domenica 14 ottobre 2007

LA LOGICA DI GALILEO

Di Piergiorgio Firinu

Galileo è sicuramente un caso complesso nella storia del pensiero; non solo per la sua indiscussa grandezza, quanto piuttosto per le interpretazioni della natura e la sua critica verso le vuote forme di chiacchiericcio intellettuale. C’è chi lo considera il fondatore della scienza moderna e chi invece, lo cita come esempio di chiusura della fisica di Aristotele. Resta il fatto che ogni aspetto della sua opera ha dato l’avvio a letture divergenti, spesso contrapposte e, anche quando erano unilaterali, non mancavano del tutto di fondamento. Le ragioni della sua capacità di suscitare pareri contrastanti sono molteplici, legate al punto di vista dello storiografo, altre volte derivanti dalla varietà delle sue asserzioni nel lungo arco di tempo della sua speculazione, spesso legate a una voluta rinuncia di approfondimenti di alcuni principi generali del suo orientamento e della sua ricerca. Il tema della logica è stato trattato da Galileo con una certa ambiguità. Non è stato ancora risolto il problema di chiarire di fronte a quale accezione del termine “logica”, si delinea la posizione di Galileo. E’ riconosciuta una pluralità di significati , tra le soluzioni da lui proposte o assunte. La non univocità del termine “logica” non dipende , del resto, da scelte soggettive di un punto di vista interpretativo, ma piuttosto è legata alla ambivalenza semantica acquistata storicamente dal termine che si trova a operare, spesso, in un medesimo contesto. Così ad esempio nella pur lucida interpretazione che Ernst Cassirer dà di Galilei, mentre da un lato si sottolineano i rapporti di Galileo con la speculazione antica, più in generale, la sua comprensione globale dell’importanza dei fondamenti logici della sua fisica, si afferma che tanto lui quanto Keplero la logica doveva essere sentita come antitesi e ostacolo della ricerca empirica. E’ un contrasto paradossale che ha la sua radice nell’uso medesimo del termine per due distinti orientamenti di ricerca: ed è agevole da rintracciarne la fonte nella distinzione kantiana di logica trascendentale , quale gnoseologia e metodologia scientifica, logica formale nell’accezione tradizionale di dottrine delle strutture inferenziali. La diversità di orientamento parte dagli Analitici Primi e dagli Analitici Secondi di Aristotele, gli uni volti alla determinazione delle strutture sillogistiche del ragionamento, che costituiscono il primo schietto modello di logica formale, gli altri miranti a precisare la natura della scienza come conoscenza universale e necessaria e quindi moventisi pienamente sul piano di una logica gnoseologica e metodologica. E’ significativa, in tal senso, la distinzione medioevale tra logica minor e logica maior. I secoli XVI e XVII vedono farsi acre e radicale la polemica degli umanisti rinascimentali , poi dei filosofi moderni capeggiati da Bacone e Cartesio contro la logica formale nella sua veste sillogistica e i rinnovati tentativi per l’instaurazione di una “vera” logica, che per l’insistenza sui temi dell’induzione, dell’intuizione, dell’evidenza dell’argomentare matematico pone l’accento non tanto sull’inferenza razionale quanto sul giudicare, sul pensare, sull’atto conoscitivo nella sua globalità, fino ad arrivare alla logica di Port-Royal: “la logic ou l’art de penser”. Di qui in avanti diventa evidente quanto Galileo aveva intuito quando scriveva:” Molti credono che la filosofia sia come il libro l’Eneide o l’Odissea e la verità non debba essere ricercata nel mondo della natura , ma dal confronto di testi, il formalismo che idolatra l’ipse dixit, le argomentazioni verbali, prove cartacee di presunte verità.

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