giovedì 8 novembre 2007

CREATIVITÀ QUALE ELEMENTO DELLA PAZZIA

DI Alan Riding

Sempre misterioso, il processo artistico diventa ancor più imperscrutabile quando l'artista è affetto da squilibrio mentale. Eppure, l'arte visiva è una forma d'espressione che attrae spesso chi soffre di malattie mentali, van Gogh ne è forse l'esempio più significativo. In effetti, per più di un secolo gli ospedali psichiatrici hanno provato a capire e trattare i pazienti usando l'arte come terapia.
In Francia, intorno agli anni Trenta, l'art des fous, o l'arte dei pazzi, iniziò ad interessare tanto i critici quanto i ricercatori medici. I Surrealisti in particolare arrivarono alla conclusione secondo la quale, alla pari dei loro dipinti e della loro poesia, l'art des fous sembrava toccare aree del cervello di solito inesplorate. Jean Dubuffet sviluppò quest'idea negli anni Quaranta incorporando l'art des fous nell'arte da lui definita art brut, che includeva anche dipinti naïf e primitivi.
In seguito, nel 1950, il Ste-Anne Hospital organizzò una mostra sull'arte psicopatologica di diciassette nazioni. I dipinti, gli acquerelli e i disegni, poi donati all'ospedale, contribuirono a fondare una collezione che oggi conta settantamila oggetti. Una selezione di 117 opere danno ora vita a La Clé des Champs, un'affascinante mostra nel Jeu de Paume.
Parallela a La Clé des Champs, espressione francese per libertà, troviamo un'eccezionale retrospettiva di settantanove opere di Arthur Bispo de Rosário, un artista autodidatta brasiliano scomparso nel 1989 dopo aver vissuto cinquant'anni in una clinica psichiatrica a Rio de Janeiro. La sua opera rimase praticamente sconosciuta fino all'esposizione nel padiglione brasiliano della Biennale di Venezia del 1995.
La Clé des Champs, titolo preso da un libro di André Breton, porta avanti la tesi di Dubuffet secondo la quale l'art des fous non è una categoria a parte. "Il nostro punto di vista è che il ruolo dell'arte è sempre lo stesso," scriveva Dubuffet nel 1949, "e non vi è art des fous più di quanto non vi sia un'arte dei dispeptici o di chi ha problemi alle ginocchia".
Molti pazienti dello psichiatra presenti alla mostra erano artisti e conoscevano le tendenze artistiche dominanti. Claude Brun, per esempio, firmò un'opera "Brun-Picasso". Varie opere di pazienti per la prima volta alle prese con l'arte evocano Chagall, Kandinskij, Klee, Mirò e Ernst. La Clé des Champs è organizzata come una mostra collettiva e non offre dettagli sulla vita degli artisti. Solo alcuni — Maurice Blin, Auguste Millet, Marija Novakovic and Charles Schley — sono conosciuti nei circoli artistici ma pure la loro opera è sconosciuta a molti visitatori. Qui è l'arte in sé a parlare. La sfida è decifrare la mente ed i significati che stanno dietro l'arte.
Uno dei più eclettici tra gli artisti esposti è Blin, morto nel 1980 dopo aver vissuto quarant'anni nel Ste.-Anne Hospital. Riempiva bloc-notes di schizzi e calcoli e aggiungeva parole alla sua arte. "Segui una donna e lei fuggirà" scrisse su uno. "Fuggi da una donna e lei ti seguirà come un'ombra". In alcune opere ci sono figure fluttuanti alla Chagall; altre sono erotiche, una sorta di rappresentazione di Saturno che fa l'amore con la Terra.
Vari artisti sembrano aver trovato conforto nel disegno botanico, ma altri sembrano raccontare storie. Un dipinto giapponese anonimo e senza titolo mostra una donna dai capelli lunghi che cerca in tutti i modi di restare a galla su onde violente, mentre Coupole Fédérale di Aloise Corbaz è un ritratto naïf di una donna con un cuore rosso nel petto. Solange Germain spiega a parole la sua guache alla Matisse: "Un fiore sanguinante".
La varietà ne La Clé des Champs esime dall'idea che l'art des fous abbia un'unica fonte di ispirazione.
Nella retrospettiva di Bispo do Rosário è tuttavia quasi impossibile non venire immessi nel mondo di un uomo che in apparenza considerava la propria vita come una missione per la salvezza del mondo. I suoi oggetti a volte possono richiamare Duchamp o altri, ma non vi sono segni tangibili che considerasse il proprio lavoro arte. Come paziente si rifiutò di partecipare alle classi di terapia artistica.
Nato nel Brasile nordorientale nel 1909 o nel 1911, da giovane trascorse otto anni nella marina brasiliana, con base a Rio de Janeiro. Il 22 dicembre 1938 ebbe una visione di Cristo e di sette angeli. Due giorni dopo si presentò in un monastero. Da lì fu mandato in un ospedale dove la diagnosi fu di schizofrenia paranoica. Alla fine fu internato in un ospedale psichiatrico fuori Rio.
La sua opera, essendo stata riconosciuta come arte solo dopo la sua morte, non è datata ed è impossibile catalogarla cronologicamente. L'unico aggancio si può trovare nel nome "Rosangela Maria" che appare in alcuni dei suoi arazzi: si tratta di una giovane studentessa di psichiatria che lavorava nell'ospedale e che divenne sua amica nel 1981. Oggi, però, non sa offrirci alcuna comprensione delle motivazioni profonde dell'arte di Bispo de Rosário.
" Si rifiutava di affrontare i dottori e un po' alla volta divenne sempre più isolato; lavorava come un forzato", disse Agustìn Artega, un curatore artistico messicano che ha collaborato all'esposizione. "Era motivato misticamente, preoccupato del giudizio finale, e lo faceva prendendo nota di tutto e di tutti per poterli salvare."
Bispo de Rosário creava oggetti e installazioni con qualsiasi cosa trovasse nell'ospedale. I suoi complessi arazzi, erano ricamati con i fili blu delle casacche dei pazienti; combinava nomi o descrizioni delle attività ospedaliere con disegni di navi, figure geometriche, mappe, bandiere, strade ed edifici. La sua magnifica Tonaca cerimoniale, con la descrizione del mondo, doveva essere la veste che avrebbe indossato entrando nel regno dei cieli.
Uno dei suoi lavori comprende rudimentali scettri e fasce per cinque concorsi di bellezza: miss Amazzonia, miss Messico, miss Francia, miss Giappone e miss Perù; ogni fascia porta la bandiera e i nomi delle città. Un'opera ancora più grande, Il letto di Romeo e Giulietta, mostra un letto coperto da una zanzariera e drappeggiato da pezzi di lana colorata.
La sua opera evoca maggiormente Duchamp laddove escogita modi di presentazione e organizzazione di oggetti e materiali di scarto: da cartone, legno, stagno e metallo, a giocattoli di plastica, posateria, abiti e scarpe. Prediligeva la costruzione di piccoli carri su ruote: costruiti in varie forme, a volte su tre livelli, portano pietre squadrate, auto in plastica e piccole navi.
Le sue installazioni mettono in mostra in vario modo scarponi, cappelli di paglia, posate, bottiglie di plastica riempite di confetti, pantofole, pettini e spazzole. Troviamo anche oggetti specifici che ha ri-rappresentato, come Toilet, con un vaso da notte in una scatola di legno e Macumba, con oggetti usati nei rituali spiritisti afro-brasiliani.
Può essere che Bispo de Rosário abbia semplicemente registrato il mondo così come l'ha visto; egli ha bensì portato ordine al disordine, bellezza ai detriti. In un mondo pre-Duchampiano, la sua opera avrebbe potuto non essere considerata arte. Oggi, sarebbe chiamata arte concettuale. E mentre i concetti di Bispo de Rosário rimangono un mistero, la sua opera è arte in quanto trasforma l'ordinario nello straordinario.
(Articolo tratto dal giornale The New York Times, Agosto 2003, traduzione di Giampaolo Mattiello)

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