martedì 13 novembre 2007

Yves Klein le Monochrome

RICERCHE A CURA DI D. PICCHIOTTI

Dal secondo dopoguerra Parigi perde il ruolo di centralità nel sistema dell’arte, scalzata, come abbiamo
visto nelle precedenti lezioni, da New York e dal potere economico e politico svolto dall’America. La
capitale francese costituisce tuttavia un centro vitale delle ricerche d’avanguardia, collegato all’Italia (in
particolare Milano dove operano Lucio Fontana e Piero Manzoni) e all’America. Anche in Europa,
come in America, il predominio assoluto dell’Espressionismo astratto entrerà in crisi solo dopo il 1960,
preceduto da una situazione di rivalità ma anche di proficui scambi delle esperienze diverse.
Yves Klein svolge un ruolo significativo nell’uso della performance all’interno della sua ricerca artistica,
legata ad aspetti concettuali e al superamento del linguaggio pittorico informale. Nato a Nizza nel 1928
ha una formazione piuttosto eterogenea:, studi nautici e di lingue orientali; allenatore di cavalli da corsa;
campione di judo; è inoltre un appassionato cultore di filosofia zen, alchimia, mistica medievale. I suoi
migliori amici sono lo scultore Arman (Fernandez) e il poeta Claude Pascal, nel cui appartamento
usano incontrasi, raccolti in una stanza dipinta di blu dove meditano, leggono opere esoteriche e
alchemiche, suonano jazz, ballano, fanno pratica di judo e sognano di partire per il Giappone in un
viaggio a cavallo. Talvolta salgono sui tetti e si spartiscono il mondo: Arman prende per sé la terra e
tutte le ricchezze materiali, Pascal le parole, Yves il cielo e il senso di infinito che gli appartiene (una
volta racconta di avere firmato il cielo con un gesto simbolico). Tra il 1952 e il 1954 vive quindici mesi
in Giappone, coltivando la filosofia buddista e praticando judo nel prestigioso Istituto Kodokan di
Tokyo, raggiungendo il migliore livello europeo (gli servirà anche per mantenersi una volta tornato in
Europa). A metà degli anni ’50 mette a punto il celebre IKB, International Klein Blu, un colore unico con
il quale dipinge quadri, ma anche oggetti, trasportandoli così in una dimensione spirituale (è ottenuto
mescolando un fissativo sintetico, Rhodopas MA, composto da alcool etilico e acetato di etile e
mescolato al pigmento puro blu oltremare. In una conferenza tenuta alla Sorbona nel 1959, l’artista
spiega: “Le influenze esterne che mi hanno portato a proseguire in questa via del monocromo fino a questo immateriale
attuale, sono multiple: la lettura del giornale di Delacroix, campione del colore all’origine della pittura lirica
contemporanea, poi lo studio della posizione di Delacroix nei confronti di quella di Ingres, campione, lui,
dell’accademismo che genera la linea e tutte le sue conseguenze, che a mio parere hanno condotto l’arte odierna
all’esasperazione della forma, come quella bella e grande avventura drammatica di Malévitch, oppure il problema senza
nessuna soluzione possibile dell’organizzazione dello spazio di Mondrian che ha generato la policromia architettonica di
cui soffre terribilmente il nostro urbanismo attuale, ma soprattutto ho avuto un grande choc scoprendo ad Assisi nella
Basilica di San Francesco, degli affreschi rigorosamente monocromi uniti e blu, che io credo di potere attribuire a Giotto.
(...) Ammettendo anche che Giotto abbia avuto solo l’intenzione figurativa di mostrare un cielo puro e senza nuvole,
tuttavia questa intenzione rimane pur sempre molto monocroma.” La fase del “dell’”Epoca blu”, proclamata
dallo stesso K., è aperta dall’esposizione nella Galleria milanese Apollinaire (1957) di dodici
monocromi blu (altezza 78 per 56 di base) identici in tutto tranne che nel prezzo, poiché ognuno
contiene, a detta di Klein, una dose diversa di “sensibilità d’artista” (le tele appaiono rigorosamente non
firmate). Qualche giorno dopo l’inaugurazione offre allo stesso pubblico un’esibizione di lotta
giapponese presso il Club Jijro Kano. Tra i primi acquirenti dei quadri c’è Lucio Fontana, un segno di
come le loro ricerche siano vicine. In questa occasione stringe un rapporto di proficua amicizia anche
con il giovane Piero Manzoni. L’epoca blu prosegue con sculture di gesso, spugne, francobolli, rilievi
tutti impregnati di IKB; il musicista Pierre Henry accompagna un’esposizione eseguendo la
“Simphonie Monotone-Silence” composta da K dieci anni prima: una sola nota vibrante su di uno
sfondo silenzioso, analogo sonoro dei suoi quadri.
Nel 1958 a Parigi presso la Galleria di Iris Clert, organizza la sua mostra più famosa, intitolata Le Vide
(Il vuoto), che apre la fase della sua ricerca definita “Epoca pneumatica”. Per l’inaugurazione , K ha
pensato a un evento spettacolare da collocare nel cuore della città: l’illuminazione in blu dell’obelisco di
Place de la Concorde, ma nonostante le prove eseguite con la collaborazione dell’Eletricité de France,
l’autorizzazione non è concessa: “Quella sera almeno le finestre della galleria splendevano dell’inimitabile
International Klein Blue. Accanto alla porta d’ingresso, sotto un enorme baldacchino blu, erano appostate due Guardie
repubblicane in alta uniforme, severi custodi che simboleggiavano un rito di passaggio verso una dimensione sconosciuta.
Gli inviti alla mostra ‘Epoque Pneumatique’ intrigantemente sottotitolata ‘la specializzazione della sensibilità nel suo
stato primario di perpetua sensibilità pittorica’, fungevano anche da buoni del valore di 1500 franchi per incoraggiare i
visitatori a partecipare all’imminente presentazione. Klein aveva eliminato tutto l’arredamento della piccola galleria di soli
20 centimetri quadrati. Tolse perfino il telefono. Poi, concentrato esclusivamente sulla ‘sensibilità pittorica’, in
quarantotto ore pitturò di bianco la stanza con lo stesso solvente che usava per le sue tele monocrome al fine di mantenere
la luminosità e il valore intrinseco di questo non colore.
Fu forse la natura eccentrica, per non dire folle, dell’evento che fece sì che esso venisse atteso entusiasticamente sulla scena
parigina. Esso richiamò comunque oltre 3000 persone che, probabilmente aspettandosi qualcosa di diverso, entrarono
nella stanza vuota e silenziosa individualmente o in piccoli gruppi. Ai visitatori fu offerto un cocktail blu preparato
esclusivamente per l’occasione (e tempo dopo fu riferito con imbarazzo che aveva colorato di blu chiaro certi fluidi corporei).
La sera dell’inaugurazione c’era una folla incredibile. I notabili parigini vennero accompagnati dagli artisti e due
rappresentanti dell’Ordine Cattolico dei Cavalieri di San Sebastiano, a cui Klein aveva aderito(...), arrivarono nelle loro
sontuose insegne contribuendo all’atmosfera di sontuoso mistero. In tarda serata, così riferì un testimone, fecero il loro
ingresso due eleganti signore giapponesi con indosso degli sfarzosi kimono.
Nel complesso le reazioni furono estremamente positive e incoraggianti. Secondo Klein, Iris Clert vendette veramente (sotto
forma di certificati, n.d.r.) due opere immateriali (...)”. Interessante anche la reazione dei visitatori: “La
considerarono soltanto un’opportunità di dividere un’esperienza del qui e ora, la manifestazione della profonda visione
dell’artista liberato dalle restrizione del tempo e dello spazio”. (Hannah Weitemeier, 1998).
La mostra riscuote un grande successo tra l’ambiente della cultura: lo scrittore esistenzialista Albert
Camus annota sul registro delle firme “con il vuoto, pieni poteri”.
E ‘n questo periodo che l’artista inizia a pretendere di essere pagato in oro zecchino. Quando nel marzo
del 1959 partecipa a una mostra nella galleria di Leo Castelli di New York, fissa le regole di cessione
delle Zone di sensibilità pittorica immateriale, che sono uno spazio vuoto impregnato della sua presenza.
Se l’acquirente vuole che il valore fondamentale immateriale della zona gli appartenga definitivamente e
che formi un tutt'uno con lui, deve bruciare la ricevuta sulla quale è indicato il peso dell’oro puro,
valore materiale dell’immateriale acquistato. A sua volta K, alla presenza di un direttore di Museo, di un
mercante di fama o di un critico d’arte, e due testimoni, deve gettare la metà dell’oro ricevuto in mare o
in un luogo naturale qualsiasi, per cui i lingotti non possano essere più recuperati. In realtà l’artista,
come spiega il critico d’arte Pierre Restany, si considera come depositario della parte restante solo a
titolo provvissorio. Tanto è vero che si affretta ad offrire il prezioso metallo frutto di quattro cessioni in
dono a Santa Rita da Cascia, come un ex-voto (1959). L’artista ha certamente urgenza di restituire l’oro
acquisito alla natura o alla santa. Si tratta di spostare in modo determinante l’attenzione dal valore
mercantile delle opere. Un’operazione che in qualche modo si riallaccia a Marcel Duchamp, quando
pagò il suo dentista con l’“assegno Tzank” (1919). Qualcuno altro ha parlato di una sorta di
“manipolazione alchemica” da parte di K., per cui la “dematerializzazione” è pensata come tappa di un
processo che conduce alla gloriosa “resurrezione”.
Le successive realizzazioni di K. vanno in direzioni molteplici, fino a trasformare ogni atto della sua vita.
Nel 1960, dopo lunghe esercitazioni, realizza il Salto nel vuoto, diffuso da un fotomontaggio pubblicato
nell’inserto “Dimanche” del quotidiano parigino “France-soir” all’interno del Festival di Arte
d’Avanguardia, che si tiene a Parigi.
Sempre del 1960 sono le Antropometrie, dipinti ottenuti utilizzando come pennelli viventi alcune
modelle: “ Un giorno ho capito che le mie mani, i miei attrezzi di lavoro per maneggiare il colore non bastavano più.
Era con il modello stesso che dovevo dipingere la tela monocroma blu. No, non era follia erotica. Era bellissimo. Ho
gettato una grande tela bianca per terra. Ho svuotato venti chili di blu in mezzo e la ragazza si è precipitata dentro e ha
dipinto il mio quadro rotolandosi sulla superficie della tela in tutti i sensi. Dirigevo, girando rapidamente attorno a questa
fantastica superficie, tutti i movimenti e gli spostamenti della modella che, tra l’altro, presa dall’azione e dal blu così vicino
e a contatto con la sua pelle, non mi sentiva nemmeno più urlare ‘ancora un po’ a destra’’, ‘lì, Ritorna girando sul ventre e
sulla schiena’, ‘da quella parte!”, schiaccia il tuo seno destro soltanto il quel posto preciso’...ecco fatto” Come
testimonierà molto più tardi una “modella” di K, Elena Palumbo Mosca (2000), “Soprattutto quando si
lavorava in ‘atelier’, creare le Antropometrie era chiaramente una specie di cerimonia: l’impregnazione fisica della modella
con il Blu di Yves (YKB) avveniva in silenzio, in un’atmosfera di grande intensità: Yves, quasi memore di sacerdoti
antichi, indicava solo dove applicare il colore. Il corpo della modella, impregnato di blu, si trasformava allora chiaramente
in energia vitale materializzata: mi sembrava che diventasse un mezzo per il flusso del ‘Ki’.”
Nel febbraio 1961 in forma del tutto privata si reca a Cascia in Italia, per mettere sotto la protezione
terrestre di Santa Rita se stesso e le sue opere e garantire successo, bellezza e vita eterna alle propria
opera. La scatola, contenente oro zecchino, YKB e il rosa immateriale, verrà ritrovata soltanto nel 1980
nel magazzino delle offerte del monastero.
Sempre nel 1961 realizza la sua prima grande serie di Pitture di fuoco al Centre d’Essais du Gaz de France,
La Plaine Saint-Denis, vicino a Parigi. K.usa un cartone svedese rinforzato che ha la particolarità di
bruciare lentamente; questo viene offerto alle fiamme dei becchi Bunsen . Inoltre sovrappone all’azione
della fiamma quella dell’acqua che scivola lungo il supporto i modo tale che l’impronta del fuoco si
inserisca lasciando tracce dello scorrere.
Vengono poi le “sculture di fuoco”, ottenute con razzi bengala e destinate a durare pochi istanti. Come
per la metafisica aristotelica, il fuoco è considerato da K. sede del congiungimento degli opposti, fonte
di luce e di vita, sprigionamento dell’energia spirituale oltre che materiale. Un analogo senso del rito,
del magico, del soprannaturale ispira la cerimonia con la quale sposa Rotraut Uecker nel 1962: lei
indossa una corona blu sotto il velo, lui la divisa dell’ordine di San Sebastiano. Muore ad appena
trentaquattro nel 1962.

Dal secondo dopoguerra Parigi perde il ruolo di centralità nel sistema dell’arte, scalzata, come abbiamo
visto nelle precedenti lezioni, da New York e dal potere economico e politico svolto dall’America. La
capitale francese costituisce tuttavia un centro vitale delle ricerche d’avanguardia, collegato all’Italia (in
particolare Milano dove operano Lucio Fontana e Piero Manzoni) e all’America. Anche in Europa,
come in America, il predominio assoluto dell’Espressionismo astratto entrerà in crisi solo dopo il 1960,
preceduto da una situazione di rivalità ma anche di proficui scambi delle esperienze diverse.
Yves Klein svolge un ruolo significativo nell’uso della performance all’interno della sua ricerca artistica,
legata ad aspetti concettuali e al superamento del linguaggio pittorico informale. Nato a Nizza nel 1928
ha una formazione piuttosto eterogenea:, studi nautici e di lingue orientali; allenatore di cavalli da corsa;
campione di judo; è inoltre un appassionato cultore di filosofia zen, alchimia, mistica medievale. I suoi
migliori amici sono lo scultore Arman (Fernandez) e il poeta Claude Pascal, nel cui appartamento
usano incontrasi, raccolti in una stanza dipinta di blu dove meditano, leggono opere esoteriche e
alchemiche, suonano jazz, ballano, fanno pratica di judo e sognano di partire per il Giappone in un
viaggio a cavallo. Talvolta salgono sui tetti e si spartiscono il mondo: Arman prende per sé la terra e
tutte le ricchezze materiali, Pascal le parole, Yves il cielo e il senso di infinito che gli appartiene (una
volta racconta di avere firmato il cielo con un gesto simbolico). Tra il 1952 e il 1954 vive quindici mesi
in Giappone, coltivando la filosofia buddista e praticando judo nel prestigioso Istituto Kodokan di
Tokyo, raggiungendo il migliore livello europeo (gli servirà anche per mantenersi una volta tornato in
Europa). A metà degli anni ’50 mette a punto il celebre IKB, International Klein Blu, un colore unico con
il quale dipinge quadri, ma anche oggetti, trasportandoli così in una dimensione spirituale (è ottenuto
mescolando un fissativo sintetico, Rhodopas MA, composto da alcool etilico e acetato di etile e
mescolato al pigmento puro blu oltremare. In una conferenza tenuta alla Sorbona nel 1959, l’artista
spiega: “Le influenze esterne che mi hanno portato a proseguire in questa via del monocromo fino a questo immateriale
attuale, sono multiple: la lettura del giornale di Delacroix, campione del colore all’origine della pittura lirica
contemporanea, poi lo studio della posizione di Delacroix nei confronti di quella di Ingres, campione, lui,
dell’accademismo che genera la linea e tutte le sue conseguenze, che a mio parere hanno condotto l’arte odierna
all’esasperazione della forma, come quella bella e grande avventura drammatica di Malévitch, oppure il problema senza
nessuna soluzione possibile dell’organizzazione dello spazio di Mondrian che ha generato la policromia architettonica di
cui soffre terribilmente il nostro urbanismo attuale, ma soprattutto ho avuto un grande choc scoprendo ad Assisi nella
Basilica di San Francesco, degli affreschi rigorosamente monocromi uniti e blu, che io credo di potere attribuire a Giotto.
(...) Ammettendo anche che Giotto abbia avuto solo l’intenzione figurativa di mostrare un cielo puro e senza nuvole,
tuttavia questa intenzione rimane pur sempre molto monocroma.” La fase del “dell’”Epoca blu”, proclamata
dallo stesso K., è aperta dall’esposizione nella Galleria milanese Apollinaire (1957) di dodici
monocromi blu (altezza 78 per 56 di base) identici in tutto tranne che nel prezzo, poiché ognuno
contiene, a detta di Klein, una dose diversa di “sensibilità d’artista” (le tele appaiono rigorosamente non
firmate). Qualche giorno dopo l’inaugurazione offre allo stesso pubblico un’esibizione di lotta
giapponese presso il Club Jijro Kano. Tra i primi acquirenti dei quadri c’è Lucio Fontana, un segno di
come le loro ricerche siano vicine. In questa occasione stringe un rapporto di proficua amicizia anche
con il giovane Piero Manzoni. L’epoca blu prosegue con sculture di gesso, spugne, francobolli, rilievi
tutti impregnati di IKB; il musicista Pierre Henry accompagna un’esposizione eseguendo la
“Simphonie Monotone-Silence” composta da K dieci anni prima: una sola nota vibrante su di uno
sfondo silenzioso, analogo sonoro dei suoi quadri.
Nel 1958 a Parigi presso la Galleria di Iris Clert, organizza la sua mostra più famosa, intitolata Le Vide
(Il vuoto), che apre la fase della sua ricerca definita “Epoca pneumatica”. Per l’inaugurazione , K ha
pensato a un evento spettacolare da collocare nel cuore della città: l’illuminazione in blu dell’obelisco di
Place de la Concorde, ma nonostante le prove eseguite con la collaborazione dell’Eletricité de France,
l’autorizzazione non è concessa: “Quella sera almeno le finestre della galleria splendevano dell’inimitabile
International Klein Blue. Accanto alla porta d’ingresso, sotto un enorme baldacchino blu, erano appostate due Guardie
repubblicane in alta uniforme, severi custodi che simboleggiavano un rito di passaggio verso una dimensione sconosciuta.
Gli inviti alla mostra ‘Epoque Pneumatique’ intrigantemente sottotitolata ‘la specializzazione della sensibilità nel suo
stato primario di perpetua sensibilità pittorica’, fungevano anche da buoni del valore di 1500 franchi per incoraggiare i
visitatori a partecipare all’imminente presentazione. Klein aveva eliminato tutto l’arredamento della piccola galleria di soli
20 centimetri quadrati. Tolse perfino il telefono. Poi, concentrato esclusivamente sulla ‘sensibilità pittorica’, in
quarantotto ore pitturò di bianco la stanza con lo stesso solvente che usava per le sue tele monocrome al fine di mantenere
la luminosità e il valore intrinseco di questo non colore.
Fu forse la natura eccentrica, per non dire folle, dell’evento che fece sì che esso venisse atteso entusiasticamente sulla scena
parigina. Esso richiamò comunque oltre 3000 persone che, probabilmente aspettandosi qualcosa di diverso, entrarono
nella stanza vuota e silenziosa individualmente o in piccoli gruppi. Ai visitatori fu offerto un cocktail blu preparato
esclusivamente per l’occasione (e tempo dopo fu riferito con imbarazzo che aveva colorato di blu chiaro certi fluidi corporei).
La sera dell’inaugurazione c’era una folla incredibile. I notabili parigini vennero accompagnati dagli artisti e due
rappresentanti dell’Ordine Cattolico dei Cavalieri di San Sebastiano, a cui Klein aveva aderito(...), arrivarono nelle loro
sontuose insegne contribuendo all’atmosfera di sontuoso mistero. In tarda serata, così riferì un testimone, fecero il loro
ingresso due eleganti signore giapponesi con indosso degli sfarzosi kimono.
Nel complesso le reazioni furono estremamente positive e incoraggianti. Secondo Klein, Iris Clert vendette veramente (sotto
forma di certificati, n.d.r.) due opere immateriali (...)”. Interessante anche la reazione dei visitatori: “La
considerarono soltanto un’opportunità di dividere un’esperienza del qui e ora, la manifestazione della profonda visione
dell’artista liberato dalle restrizione del tempo e dello spazio”. (Hannah Weitemeier, 1998).
La mostra riscuote un grande successo tra l’ambiente della cultura: lo scrittore esistenzialista Albert
Camus annota sul registro delle firme “con il vuoto, pieni poteri”.
E ‘n questo periodo che l’artista inizia a pretendere di essere pagato in oro zecchino. Quando nel marzo
del 1959 partecipa a una mostra nella galleria di Leo Castelli di New York, fissa le regole di cessione
delle Zone di sensibilità pittorica immateriale, che sono uno spazio vuoto impregnato della sua presenza.
Se l’acquirente vuole che il valore fondamentale immateriale della zona gli appartenga definitivamente e
che formi un tutt'uno con lui, deve bruciare la ricevuta sulla quale è indicato il peso dell’oro puro,
valore materiale dell’immateriale acquistato. A sua volta K, alla presenza di un direttore di Museo, di un
mercante di fama o di un critico d’arte, e due testimoni, deve gettare la metà dell’oro ricevuto in mare o
in un luogo naturale qualsiasi, per cui i lingotti non possano essere più recuperati. In realtà l’artista,
come spiega il critico d’arte Pierre Restany, si considera come depositario della parte restante solo a
titolo provvissorio. Tanto è vero che si affretta ad offrire il prezioso metallo frutto di quattro cessioni in
dono a Santa Rita da Cascia, come un ex-voto (1959). L’artista ha certamente urgenza di restituire l’oro
acquisito alla natura o alla santa. Si tratta di spostare in modo determinante l’attenzione dal valore
mercantile delle opere. Un’operazione che in qualche modo si riallaccia a Marcel Duchamp, quando
pagò il suo dentista con l’“assegno Tzank” (1919). Qualcuno altro ha parlato di una sorta di
“manipolazione alchemica” da parte di K., per cui la “dematerializzazione” è pensata come tappa di un
processo che conduce alla gloriosa “resurrezione”.
Le successive realizzazioni di K. vanno in direzioni molteplici, fino a trasformare ogni atto della sua vita.
Nel 1960, dopo lunghe esercitazioni, realizza il Salto nel vuoto, diffuso da un fotomontaggio pubblicato
nell’inserto “Dimanche” del quotidiano parigino “France-soir” all’interno del Festival di Arte
d’Avanguardia, che si tiene a Parigi.
Sempre del 1960 sono le Antropometrie, dipinti ottenuti utilizzando come pennelli viventi alcune
modelle: “ Un giorno ho capito che le mie mani, i miei attrezzi di lavoro per maneggiare il colore non bastavano più.
Era con il modello stesso che dovevo dipingere la tela monocroma blu. No, non era follia erotica. Era bellissimo. Ho
gettato una grande tela bianca per terra. Ho svuotato venti chili di blu in mezzo e la ragazza si è precipitata dentro e ha
dipinto il mio quadro rotolandosi sulla superficie della tela in tutti i sensi. Dirigevo, girando rapidamente attorno a questa
fantastica superficie, tutti i movimenti e gli spostamenti della modella che, tra l’altro, presa dall’azione e dal blu così vicino
e a contatto con la sua pelle, non mi sentiva nemmeno più urlare ‘ancora un po’ a destra’’, ‘lì, Ritorna girando sul ventre e
sulla schiena’, ‘da quella parte!”, schiaccia il tuo seno destro soltanto il quel posto preciso’...ecco fatto” Come
testimonierà molto più tardi una “modella” di K, Elena Palumbo Mosca (2000), “Soprattutto quando si
lavorava in ‘atelier’, creare le Antropometrie era chiaramente una specie di cerimonia: l’impregnazione fisica della modella
con il Blu di Yves (YKB) avveniva in silenzio, in un’atmosfera di grande intensità: Yves, quasi memore di sacerdoti
antichi, indicava solo dove applicare il colore. Il corpo della modella, impregnato di blu, si trasformava allora chiaramente
in energia vitale materializzata: mi sembrava che diventasse un mezzo per il flusso del ‘Ki’.”
Nel febbraio 1961 in forma del tutto privata si reca a Cascia in Italia, per mettere sotto la protezione
terrestre di Santa Rita se stesso e le sue opere e garantire successo, bellezza e vita eterna alle propria
opera. La scatola, contenente oro zecchino, YKB e il rosa immateriale, verrà ritrovata soltanto nel 1980
nel magazzino delle offerte del monastero.
Sempre nel 1961 realizza la sua prima grande serie di Pitture di fuoco al Centre d’Essais du Gaz de France,
La Plaine Saint-Denis, vicino a Parigi. K.usa un cartone svedese rinforzato che ha la particolarità di
bruciare lentamente; questo viene offerto alle fiamme dei becchi Bunsen . Inoltre sovrappone all’azione
della fiamma quella dell’acqua che scivola lungo il supporto i modo tale che l’impronta del fuoco si
inserisca lasciando tracce dello scorrere.
Vengono poi le “sculture di fuoco”, ottenute con razzi bengala e destinate a durare pochi istanti. Come
per la metafisica aristotelica, il fuoco è considerato da K. sede del congiungimento degli opposti, fonte
di luce e di vita, sprigionamento dell’energia spirituale oltre che materiale. Un analogo senso del rito,
del magico, del soprannaturale ispira la cerimonia con la quale sposa Rotraut Uecker nel 1962: lei
indossa una corona blu sotto il velo, lui la divisa dell’ordine di San Sebastiano. Muore ad appena
trentaquattro nel 1962.

(liberamente tratto da testi vari)

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