mercoledì 28 novembre 2007

Il Sentimento Religioso dei Siciliani

RICERCHE A CURA DI D. PICCHIOTTI

" Una razza, abbracciando un culto
che non era stato fatto per essa,
lo trasforma secondo i bisogni
della sua immaginazione e del suo cuore.
E. Renan

La storia delle religioni raccoglie gli elementi più profondi dell'intima natura dei popoli, e la ricerca, in questo campo, porta alle più sorprendenti scoperte dell'etnologia. Presso tutte le Civiltà, lo spirito pratico nacque e si sviluppò dopo la sensibilità religiosa. Il fenomeno primordiale del sentimento, o dell'istinto religioso, avrebbe avuto origine poligenetica come ogni fatto fondamentale dello spirito umano, ma lo studio del suo sviluppo, dei miti e dei rituali attraverso i quali i siciliani lo hanno manifestato nei millenni, resta il tema più affascinante e inesplorato del mondo mediterraneo.
Quì, dove le differenti stirpi si unirono, filtrando il proprio mondo nel precedente e primitivo mondo locale, il processo d'amalgama, di confusione e di sintesi dei molteplici miti teologali e dei rispettivi rituali, è divenuto ancora più inestricabile, a causa delle tormentose vicende del territorio e delle diverse Civiltà che vi confluirono. Il tessuto mitologico è privo d'orli. Si potrebbe cominciare da una profondità sempre maggiore, spingersi sempre più in là, e propriamente non finirla mai. Il pensiero umano è mitico e logico insieme. Né la religione è puro pensiero razionale, estraneo al mito. Come la magia, così il mito è già religione. Restringendo l'indagine alla morfologia spirituale del sentimento collettivo che si è formato dentro la lente ustoria della terrificante esperienza storica isolana, si può affermare che la natura del particolarismo religioso dei siciliani si rileva dalle sue stesse originarie concezioni magiche, animistiche e politeiste, trasposte nell'attualità temporale della professione di fede cristiana. Il dato è confermato dalla persistenza dei più antichi riti pagani, ed il mistero che racchiudono, in una Sicilia misteriosa e leggendaria dominata da dei, dove si celebravano i fasti ed i misteri di numi a noi tanto familiari, e dalle vecchie convinzioni dell'anima popolare, che intende identificarsi così nel culto dell'ultima religione introdotta in Sicilia tardivamente.
Ogni popolo conserva, specie negli strati sociali più umili, traccia delle sue più antiche concezioni religiose, anche di quelle che nel pensiero delle classi elevate sono ormai eliminate. Ma il particolarismo religioso dei siciliani consiste nell'ininterrotto processo di trasposizione iniziatosi dalla preistoria e che l'avvento del cristianesimo non ha arrestato.
La Gente di Sicilia ha voluto e saputo adattare il calendario di un'epoca naturistica e mitica - un esempio lo troviamo nelle feste in onore di Dionisio che si svolgevano nell'antica Grecia, accadevano all'inizio della primavera, erano feste agricole, familiari - ad un altro puramente cristiano, adeguando perfino i dogmi della cristianità al carattere idillico e passionale delle vecchie religioni mediterranee ed alle proprie esigenze.
Oltre che dalla viva tradizione, questo specifico atteggiamento dell'inconscio logico del sentimento religioso è provato anche dall'ubicazione topografica delle più antiche chiese, dai monumenti, dalle iscrizioni, dalle fonti letterarie popolari relative alla fede, e perfino dagli itinerari urbani che le processioni dei fedeli, oggi cattolici, ripetono con esattezza dai tempi arcaici, sostituendo alle esigenze dell'una o dell'altra teologia, e del dramma stagionale sacro e immutabile, il simulacro non pervenutoci di Gereatide o degli dei Pàlici con quello più fantasioso delle altre divinità sicane, africane, fenicie, greche, puniche e romane, fino a quello più nobile del Cristo e dei santi, ma con lo stesso sentimento religioso originario.
Le vecchie credenze e le antiche usanze vi hanno pure lasciato le loro viventi rovine, che s'incontrano ad ogni passo e che richiamano in mezzo alla vita moderna i ricordi dell'antica poesia. Anche quando sono scomparse davanti al Cristianesimo, le divinità pagane vi hanno lasciato ovunque i loro fantasmi. Ma i fantasmi dell'etnologia sono creature vive e inquietanti.
La scienza del Pitrè insegna che "il compito dello studioso delle tradizioni popolari è quello di vedere come esse si sono formate, perché si conservano, quali sono stati e quali sono i bisogni che ne determinano non solo la conservazione ma quella continua, e direi quasi naturale rielaborazione, dov'é il segreto stesso della loro esistenza che è un continuo morire per un eterno rivivere".
Il concetto della tradizione non è un concetto statico, ma è un concetto intimamente, eminentemente dinamico.
Una delle conquiste più notevoli della psicologia contemporanea è la determinazione di una sfera di fenomeni spirituali che sfugge alla presa della coscienza riflessa e si cela in un'indecifrabile penombra di interiorità. C'è nel vasto operare dei fedeli, nelle impercettibili vibrazioni dell'anima religiosa collettiva, una parte che si ribella alla luce della cultura e che sfugge all'esplorazione della ricerca metodica.
I primi abitatori dell'Isola, a Lèvanzo o a Marina di Ragusa, furono indubbiamente zoolatri come tutti i preistorici. Tra le divinità neolitiche, la misteriosa Gereatide è il simbolo senza sesso della generazione. Si venerava a Nasso, nei dintorni di quell'approdo, nel famoso Santuario di Hybla sulle pendici dell'Etna e in molte altre località, sotto lo stesso nome e il comune rituale, consistente nell'offerta degli organi sessuali degli animali sacrificati, appesi agli alberi sacri assieme alle corna e agli amuleti magici propiziatori. La città di Hybla fu detta anche Gereatide in onore di quella divinità, alla quale si votò una vasta setta di sacerdoti.
Traccia dell'antico culto autoctono, con l'offerta votiva delle " gerre " a Gereatide, si riscontra tuttora, tra i pastori dell'Isola, nell'usanza di appendere le interiora degli animali appena sventrati a quell'albero secco che sono soliti piantare accanto al proprio pagliaio, e dove mettono comunemente i propri zaini e le fiscelle gocciolanti al riparo dalle bestie.
In quell'uso attuale e ricorrente è notevole il particolare che non buttano subito ai cani le frattaglie delle pecore e degli agnelli scuoiati, ma solo dopo averle tenute appese per un breve spazio di tempo - come nel rito atavico - a quell'albero sacro che essi chiamano staccia.
Noi non sappiamo ancora se Gereatide ebbe forma antropica e sessualmente distinta, oppure sembianze umane ed animali insieme, come certe coeve divinità delle civiltà religiose più esplorate di Samarra Elam e Unuk - Uruk, alle quali certamente è legata per molti aspetti.
Nella Cosmogonìa sicula, le stesse uova sacre di pietra che si schiudono al volo dell'allodola, secondo l'iscrizione greca del ritrovamento archeologico di Siracusa, ci danno testimonianza di un altro antichissimo rituale collegato al medesimo simbolo religioso della divinità generatrice. Nella Cosmogonìa fenicia, esposta da Sancuniatòne intorno all'XI secolo a.C, questo simbolo è identico. « Il materiale religioso delle tombe di Micene attesta inconfutabilmente l'adozione completa della religione cretese...Il fondo pre-ellenico è in ogni luogo sensibile alle origini del politeismo ».
La forza delle origini della vita fu certamente il primo fenomeno trascendentale della Natura preso in considerazione dai popoli mediterranei, come la manifestazione di un'invisibile e sotterranea presenza super-umana; il pullulare di questa concezione ha tanti piccoli spettri d'azione e porta il nome di tante divinità quanti sono i villaggi preistorici che ha portato alla luce l'archeologia in quest'area.
Nella storia delle religioni, la neolitica Gereatide corrisponderebbe alla Gran-Madre mesopotamica Ishtar (Astarte), alla sumerica Inanna di Uruk, amante di Tammuz (o Dumuzi), a Ba-alat dei Cananei, a Na-na dei Caldei e a Min degli Egiziani.
I calcidesi colonizzatori della costa orientate l'avrebbero identificata nell'VIII secolo a. C. con la grecizzata Afrodite, e così ad Entella, a Segesta e ad Erice, dove questa divinità diventò Afrodite e Venere dopo essere stata Erycina — la madre del re indigeno Buie fondatore della città eponima — forse anche Iside, e per svariati secoli Astarte. Altre divinità, ctonie, che infondevano la vita alla vegetazione dalle profonde oscurità del sottosuolo, si adoravano in epoca pre-greca a Selinunte e a Gela, dove sorgeva un sacrario ad est del fiume omonimo, nella località di Bitalemi, oltre che a Megara Iblaea, la cui Dea-madre Kourotrophos, che allatta amorevolmente i suoi piccoli, è possibile venerare, o ammirare tuttora al Museo di Siracusa.
I coloni rodi e cretesi che nell' VII secolo a. C. sentirono la necessità di sincretizzare i locali culti indigeni con il proprio di Dèmetra e Kore, lasciarono alla Dèmetra di Bitalemi le sue specifiche e benigne caratteristiche sicule, e cosi ad Enna, dove la tradizione localizza addirittura il santuario della divinità, divenuta in ultimo Cerere, nella cosiddetta Rocca di Cerere, indicata dalla popolazione ennese con quel compiacimento semplice e agreste che ne illumina di pallida luce preistorica il sentimento religioso.
Il dio ctonico Adrano, trasposto nel greco Efesto, era adorato in tutta la Sicilia, e così anche il cane - simbolo squisitamente spirituale d'amicizia e di fedeltà protettrice - testimoniato per Adrano, Argirio, Messana, Segesta e molte altre località. Gli alberi furono sacri alle antiche tribù sicane e sicule dei luoghi di Enna, di Camarina, di Inessa e di Catana — l'odierna Catania — denominata Etna da Gerone I di Siracusa, quando la sottomise nel 476 a. C, subito dopo la vittoria di Imera, — e lo sono tuttora in alcuni villaggi dell'interno.
Delle due divinità indigene Lagasis e Butaias ci sono pervenuti soltanto i nomi, mentre di tante altre conosciamo appena la traduzione greca del nome indigeno di esse : Nestis, Pediacrite, Leukaspis, Buphònas, Glychatas, Krytidas. Nomi derivati da fiumi, laghi, sorgenti e località, perciò si ha la prova indiretta della pratica di un culto palingenetico. Questi spiriti divinizzati sono stati trasposti dal sentimento religioso isolano in una metamorfosi mitica ininterrotta fino all'avvento delle religioni razionali e monoteiste, nelle quali, per esso, Dio non è il principio e la fine dell'Universo, ma rimane il più antico e il più impenetrabile degli Altri Grandi Spiriti che sovrastano il destino degli uomini e delle genti. Una sostanza religiosa medesima, da allora ad oggi.
Sotto l'azzurro terso del cielo la sensibilità di questo popolo è rimasta immota e pagana come il mistero ctonio e la forza arcana dei Dvi, le divinità autoctone che dalla città ideale di Palica guidano lo spirito religioso della sua lotta di liberazione fin dal V secolo a. C.
I sacrari indigeni di Erice, di Agrigento, di Siracusa e di Catana divennero Templi della più alta civiltà mitologica siceliota per la semplice sovrapposizione delle colonne e del frontone, così come, nel tempo, furono adattati al culto ufficiale romano, cristiano, islamico, bizantino e cattolico, per la stessa naturale indifferenza e indisponibilità dell'Anima collettiva a mutuare la propria impulsività religiosa — atemporale — con le labili ipotesi dei fatti trascendentali ridotti a storia delle religioni.
La mancanza del tetto nel bellissimo tempio dorico di Segesta, eretto anch'esso intorno all'altare più antico di una divinità indigena, può spiegarsi con il fatto che le popolazioni della Sicilia arcaica — come tutte le altre primitive comunità del Mediterraneo — abbiano adorato il Sole, « il dio che si rinnova ogni giorno ».
Nel liquido mondo chiuso delle più antiche civiltà dell'Egeide e della Mesopotamia, da Ugarit a Canaan, a Cipro, all'Egitto e all'Africa Settentrionale, la letteratura sulla mitologia solare è ricchissima. Dalle invocazioni a Râ, il dio Sole delle cinque piramidi di Saqqura, alle notizie contenute nella tavoletta pittografica di Kish che si conserva ad Oxford, il mito ha una comune struttura fondamentale e unitaria, nella varietà dei modi regionali di espressione.
I fenomeni naturali del sorgere e del tramontare della palla di fuoco, che è all'origine stessa della vita, dovettero costituire i primi eventi quotidiani determinanti per il germoglio dell'attenzione e della sensibilità religiosa delle popolazioni preistoriche, passate dalla caccia alla pastorizia e alla coltivazione della terra, osservando, appunto, la durata dei viaggi solari, il succedersi delle stagioni e i fenomeni concomitanti dell'intensità della luce e dello sviluppo della vegetazione.
« La stessa data del 25 dicembre fu scelta dalle chiese della cristianità già qualche decennio prima della metà del IV secolo d.C. per sostituire la festa del Solstizio d'inverno, cioè il giorno natale del dio Sole, divinità mitriaca che godeva anche in Roma di un particolare culto: infatti, in Oriente si continuò ancora per parecchio tempo a festeggiare la Natività di Cristo il 6 gennaio ».
Prima parte del libro "Il sentimento religioso dei siciliani" di Natale Turco e Christian E. Maccarone. Edizione CSSSS.

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