I precursori dell’action painting
RICERCHE A CURA DI D. PICCHIOTTI
Alexander Calder –
Nato nel 1898 da una famiglia di artisti, comincia da bambino a creare sculture semoventi con materiali di recupero. Dopo essersi laureato in ingegneria, nel 1923 va a New York per studiare arte; nel 1925 la National Police Gazette lo invia a disegnare scene dal vero presso un circo. Il circo diviene uno dei suoi temi privilegiati e l’anno dopo, trasferitosi a Parigi, crea il Cirque Calder, fondendo il teatro di marionette con una forma di scultura basata sulla ricombinazione di materiali poveri come fil di ferro, stoffa, cuoio e su meccanismi cinetici, creando vere e proprie performance con i suoi personaggi. Conosce Mirò, Arp, Léger, Mondrian e Duchamp e sviluppa una ricerca su forme astratte collegate in delicati equilibri nello spazio: è Duchamp a coniare per le sue opere semoventi il termine “Mobiles”. Di contro, le opere statiche vengono chiamate “Stabiles”. Pur essendo definito uno scultore, Calder è interessato alla bidimensionalità, al colore, alle direzioni di movimento. Le sue sculture sono sistemi di pesi, a loro volta risultanti dalla somma di sottosistemi indipendenti. Nel 33 torna negli Stati Uniti, stabilendosi nel Connecticut, dove la sua fama e influenza crescono rapidamente, fino alla consacrazione con la grande personale allestita nel 43 al MOMA di New York.
Arshile Gorky
Gorky, profugo armeno nato nel 1904 e scampato al genocidio turco (la sua storia drammatica è raccontata nel film Ararat di Atom Egoyan), ha una cultura figurativa fortemente europea, è influenzato da Cézanne, Picasso, Kandinski, e porta nella sua pittura il ricordo dell’Armenia e delle storie raccontate dalla madre. Inizialmente figurativo, poi neocubista, partecipa ai progetti federali e si volge verso un’astrazione memore del surrealismo di Mirò, Arp, Masson, Tanguy e influenzata dal più giovane Sebastian Matta. Come Wols con l’autoipnosi e Mathieu con la rapidità, anche Gorky tenta di addormentare la sua parte razionale nell’atto creativo, che deve diventare un momento di autopercezione, di flusso libero della coscienza e delle sensazioni. Il fine perseguito è la purezza dell’atto creativo inteso junghianamente come affiorare dell’inconscio mitopoietico.
Negli anni Quaranta Gorky dipinge la serie del Giardino a Sochi, passando gradualmente da forme delineate con chiarezza sullo sfondo a una concezione della tela come campo su cui segni e colori sembrano agitarsi e fluire uscendo dai binari di una tradizionale concezione di composizione e di struttura formale. Lo spunto è il ricordo del giardino paterno e del paesaggio armeno; la serie è caratterizzata da stesure soffici di colore che tendono a forme tondeggianti, semplici, a volte riecheggianti i disegni dei bambini, a sfumature e a colature, mentre le tinte sono spesso calde, luminose e morbide. L’impressione che ne deriva è che i campi cromatici siano forme vive, in espansione, tendenti a sovrapporsi e a muoversi sullo spazio della tela. Spesso vi sono allusioni al maschile e al femminile, in una sorta di emergere semiautomatico dell’eros. Ancora una volta questa pittura richiama il primigenio, l’arte come nascita della vita, e questa nascita è presente fenomenicamente “nel” colore, non come rappresentazione. Anche per questo, nonostante la presenza di elementi che ricordano Mirò, che potremmo definire nuclei, amebe, ciglia, il rapporto fra figura e sfondo si fa sempre più ambiguo. Dopo una stagione sfortunata di incidenti e solitudine, Gorky si suicida nel 1948, nella sua fattoria in Connecticut.
Hans Hofmann
Artista tedesco nato in Baviera nel 1880, attivo prima del 1935 a Parigi e a Monaco, è fra i molti artisti e intellettuali europei, soprattutto tedeschi ed ebrei, invitati a insegnare in America negli anni Trenta e Quaranta. Già nel 1930 è invitato per delle lezioni all’università di Berkeley, in California. Più tardi è a New York, dove apre diverse scuole, portandovi la sua personale cultura pittorica formata sull’espressionismo, su Kandinski, sui fauves e sul cubismo. Ai suoi allievi americani Hofmann insegna la libera espressione individuale come traduzione di concetti interiori e spirituali attraverso il colore; la sua cultura figurativa affonda le radici nelle teorie di inizio secolo su astrazione ed empatia. Dal 1942 si orienta verso l’automatismo e l’emergere di un biomorfismo di derivazione surrealista. Grande sperimentatore, è considerato l’inventore del dripping. Per lui il dipinto è una sinfonia di forze, movimenti e contromovimenti che animano la superficie pittorica. Meno stimato dalla critica americana e dalle gallerie rispetto ai più noti protagonisti dell’action painting, forse per il suo forte legame con l’Europa, le sue lezioni sono comunque un indubbio punto di riferimento per molti artisti più giovani, ma anche per giovani critici come Clement Greenberg.
William Baziotes
Nato da famiglia greca, partecipa attivamente ai programmi del Federal Project. Influenzato da Picasso, Klee e dal surrealismo (specialmente Mirò e successivamente Matta), si volge ben presto a un’astrazione come veicolo di significati psichici. Gradualmente elimina l’illusionismo tridimensionale, mantenendo però un senso di armonia e un riferimento a paesaggi e personaggi fantastici, a luoghi dell’interiorità liquidi e nebbiosi. Baziotes ricerca la raffinatezza nella riduzione dei colori e denuncia una volontà estetizzante legata a influenze orientali.
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