MAIEUTICA
RICERCHE A CURA DI D. PICCHIOTTI
Il termine maieutica viene dal greco maieutiké (sottinteso: téchne). Letteralmente, sta per "l'arte della levatrice" (o "dell'ostetricia"), ma l'espressione designa il metodo socratico così come è esposto da Platone nel Teeteto. L'arte dialettica, cioè, viene paragonata da Socrate a quella della levatrice: come quest'ultima, il filosofo di Atene intendeva "tirar fuori" all'allievo pensieri assolutamente personali, al contrario di quanti volevano imporre le proprie vedute agli altri con la retorica e l'arte della persuasione (Socrate, e attraverso di lui Platone, si riferiscono in questo senso ai Sofisti). Parte integrante di questo metodo è il ricorso a battute brevi e taglienti in opposizione ai lunghi discorsi degli altri - ovvero la brachilogia - e la rinomata ironia socratica.
Nel racconto dello stesso Socrate, l'ispirazione per questo tipo di dialettica derivava proprio dall'esempio che il filosofo aveva tratto da sua madre, la levatrice Fenarete.
Si trovano spunti e rielaborazioni del termine nello stesso Platone, durante tutto il Rinascimento e altrove.
C'è da aggiungere che la maieutica comincia solo dopo le fasi del rapporto maestro-discepolo e dell'ironia. Il rapporto tra adulto e ragazzo (Socrate-discepolo) in Grecia, era una cosa lecita anche dal punto di vista erotico (quello che si ammirava in una persona erano l'intelligenza, la raffinatezza spirituale e non l'aspetto fisico). Socrate però non arrivava all'atto sessuale. Il discepolo a quel punto era libero di scegliere se continuare il rapporto da un punto di vista ideologico oppure andarsene. Continuando questo rapporto subentrava la fase dell'ironia (finzione). Socrate fingeva infatti di abbassarsi al livello culturale del discepolo ponendogli domande e rendendolo partecipe delle proprie. Solo in questo modo e attraverso il dialogo, Socrate riusciva a fare il lavoro della levatrice. Come la levatrice porta alla luce il bambino, Socrate portava alla luce le piccole verità dal discepolo.
In pratica]
Il metodo può essere utilizzato da un professore capace per insegnare agli studenti non un certo insieme di nozioni, ma a pensare con la loro testa. Ecco alcuni fondamenti di questo metodo di insegnamento:
L’insegnante e gli allievi devono essere d’accordo sull’argomento da trattare.
Gli studenti devono accettare di rispondere puntualmente alle domande dell’insegnante.
L’insegnante e gli allievi devono convenire sul fatto che il procedimento razionale in questione debba avere almeno la stessa importanza dei fatti veri e propri (da cui il ragionamento prende le mosse, ma nei quali non deve esaurirsi, se il fine è veramente quello di oltrepassare gli angusti limiti dell’opinione per aspirare a delle conclusioni più “generali”).
L’insegnante dovrà mostrare agli allievi la maniera di evitare errori nel ragionamento; soprattutto, dovrà mostrare quanto radicata sia la tendenza a proporre le proprie convinzioni personali come verità ovvie ed immediatamente condivisibili su un piano universale. (Questo richiede ovviamente un grande talento da parte del docente, ed una grande rapidità nel valutare le risposte e nel formulare le domande che siano maggiormente in grado di portare avanti fruttuosamente il dialogo; il che non esclude che egli possa esser ripreso dagli allievi, ove questi individuino errori da parte sua).
Ovviamente si tratta di un metodo di “formazione” più che di “informazione” (come ha sottolineato Pierre Hadot), che rivela i suoi limiti all’interno di un’istituzione scolastica volta a valutare gli studenti e a consegnare titoli di riconoscimento. Certamente è innegabile la sua ricchezza dal punto di vista squisitamente pedagogico, soprattutto in quanto incoraggia un atteggiamento attivo nei confronti della conoscenza piuttosto che un atteggiamento passivo di ricorso all’autorità.
Applicazione
Socrate ha spesso utilizzato il suo metodo ai fini della definizione di concetti morali quali la virtù, la pietà, la saggezza, la temperanza, il coraggio e la giustizia. Socrate non prende mai posizione a favore o contro una certa opinione (egli stesso dichiara a monte la sua ignoranza – caratteristica per la quale si narra che l’oracolo di Delfi l’avesse dichiarato l’uomo più saggio della Grecia, proprio per la consapevolezza della sua ignoranza della verità, mentre saggio non è chi, pieno delle sue personali convinzioni, non si rende conto della sua stessa incapacità di attingere alla verità), ma si sforza di condurre l’interlocutore a riconoscere che le sue non sono altro che congetture. Socrate ritiene infatti che non si possa accedere alla verità se non ci si libera prima delle “false opinioni” (ed in questo ricorda l’aneddoto di quel maestro zen che, dietro richiesta del visitatore di spiegargli lo zen, invitò costui a prendere il tè, riempiendogli la tazza fino a farne tracimare la bevanda. Allo stupore del visitatore il maestro rispose: “Sei come questa tazza, pieno dei tuoi preconcetti. Se non ti svuoti prima, come puoi apprendere lo zen?”)
.Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
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