martedì 20 novembre 2007

CREATIVITA’ E FOLLIA COSTITUISCONO UN BINOMIO CLASSICO:

RICERCHE A CURA DI D. PICCHIOTTI

CREATIVITA’ E FOLLIA COSTITUISCONO UN BINOMIO CLASSICO: LE OSSESSIONI DI SCHOPENHAUER, LE MANIE DI SCHUMANN, LE ALLUCINAZIONI DI VAN GOGH…

L’IDEA della prossimità, o dell’apparentamento, del genio e della follia è un’idea antica. Ci è arrivata come un luogo comune attraverso i secoli, trovando una certa validità e conferma in biografie ed autobiografie di uomini illustri. Schumann riceveva visite dagli angeli, Schopenhauer visse nell’ossessione di complotti perpetrati dai suoi nemici, Kafka era un nevrotico ossessivo, Rimbaud soffriva di allucinazioni, Beethoven e Ghoethe di nevrosi depressiva. L’elenco potrebbe essere lunghissimo. Personalità di grande talento hanno trovato modo di esprimersi nelle arti, procedendo sul filo della follia.
E’ la follia all’origine del genio, o il genio per manifestarsi deve avere il sopravvento su di essa? In che modo genio e follia sono intimamente legati?
Qualsiasi tentativo di comprendere il problema delle malattie mentali e dei loro rapporti con l’esaltazione creativa non può che rimanere tale. E’ questo anche il punto di vista adottato da Carl Jaspers in “Genio e follia” apparso per la prima volta nel 1992 e ripubblicato recentemente da Raffaello Cortina. Jaspers si propone di capire perché la follia e l’arte nella loro espressione massima coincidono. Così, ripercorrendo i momenti in cui la malattia penetra nella vita dell’artista fino a trasfigurarne l’0pera, ci offre un ricco materiale biografico da cui risulta come Strindberg e Swedenborg, Wan Gogh e Holderlin hanno vissuto la loro follia.
Strindberg sapeva di essere malato di mente. Nell’”Arringa di un pazzo” scrive:” Cominciai a soffrire di questa misteriosa affezione in seguito ad una visita nel laboratorio di un mio vecchio amico, dove mi sono procurato un rossetto di cianuro di potassio, destinato a darmi la morte”. Sebbene la vita del drammaturgo fosse intessuta di elementi che attestano una coincidenza tra il più alto sviluppo creativo e la patologia, è sconcertante che questi elementi più che un disfacimento psicologico ed emotivo, conducano a una trasformazione del suo modo di interpretare e valutare l’esistenza, incomprensibile attraverso le nostre comuni esperienze.
Questa constatazione induce Jaspers a introdurre, rispetto all’opinione tradizionale, una nuova visione della schizofrenia. Mentre le altre malattie dovute ad un disordine cerebrale “agiscono sulla vita psichica come una marmellata che centra un meccanismo di un orologio distruggendolo”, i processi schizofrenici “producono un’intricata modificazione del meccanismo: l’orologio continua a funzionare, ma in modo imprevedibile”.
Si direbbe che una grande intelligenza al servizio di quella forza virulenta, che è la follia, possa neutralizzarne gli effetti devastanti.
E’ sorprendente come gli evochi la tensione straordinaria che caratterizza lo stadio iniziale del processo. Molti schizofrenici sono dominati da situazioni che minacciano di dilaniare la personalità, perché costretti a vivere senza sosta nell’imminenza della fine.Eppure essi non si abbandonano, nonostante la tensione per non precipitare nelle tenebre dell’insensatezza sia molto forte.
Nel momento in cui la dinamica patologica ha inizio, appare nell’opera un cambiamento, che vi apporta qualcosa di unico e straordinario. Ciò succede perché artisti di grande genio sono capaci di innalzare la malattia a un senso supremo, di congiungerla pienamente alla propria esistenza spirituale, di dominarla “per” e “con” l’arte.
In realtà, la dimensione demoniaca, la tendenza a misurarsi con l’assoluto, si pongono al di fuori della psicosi. Ma tutto accade come se il demone liberatore, che nell’uomo sano è frenato, riuscisse a sfondare, per consentire alle profondità dell’anima di rivelarsi. Lo smarrimento si sottrae ai travestimenti e alla menzogna della vita, diventando il momento della verità: espressione artistica. E là dove c’è una ricchezza spirituale, la follia può consentire all’arte di approdare alle vette più alte.
Le patologie, presunte o confermate, non riescono a spiegarci né la vita né l’opera di un artista. Il genio lo si constata, non lo si spiega. Non ci sono cause ed effetti, le une e le altre si raccolgono nella simultaneità dell’opera che è la formula eterna di quello che l’artista ha voluto essere e ha voluto esprimere. Da questo punto di vista, l’analisi di Jaspers è più che esplicita: “Lo spirito creativo dell’artista, pur condizionato dall’evolversi di una malattia, […] può essere metaforicamente rappresentato come la perla che nasce dalla malattia della conchiglia. Come non si pensa alla malattia della conchiglia ammirandone la perla, così di fronte alla forza vitale dell’opera non pensiamo alla schizofrenia che forse era la condizione della sua nascita”. Di Caterina Varzi

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