FELICE CASORATI E IL "REALISMO MAGICO"
RICERCHE ACURA DI D. PICCHIOTTI
Nel 1918 cinque diversi trattati di pace mettono fine agli scontri della Prima guerra mondiale. Il lento ritorno alla normalità - o, almeno, ad una momentanea non-belligeranza - porta con sé un bisogno profondo di quiete, della rassicurante familiarità delle cose conosciute; in una parola: di ordine.
Il panorama culturale ed artistico, in quanto diretta espressione delle istanze che caratterizzano una società in un determinato momento storico, non poteva non recepire questa intima necessità collettiva: l'esuberanza sfrenata delle avanguardie artistiche maturate nell'ante-guerra (Espressionismo, Cubismo, Futurismo, Dadaismo...), la loro carica irrazionale e prepotentemente eversiva - talvolta violenta e distruttiva, come nel caso del Futurismo, che proclama la guerra come «unica igiene del mondo» -, la loro smania di novità ad ogni costo, vengono adesso considerate come qualcosa da archiviare in fretta, quasi fossero responsabili dell'aver arato e reso fertile quel terreno su cui il seme della guerra non stentò ad attecchire.
Ecco allora che alla tensione esasperata verso il futuro e all'imperativo della sperimentazione che avevano caratterizzato l'arte del periodo 1900-1915, si sostituisce, all'altezza degli anni Venti, un movimento esattamente opposto passato alla storia con l'etichetta, poco fantasiosa ma assai chiara, di "Ritorno all'ordine". Il passato (o meglio: l'antico) diviene così una sorta di "rifugio" verso il quale lo sguardo degli artisti si volge all'unisono, in cerca di calma, di certezza, di equilibrio e di sobrietà, entro cui riscoprire e rimettere in pratica i valori tradizionali dell'arte; si tratta di una tendenza generale che attraverserà l'Europa, ma che raggiungerà la sua massima espressione e fioritura proprio in Italia.
Ora, prima di analizzare più attentamente il fenomeno del "Ritorno all'ordine", rallentiamo un po', quel tanto che serve per localizzare quello che abbiamo eletto a protagonista di questa Pillola: Felice Casorati. Nel 1918 lo troviamo a Torino, città culturalmente viva ma allo stesso tempo riservata, venata di una sottile malinconia e ordinatamente composta, esattamente come il Nostro; da poco congedato dalle armi, Casorati è già un artista relativamente affermato, prossimo però all'inaugurazione della sua stagione creativamente più significativa e matura, che lo vedrà non a caso tra i massimi esponenti dell'arte italiana degli anni Venti.
Nato a Novara nel 1883, Casorati, dopo una fase di formazione che lo vede impegnato con rappresentazioni tradizionali di stampo verista, occupa i primi quindici anni del Novecento creando opere stilisticamente affini al simbolismo secessionista di Klimt: soggetti allegorici e spirituali, la cui raffigurazione è affidata in prevalenza a figure femminili, ampio ricorso a motivi decorativi bidimensionali - veri e propri "pattern" con cui riempire lo sfondo dei dipinti, alla maniera di Klimt, appunto (si vedano, in mostra, quadri come La Preghiera o Il sogno del Melograno, fortemente connotati già nei titoli). In questi stessi anni lo vediamo partecipare a diverse edizioni della Biennale di Venezia, ma soprattutto lo incontriamo tra gli artisti della galleria Ca' Pesaro, sempre a Venezia: un luogo di estrema importanza nel panorama artistico italiano di quegli anni, che ebbe il merito di riunire e dare ampio spazio alle ricerche sperimentali di giovani artisti, in opposizione all'arte "accademica" che andava per la maggiore e che aveva nella Biennale il suo "tempio" presuntuoso ed inviolabile.
Nonostante questo sostanziale allineamento con le correnti che andavano per la maggiore, Casorati preservò, nel corso della sua carriera, ampi spazi di autonomia "fuori dal coro", portando avanti una riflessione per molti aspetti solitaria e disposta a brusche, ricorrenti e inaspettate virate di stile; ne sono due esempi lampanti i due quadri riportati qui sopra - Tiro al bersaglio e Giocattoli -, che, nonostante la "giocosità" dei soggetti e la vivida esuberanza dei colori, comunicano all'osservatore una sensazione di desolazione, di abbandono e di ermetica solitudine. Ma torniamo all'altezza di quegli anni Venti a cui accennavamo all'inizio; anni in cui ogni istanza di "Ritorno all'ordine" finisce fatalmente per confluire in un gruppo denominato "Novecento", guidato dall'instancabile verve coordinatrice della critica d'arte Margherita Sarfatti (che, per la cronaca, fu una delle numerose amanti di Mussolini, nonché autrice di una sua biografia): un gruppo "approvato" dal Fascismo, dunque, entro cui convivono però una moltitudine di stili, linguaggi, intenzioni e fedi politiche, più o meno disposte al compromesso dalla necessità di mantenere una visibilità nell'ambito del panorama culturale italiano di quei difficilissimi anni. La prima mostra dei "novecentisti" si tiene a Milano nel 1926: vi prendono parte oltre cento artisti - in sostanza tutti i "grandi" italiani di quel tempo -, da Sironi a De Chirico, da Carrà al Nostro. Ed è proprio in questi stessi anni che Casorati dà vita ad alcune delle sue opere più mature, quali per esempio i due capolavori esposti nella mostra di Trieste: Ritratto di Silvana Cenni e Meriggio, veri e propri manifesti di un'arte intenta a riscoprire valori dimenticati dell'antichità classica come armonia delle forme, geometrica partizione degli spazi e nitide volumetrie.
La maestosa composizione verticale dedicata alla figura di Silvana Cenni, per esempio, ci proietta fin da subito nell'ambito di quel recupero della pulizia e sobrietà compositive della pittura quattrocentesca italiana che caratterizza la poetica di numerosi altri artisti oltre Casorati (è il cosiddetto "Neo-quattrocentismo"). Qui il riferimento è chiaramente individuabile: la posa ieratica e immota, l'espressione severa del volto e lo sguardo rivolto verso il basso rimandano inconfutabilmente alla figura della Madonna rappresentata da Piero della Francesca nella Sacra Conversazione; le pieghe pesanti del drappo che occulta la sedia su cui è accomodata la donna, rendendola simile ad un trono - o quelle, rigide, della semplicissima veste bianca avida di luce - ci parlano di una pittura che persegue una limpidezza plastica assoluta, raggiunta grazie ad un sapiente uso di effetti di luce radente, tersa e cristallina, e di geometrie rigorose (si veda anche l'essenzialità incorruttibile della veduta architettonica che si scorge dalla finestra).
Tutti elementi riscontrabili anche in Meriggio, in cui la luminosità tagliente e chiarificatrice di un pomeriggio che immaginiamo afoso e sonnolento modella con la nitidezza di uno scalpello i corpi nudi delle donne, una delle quali - quella all'estrema destra - ricalca nella posa l'ardito scorcio prospettico che fu del celebre Cristo Morto del Mantegna, a mo' di citazione e omaggio.
In ambedue i quadri scorgiamo oggetti quotidiani (libri, capi di vestiario...) abbandonati sul pavimento in maniera apparentemente distratta e casuale; si tratta di elementi che concorrono consapevolmente al raggiungimento di quell'atmosfera tipica di un'altro fondamentale tassello del fenomeno artistico del "Ritorno all'ordine" - così pervasivo e caratterizzante da esserne quasi sinonimo - nell'ambito del quale Casorati fu maestro: il Realismo magico. Poetica che si espanse a macchia d'olio in ambito internazionale - dalla letteratura al cinema -, in pittura il Realismo magico raggiunse esiti davvero "magici" soprattutto in Italia (il maggior interprete italiano fu probabilmente Antonio Donghi) e in Germania (dove spicca il nome di Christian Schad, celebre anche per la sua attività di fotografo in veste di sperimentatore, grazie alle sue "schadografie": fotogrammi nati dall'impressione diretta della pellicola). Il recupero dei valori classici dell'arte rinascimentale italiana si accompagna qui ad una inerzia fatata e vagamente opprimente di stampo metafisico: nelle rappresentazioni non vi è mai nulla che contraddica palesemente la plausibilità e la verosimiglianza del reale; eppure, grazie a minimi accorgimenti, le tele finiscono per comunicarci sensazioni di attonito incanto, di lieve inquietudine, discreta e appena suggerita, fino a somigliare talvolta a visioni allucinate; il tutto conservando una tecnica pittorica totalmente aderente alla tradizione, caratterizzata da un'estrema lucidità e nitidezza rappresentative.
Osservando quadri come Silvana Cenni e Meriggio, comprendiamo come il fenomeno del "Ritorno all'ordine", al di là delle ingombranti implicazioni politiche con il Fascismo, sia stato in grado di superare ampiamente i confini della "tradizione" per dar vita ad opere inconfutabilmente "moderne" nel loro essere in grado di svelare - pur con una morigerata economia di mezzi - il lato meraviglioso ed enigmatico del più banale vivere quotidiano, in cui una donna seduta può tramutarsi in misterioso e regale oracolo in procinto di emanare chissà quale sentenza, e un pomeriggio abbagliante e immobile può farsi teatro di un convegno di naiadi appena sorte dalle acque.
PER SAPERNE DI PIU'
La disponibilità di titoli sull'argomento risulta particolarmente varia ed interessante. Per quanto riguarda Felice Casorati, segnalo due libri: il primo, "Scritti, interviste, lettere" (Abscondita 2004, 216 pp., ill., 18 euro), è utile nel caso in cui si sia interessati ad entrare in maggiore sintonia con il concetto di arte e la poetica di Casorati tramite la sua stessa voce, attraverso una raccolta di scritti teorici, testi di conferenze e interviste mediante cui l'artista ricostruisce il suo percorso espressivo. Il secondo è l'immancabile catalogo della mostra, "Felice Casorati. Dipingere il silenzio" (Electa 2007, 188 pp., ill., 35 euro), che raccoglie tutte e 100 le opere esposte al Museo Revoltella di Trieste e le accompagna ad autorevoli testi critici.
Se la vostra curiosità si spinge oltre la singola vicenda artistica di Casorati, ecco tre testi che vi introdurranno alla comprensione del Realismo magico e delle tendenze di generale "ritorno all'ordine" di cui abbiamo accennato nell'articolo: "Realismo magico e altri scritti sull'arte" (Abscondita 2006, 157 pp., ill., 18 euro) porta la firma di Massimo Bontempelli, scrittore che introdusse e teorizzò la poetica del Realismo magico in letteratura; qui sono raccolti i suoi più significativi interventi sull'argomento e alcune letture dell'opera di artisti come De Chirico, Carrà, Morandi e altri. Letture che ritroviamo anche nel libro di Maurizio Fagiolo Dell'Arco "Classicismo pittorico. Metafisica, Valori Plastici, Realismo magico e 900" (Costa&Nolan 2006, 150 pp., 17,40 euro), che, come si intuisce dal titolo, estende la sua esplorazione ad un orizzonte di più ampio respiro, analizzando il decennio degli anni Venti in maniera più esaustiva. Ultimo ma non ultimo, l'immancabile "Post-Espressionismo e Realismo magico. Problemi della nuova pittura europea" (Liguori 2007, 208 pp., ill., 21 euro) di Franz Roh, critico tedesco che coniò il termine stesso di "realismo magico" e che abbiamo già avuto modo di conoscere nell'ambito dell'articolo dedicato a Rodchenko in quanto autore del saggio "Foto-Auge" sul nuovo volto della fotografia sperimentale negli anni Venti.
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