tele, sono elementi prioritari per Bacon, la cui presenza rende possibile la percezione della differenza tra arte “che comunica direttamente qualcosa” ed arte illustrativa: “È difficilissimo comprendere perché un tipo di pittura arrivi a toccare direttamente il sistema nervoso e un altro ti racconti la storia in una lunga diatriba attraverso il cervello”.
Forse, solo vedendo una sua opera saremmo veramente in grado di percepirlo.
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