Disprezzo della donna presso i monaci e gli antichi padri della chiesa
KARLHEINZ DESCHNER
La donna veniva particolarmente evitata, oltraggiata e temuta dai monaci: costoro, infatti, secondo un paragone assai antico, per la vicinanza di una donna si disciolgono come il sale nell'acqua (Joh. Mosch. Prat. spirit. 217). («Basta che i monaci vedano una donna» -così suona un errore di stampa davvero diabolico in un comunicato dell'Assemblea dei cattolici tedeschi del 1968 - «che subito grugniscono come veri e propri maiali».
Molti eremiti non videro una donna anche per quarant'anni e più (Nigg, Von Geheimnis 55). Altri respinsero - evidentemente sotto l'influsso di desideri incestuosi rimossi - persi-nò i parenti più stretti, a volte con la consolazione che presto ci si sarebbe rivisti in paradiso . Quando un monaco egizio dovette traghettare la vecchia madre al di là di un fiume, prima si avvolse le mani con degli stracci: quia corpus mulieris ignis est (Schjelderup 105). Simeone, il santo stilila, per motivazioni ascetiche non guardò la madre vita naturai durante. Teodoro, già discepolo prediletto e successore di Pacomio, dichiarò che se glielo ordinasse Dio, arriverebbe a uccidere la propria madre (Griitzmacher 105). Chi è in grado di disprezzare il dolore di una madre, si narra nella Vita di s. Fulgenzio, sopporta agevolmente qualsiasi cosa gli venga imposta (Schjelderup 48). Ma ancora nel XX secolo un priore insegna a un monaco, il quale aspetta la visita della madre (consentita una volta all'anno), di contenersi anche di fronte a lei, perché: «Tutte le donne sono pericolose!» (Leist 172).
Specialmente nella Chiesa cattolica la donna appare fin dal principio solo come ostacolo alla perfezione, come soggetto carnale, inferiore, tentatore dell'uomo, come Èva, e peccatri-ce tout court. I teologi si richiamano continuamente alla Bibbia, all'antica storiella della creazione e del peccato originale, alla creazione della donna dall'uomo e alla sua tentazione da parte della femmina, trasformandola in ancella dell'uomo, in generatrice di peccato e di morte.
Il padre della chiesa Tertulliano, celebrato dai cattolici come «araldo» di un «nuovo ideale femminile, di un aspetto più elevato della comunanza coniugale» (Fangauer 36 sgg, Fink 75), degrada la donna a «breccia del demonio» e le attribuisce la colpa della morte di Gesù: «Sei tu» - così accusa la donna in generale - «che hai concesso l'ingresso al diavolo, tu hai spezzato il sigillo di quell'albero, tu hai per prima violato l'osservanza della legge divina, sei sempre tu colei che ha confuso colui al quale il demonio non osava accostarsi. Così facilmente hai gettato a terra l'uomo, l'immagine di Dio; a causa della tua colpa, cioè in nome della morte, dovette morire anche il figlio di Dio, eppure ti viene in capo di apporre sopra la tua veste anche orpelli ornamentali!?». Tertulliano concede alla donna soltanto l'abito del lutto e comanda a ogni fanciulla appena uscita dall'infanzia di ricoprire «il suo viso tanto pericoloso», pena la perdita della beatitudine eterna.
Il dottore della chiesa Agostino, lumen ecclesiae, definisce la donna un essere inferiore, creato da Dio non a sua immagine e somiglianzà (rnulier non estfacta ad imaginem dei). Una diffamazione gravida di conseguenze, che ritornerà fino all'Alto Medioevo, ai Codici di Ivo di Chartres e di Graziano e presso i teologi più influenti. La somiglianzà dell'uomo con Dio viene riconosciuta soltanto al maschio; attribuirla anche alla donna era considerato «assurdo». Secondo Agostino corrisponde a «giustizia» e «all'ordine naturale della società... che le donne siano serve degli uomini» . «Il giusto ordine si trova solo là dove l'uomo comanda e la donna obbedisce» (August. in Joan. ev. 2, 14).
Il dottore della chiesa Giovanni Crisostomo vede le donne destinate «principalmente» a soddisfare la lussuria degli uomini. E il dottore della chiesa Girolamo, che a quanto si dice «ha fatto tanto per le donne» (Fink. 79 sg.), decreta: «Se la donna non si sottomette all'uomo, che è il suo capo, essa è colpevole del medesimo delitto di un uomo che non si sottoponga al suo capo (Cristo)» (Hieron. in ep. ad Titum 2, 5), ciò che venne inserito da Graziano persino nel diritto ecclesiastico.
E' diventato famigerato un episodio accaduto durante il Sinodo di Mafon (585), dove si discusse la questione se le donne meritevoli in occasione della resurrezione della carne non dovessero essere trasformate in uomini prima di poter entrare in paradiso, e un vescovo si distinse brillantemente affermando che le donne non possono essere definite creature umane (mulierem hominem vocitari non posse) .
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