Peggy Guggenheim dedica un'antologica a Germaine Richier
A CURA DI D.PICCHIOTTI
Peggy Guggenheim dedica un'antologica a
E'stata presentata al pubblico italiano e internazionale la più ampia retrospettiva sull'artista mai realizzata dopo la mostra del 1996 alla Fondazione Maeght, Saint Paul (Francia). Luca Massimo Barbero ha condotto la selezione delle oltre 60 opere, tra sculture in bronzo, piccoli gessi, litografie e disegni, prediligendo una lettura cronologica e analitica del tortuoso sentiero artistico della Richier. L'esposizione prende spunto dalla presenza nel giardino del museo dell'opera La tauromachia (1953), emblematica dell'amore di Peggy Guggenheim per il lavoro della scultrice, che la collezionista acquista già nel 1960. L'esposizione, che si estenderà dagli spazi delle mostre temporanee al giardino, è realizzata in collaborazione con l'Archivio Françoise Guiter, Parigi.
Germaine Richier attraversa la prima metà del '900 scrutando le rotte di anni convulsi che finiscono con il divenire silenziose ispirazioni al suo percorso di ricerca. Nata nel 1902 a Grans (Bouches-du-Rhone, Francia) si trasferisce a Parigi nel 1926 dopo aver frequentato l'Accademia di Belle Arti di Montpellier, dove lavora nell'atelier di Louis Guigues, uno degli assistenti di Auguste Rodin. Nella capitale francese inizia a frequentare lo studio di Emile-Antoine Bourdelle, apprendendo la difficile tecnica della scultura dei busti, da cui la mostra alla Collezione Peggy Guggenheim prende avvio. Infatti si potranno ammirare, tra gli altri, il Busto di Cristo (1931), il Busto n. 12 (1933-34) e La régodias (1938), plastici e ancora carichi di realismo. Nel 1934, la Galleria di Max Kaganovitch le dedica la prima personale e due anni dopo riceve il prestigioso Premio Blumenthal per la scultura. Nel 1937 è invitata all'Esposizione Universale di Parigi, nel 1939 alcune sue opere sono presentate all'Esposizione Universale di New York. Pur non abbracciando alcun movimento artistico o politico, Germaine Richier partecipa al fermento culturale di quegli anni frequentando a Montparnasse Henri Favier, Celebonovic Marko, Massimo Campigli, Alberto Giacometti, Raymond-Jacques Sabouraud e il suo fraterno amico Marino Marini. La guerra la porta a Zurigo dove prende con sé degli allievi e ricreando l'atmosfera del suo atelier, ritrova le conversazioni con gli amici che avevano lasciato la capitale, come Jean Arp, Le Courbusier e Fritz Wotruba. Nel 1945 Richier torna a Parigi: il secondo conflitto mondiale le ha consegnato una sperimentazione di forme e ambienti che non tarderanno a fare emergere la potenza espressiva delle sue sculture bloccate nel ricordo di movimenti svaporati ma indelebili.
Dal 1945 al 1959, anno della sua scomparsa, Germaine Richier completa un intenso cammino muovendo da una analisi espressionista delle figure, come ne L'uomo foresta, grande (1945-46), L'orco (1949), L'uragano (1948-49), che testimoniano di una avvenuta osmosi tra uomo e natura, ad una composizione più ascetica ma affascinata dalla rappresentazione della deformità (Il diavolo, 1950, La coppia, La formica, 1953) metafora dell'impatto brutale tra le creature viventi e l'ambiente che le circonda. Giunge infine a una composizione surrealista che completa l'ibridizzazione di essere umano e animale - La tauromachia e Idra entrambe del 1954 - in cui la metamorfosi è parte integrante del linguaggio scultoreo. "Il 'fantastico' è semplicemente uno stato dialettico della coscienza che vede nell'ibrido la constatazione della realtà e delle sue contraddizioni" - ebbe a dire Pierre Restany descrivendo queste stesse sculture che, insieme a quelle degli anni quaranta, saranno esposte nella mostra alla Collezione Peggy Guggenheim. La mostra Germaine Richier si propone di avviare in Italia la riscoperta della scultrice francese che fino ad oggi ha visto le sue rare opere custodite gelosamente nelle più importanti collezioni pubbliche, come la Tate Modern, Londra, il Centre Georges-Pompidou, Parigi, il MOMA, New York, la Galleria Nazionale d'Arte Moderna, Roma.
Germaine Richier era solita ripetere "Amo la tensione, il secco, il nervoso". I piccoli bronzi del 1946 Il combattimento e La Lotta, ma anche Il griffu (1952) declinano questa predilezione per "esseri" privati della "carne" metabolizzata dall'ambiente che tutto divora e nei confronti del quale è necessario disporre di uno schermo, la ragnatela di fili attorno alle sculture, in grado di definire uno spazio intermedio di protezione della figura umana. Le opere di Richier esprimono, oltre la sofferenza delle torture, l'angoscia della deformità, il senso imperativo della posizione nello spazio, il rigore elegante della postura, in altre parole il senso dell'umanità. "Tutte le mie sculture - ha lasciato scritto l'artista - anche quelle che sembrano essere ispirate dall'immaginazione, si basano su qualcosa di vero, su una verità organica...l'immaginazione necessita di un punto di partenza". L'essere umano è il punto di partenza e di arrivo della ricerca di Germaine Richier che ha disegnato i drammi e i sogni della sua epoca combinando, in maniera rivoluzionaria, la violenza del linguaggio espressionista al mistero fantastico delle sculture "surrealiste" degli anni cinquanta. E per arrivare a questo risultato, l'artista usava pochissimi strumenti: "bisogna sentire le proprie mani, le proprie passioni, (...) perché la scultura è qualcosa di intimo e privato. E' qualcosa che vive e che ha le proprie regole".
In occasione della mostra alla Collezione Peggy Guggenheim, vengono esposte per la prima volta, grazie alla generosità dell'Archivio Françoise Guiter, le opere grafiche della scultrice -incisioni, acqueforti, acquetinte-, che permettono di ricostruire l'appassionante ricerca che l'artista dedica per anni alle tecniche di incisione. L'esposizione sarà inoltre l'occasione per sperimentare la dimensione "ambientale" delle sculture di Richier attraverso il dialogo tra queste e il giardino di Palazzo Venier dei Leoni. L'Archivio Françoise Guiter ha acconsentito al prestito dell'imponente gruppo scultoreo La grande scacchiera (1959), le cui figure alte oltre due metri, del Re, la Regina, il Cavallo, la Torre e l'Alfiere interpretano una sorta di mandala della contraddittorietà dell'esistenza umana. germaine richier è accompagnata da un catalogo edito dalla Collezione Peggy Guggenheim, con saggi del curatore e del critico Giorgio Mastinu. Attenta la ricerca dedicata ai materiali iconografici, tra cui spicca la riproduzione di stampe originali delle foto delle opere che Richier fece realizzare a Brassaï.
Sarà presentata al pubblico italiano e internazionale la più ampia retrospettiva sull'artista mai realizzata dopo la mostra del 1996 alla Fondazione Maeght, Saint Paul (Francia). Luca Massimo Barbero ha condotto la selezione delle oltre 60 opere, tra sculture in bronzo, piccoli gessi, litografie e disegni, prediligendo una lettura cronologica e analitica del tortuoso sentiero artistico della Richier. L'esposizione prende spunto dalla presenza nel giardino del museo dell'opera La tauromachia (1953), emblematica dell'amore di Peggy Guggenheim per il lavoro della scultrice, che la collezionista acquista già nel 1960. L'esposizione, che si estenderà dagli spazi delle mostre temporanee al giardino, è realizzata in collaborazione con l'Archivio Françoise Guiter, Parigi.
Germaine Richier attraversa la prima metà del '900 scrutando le rotte di anni convulsi che finiscono con il divenire silenziose ispirazioni al suo percorso di ricerca. Nata nel 1902 a Grans (Bouches-du-Rhone, Francia) si trasferisce a Parigi nel 1926 dopo aver frequentato l'Accademia di Belle Arti di Montpellier, dove lavora nell'atelier di Louis Guigues, uno degli assistenti di Auguste Rodin. Nella capitale francese inizia a frequentare lo studio di Emile-Antoine Bourdelle, apprendendo la difficile tecnica della scultura dei busti, da cui la mostra alla Collezione Peggy Guggenheim prende avvio. Infatti si potranno ammirare, tra gli altri, il Busto di Cristo (1931), il Busto n. 12 (1933-34) e La régodias (1938), plastici e ancora carichi di realismo. Nel 1934, la Galleria di Max Kaganovitch le dedica la prima personale e due anni dopo riceve il prestigioso Premio Blumenthal per la scultura. Nel 1937 è invitata all'Esposizione Universale di Parigi, nel 1939 alcune sue opere sono presentate all'Esposizione Universale di New York. Pur non abbracciando alcun movimento artistico o politico, Germaine Richier partecipa al fermento culturale di quegli anni frequentando a Montparnasse Henri Favier, Celebonovic Marko, Massimo Campigli, Alberto Giacometti, Raymond-Jacques Sabouraud e il suo fraterno amico Marino Marini. La guerra la porta a Zurigo dove prende con sé degli allievi e ricreando l'atmosfera del suo atelier, ritrova le conversazioni con gli amici che avevano lasciato la capitale, come Jean Arp, Le Courbusier e Fritz Wotruba. Nel 1945 Richier torna a Parigi: il secondo conflitto mondiale le ha consegnato una sperimentazione di forme e ambienti che non tarderanno a fare emergere la potenza espressiva delle sue sculture bloccate nel ricordo di movimenti svaporati ma indelebili.
Dal 1945 al 1959, anno della sua scomparsa, Germaine Richier completa un intenso cammino muovendo da una analisi espressionista delle figure, come ne L'uomo foresta, grande (1945-46), L'orco (1949), L'uragano (1948-49), che testimoniano di una avvenuta osmosi tra uomo e natura, ad una composizione più ascetica ma affascinata dalla rappresentazione della deformità (Il diavolo, 1950, La coppia, La formica, 1953) metafora dell'impatto brutale tra le creature viventi e l'ambiente che le circonda. Giunge infine a una composizione surrealista che completa l'ibridizzazione di essere umano e animale - La tauromachia e Idra entrambe del 1954 - in cui la metamorfosi è parte integrante del linguaggio scultoreo. "Il 'fantastico' è semplicemente uno stato dialettico della coscienza che vede nell'ibrido la constatazione della realtà e delle sue contraddizioni" - ebbe a dire Pierre Restany descrivendo queste stesse sculture che, insieme a quelle degli anni quaranta, saranno esposte nella mostra alla Collezione Peggy Guggenheim. La mostra Germaine Richier si propone di avviare in Italia la riscoperta della scultrice francese che fino ad oggi ha visto le sue rare opere custodite gelosamente nelle più importanti collezioni pubbliche, come la Tate Modern, Londra, il Centre Georges-Pompidou, Parigi, il MOMA, New York, la Galleria Nazionale d'Arte Moderna, Roma.
Germaine Richier era solita ripetere "Amo la tensione, il secco, il nervoso". I piccoli bronzi del 1946 Il combattimento e La Lotta, ma anche Il griffu (1952) declinano questa predilezione per "esseri" privati della "carne" metabolizzata dall'ambiente che tutto divora e nei confronti del quale è necessario disporre di uno schermo, la ragnatela di fili attorno alle sculture, in grado di definire uno spazio intermedio di protezione della figura umana. Le opere di Richier esprimono, oltre la sofferenza delle torture, l'angoscia della deformità, il senso imperativo della posizione nello spazio, il rigore elegante della postura, in altre parole il senso dell'umanità. "Tutte le mie sculture - ha lasciato scritto l'artista - anche quelle che sembrano essere ispirate dall'immaginazione, si basano su qualcosa di vero, su una verità organica...l'immaginazione necessita di un punto di partenza". L'essere umano è il punto di partenza e di arrivo della ricerca di Germaine Richier che ha disegnato i drammi e i sogni della sua epoca combinando, in maniera rivoluzionaria, la violenza del linguaggio espressionista al mistero fantastico delle sculture "surrealiste" degli anni cinquanta. E per arrivare a questo risultato, l'artista usava pochissimi strumenti: "bisogna sentire le proprie mani, le proprie passioni, (...) perché la scultura è qualcosa di intimo e privato. E' qualcosa che vive e che ha le proprie regole".
In occasione della mostra alla Collezione Peggy Guggenheim, vengono esposte per la prima volta, grazie alla generosità dell'Archivio Françoise Guiter, le opere grafiche della scultrice -incisioni, acqueforti, acquetinte-, che permettono di ricostruire l'appassionante ricerca che l'artista dedica per anni alle tecniche di incisione. L'esposizione sarà inoltre l'occasione per sperimentare la dimensione "ambientale" delle sculture di Richier attraverso il dialogo tra queste e il giardino di Palazzo Venier dei Leoni. L'Archivio Françoise Guiter ha acconsentito al prestito dell'imponente gruppo scultoreo La grande scacchiera (1959), le cui figure alte oltre due metri, del Re, la Regina, il Cavallo, la Torre e l'Alfiere interpretano una sorta di mandala della contraddittorietà dell'esistenza umana. germaine richier è accompagnata da un catalogo edito dalla Collezione Peggy Guggenheim, con saggi del curatore e del critico Giorgio Mastinu. Attenta la ricerca dedicata ai materiali iconografici, tra cui spicca la riproduzione di stampe originali delle foto delle opere che Richier fece realizzare a Brassaï.
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