lunedì 15 ottobre 2007

T o t i S c i a l o j a " Un quadro è una cosa"

RICERCHE A CURA DI D. PICCHIOTTI

La pagina che riproduciamo è tratta da "L'Esperienza moderna", rivista romana di pittura e cultura attorno alla quale si raccolsero gli interessi dei pittori informali romani. Il testo risale agli anni in cui Scialoja concepisce le sue prime Impronte, la serie con cui l'artista cercò una via d'uscita dal caos informale, senza recidere la 'lunga catena dell'essere' che collegava la sua opera alla vitalità primaria appresa dai maestri americani. Ottobre 1956

Toti Scialoja
Toti Scialoja: pittore, poeta, maestro e viaggiatore instancabile. A Roma è lui a mostrare per primo le carte di Rauschenberg a studenti che di nome fanno Pascali e Kounellis. È ancora lui a viaggiare tra i primi in America nel 1956 con una compagna d'eccezione, Gabriella Drudi, e uno chaperon di gran classe, Catherine Viviano, ambasciatrice dell'arte italiana negli States: "Ecco cos'era New York: una città senza crosta" recita il suo diario di viaggio, pubblicato insieme ad altri scritti dagli Editori Riuniti. "Due mesi a New York. Conoscenza e frequentazione di tutti i pittori più vivi della nuova scuola di New York. Amicizia con De Kooning, con Rothko, con Guston, con Motherwell, con Marca Relli. Visita agli studi di Kline, di Reinardt, di Vicente... Amicizia con Jeanne Raynal, studiati i quadri di Gorky della sua collezione, vista la casa di Pollock a East Hampton, i luoghi della sua vita e della sua morte..."
La morte di Pollock ancora testimonia la passione con cui Scialoja si è dato all'arte in quell'ultimo soffio di generosità e umanesimo che sono stati l'Espressionismo astratto e l'Informale, per sempre cancellati dal cinismo della Pop art. Ancora dal suo diario: "«Povero Pollock». «Perché povero?» domando. «Non lo sapevi, è morto». Tutti preghiamo ardentemente che si tratti di falsa notizia, di un momento di mistificazione o di stravaganza fantastica di Colla. Ma mentre lo interroghiamo, con un certo affanno, e indaghiamo sul come e sul quando di tale notizia, sentiamo salire dentro di noi, irrimediabile, l'oscura densità di questa morte."

La pittura tornerà a essere cosa - non oggetto. Oggetto vuol dire strumento. Utensile, forma anonima per l'uso di tutti. Oggetto vuol dire finale inespressività e indistinzione. Ma una "cosa" - usata proprio in questo termine confuso e generico - ma una cosa è contatto con l'umano, esprime non appena la si considera, racconta, trasmette. Cosa naturale - non copia naturale. Frammento di realtà umanizzato, estratto dal caos, dal fluire indifferenziato. Un fiore colto, una pietra raccattata, rimangono nella tua mano, finché non la getti, non la riabbandoni alla smemoratezza naturale, al flusso oscuro dell'universo. (Il sasso che ributti nel mare, dopo averlo accarezzato, diventerà distante da te e irraggiungibile, per sempre, come la più lontana delle stelle). Diventerà arte quella cosa toccata da te, che non sarà possibile più rigettare nel nulla, che per sempre avrà serbata e trasformata in forza naturale la tua impronta. Oggi la pittura opera direttamente sulla materia; e un quadro è prima di tutto una cosa, non utile se non per aver accolto la tua impronta spirituale. Quadri come tracce di vita, frammenti lungo il cammino, erbe bruciate dove accampasti il sonno, i lembi rimasti sugli spini. In ogni epoca i pittori si espressero con segni su superfici. Con segni su superfici i pittori oggi esprimono questa idea: che l'uomo sia spirito e terra insieme; parola e insieme sangue; e che sia umana non la sola effigie fisica dell'uomo ma ogni cosa che l'uomo riconosce e distingue, ogni cosa che immagina, ogni cosa "increata" non appena egli la nomini.

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