mercoledì 21 novembre 2007

ARTE E PROCESSI CREATIVI

RICERCHE ACURA DI D. PICCHIOTTI

Genialità e follia
Scrive Karl Jaspers: "Quando ammiriamo lo splendore di una perla non pensiamo mai che essa nasce dalla malattia della conchiglia"
Risponde Umberto Galimberti

Ancora una volta trovo nella sua rubrica interrogativi che mi scuotono profondamente e che mi aiutano a far luce sul disagio della civiltà in cui viviamo. Sono un'insegnante di italiano e latino presso il liceo scientifico Nomentano di Roma e da tre anni ho accettato di insegnare per sei ore alla settimana presso la Clinica di Neuro-psichiatria di via dei Sabelli. Qui gli studenti hanno un'età compresa tra i 12 e i 18 anni. Naufraghi, sopravvissuti loro malgrado a disagi di ogni tipo, con alle spalle famiglie più o meno normali, approdano al reparto di Neuropsichiatria quasi sempre senza alcuna convinzione, sotto il peso delle sconfitte proprie e altrui... Siedono già stanchi e annoiati fin dall'inizio della mattinata in attesa del colloquio, della psicoterapia che dovrebbe traghettarli verso la terra promessa della normalità. E noi professori in questa realtà ospedaliera ogni giorno dobbiamo individuare, anche se con fatica, percorsi pedagogici che nessun programma ministeriale può predisporre ma che solo la professionalità e la sensibilità del docente possono individuare. Lei capisce bene che questo tipo di impegno dovrebbe essere incoraggiato, stimolato, apprezzato da chiunque operi nella scuola perché lo spirito della scuola pubblica è proprio quello di permettere a tutti di avere opportunità formative di crescita spirituale e culturale. Anche a chi è in carcere o a coloro che si trovano loro malgrado in ospedale. Se però tu che lavori in ospedale per esigenze di servizio intralci l'orario della collega che non può andare a far la spesa o il giorno libero del collega che non può godere del meritato riposo, ecco che il castello di carte della scuola come palestra di vita cade miseramente sotto il proprio peso. In fondo chi opera al di fuori della scuola in ospedale addirittura non si sa bene cosa faccia... Sicuramente dà fastidio a chi lavora onestamente e da anni varca il portone dello stesso edificio animato solo da un silenzioso e malinconico lasciar correre perché tanto... domani è un altro giorno. Di fronte alla rigidità mentale di tanti miei colleghi e anche di fronte alla ristrettezza di vedute di molti mi chiedo se non dovrebbe essere obbligatoria l'esperienza dell'insegnamento in realtà difficili e degradate, da affrontare almeno una volta nella vita per imparare che non c'è niente da insegnare se non siamo capaci di lasciarci arricchire dalla vita che ci circonda e di cui trasudano i gesti, gli abbigliamenti i comportamenti dei nostri studenti. Chi insegna non dovrebbe aver paura della vita che scorre e che non lascia certezze ma dovrebbe tener lontano da sé quel rigor mortis che spesso incatena chi fa scuola a ripetitive pratiche che ben poco hanno a che fare con la maieutica trasmissione del sapere. Marina Monaco marinamonaco63@libero.it Ho sempre pensato che la scuola non si fa con i programmi ministeriali, ma con la personalità dell'insegnante in grado, grazie alla sua maturità psicologica, di intercettare i canali emotivi dei suoi allievi che sono la pre-condizione per attivare la curiosità intellettuale. Questa semplice regoletta, nota a chiunque si occupi di processi educativi, dovrebbe essere il criterio per la selezione degli insegnanti, con rigorosa esclusione di quanti, privi di capacità psicologiche, finiscono per andare a scuola solo per annoiare e demotivare studenti senza attivare nessuna delle loro potenzialità. Lei, oltre che nella scuola normale, presta la sua attività anche in una clinica neuropsichiatrica, insegnando a giovani che pensano, immaginano e si figurano il mondo esterno e interiore secondo una loro specifica modalità che è diversa, ma non per questo meno coerente, della modalità da tutti condivisa. Anche qui, più che i programmi ministeriali o le pratiche di cura e comprensione, direi che il processo educativo dovrebbe tentare di catturare e valorizzare la specifica e peculiare visione del mondo di questi allievi, per vedere quanto questa possa costituire un punto di osservazione critico sulla visione del mondo mediamente condivisa, e considerata, da quanti "impazziscono", del tutto invivibile e inabitabile. Quando leggiamo le liriche di Hölderlin, le opere di Nietzsche, le elegie di Duino e di Rilke, ne ammiriamo le intuizioni folgoranti e la straordinaria potenza espressiva, dimenticando che forse la loro genialità poteva essere sprigionata solo dalla loro follia e non certo dalle opinioni condivise dalle persone cosiddette "normali", che si accovacciano nelle loro buone condotte da tutti approvate senza uno sprazzo di creatività. Sappiamo che non si dà creatività senza commercio con la follia. E se i giovani d'oggi, privi come sono di un futuro prevedibile e preordinato, fossero costretti a essere creativi e quindi un po' folli, e non dissennati come la scuola li giudica, quando (ed è sempre) non comprende il loro modo di pensare, immaginare, sentire, ogni volta che questo esce dagli schemi con cui l'istituzione scolastica e la mente di gran parte degli insegnanti sono abituati a capire. Perché non valorizzare anche nella scuola dei cosiddetti "normali" quello spazio di follia che, oltre a concorrere alla creatività, può costituire un ottimo punto di osservazione critico su quella "normalità" monotona che caratterizza la nostra scuola, dove nessuno più alza la mano per fare una domanda, perché, se questa fuoriesce dalle risposte già confezionate, si corre subito a chiamare lo psicologo.

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