lunedì 5 novembre 2007

ARTE

RICERCHE A CURA DI D. PICCHIOTTI

in generale, con questo termine si designa un insieme di procedimenti volti a produrre un determinato risultato. L'a. in questo significato si oppone da una parte alla scienza dall'altra alla natura: alla scienza concepita come conoscenza pura indipendente dalle applicazioni; alla natura concepita come potenza che produce senza riflessione. Secondo un senso più ristretto e più preciso, per a. si intende ogni produzione della bellezza da parte dell'uomo. Dei due significati quello che interessa maggiormente la filosofia è il secondo.

1. Nozione di arte - Come s'è detto, l'a. è produzione di bellezza da parte di un essere cosciente, una produzione di opere che suscitano ammirazione in chi le percepisce. L'a. è prodotta dalla collaborazione di varie facoltà: la fantasia, l'intelletto, il sentimento e la fabbrilità. L'uomo si definisce sia come animale simbolico sia come homo faber; ma l'a. non è né mero simbolismo né semplice tecnica, bensì l'incontro e la simbiosi di tutt'e due: del simbolismo e della tecnica. Grazie al suo rapporto inscindibile con la bellezza, l'a. si distingue dalla tecnica: questa ha come oggetto proprio l'utilità e l'efficienza, non la bellezza. Nel mondo greco la distinzione tra a. e tecnica non era sufficientemente formulata e con la parola techne i greci intendevano una qualsiasi abilità conseguita con cosciente applicazione, che conferisce all'uomo un dominio sulle cose e una capacità di operare sugli uomini stessi. La techne greca divenne poi l'ars dei latini, i quali anch'essi non distinguevano sempre e bene i due tipi di tecnica. La tecnica designa una semplice abilità a produrre qualche cosa di utile. L'a. invece implica il concetto di creazione, che non è la produzione di tanti oggetti eguali (come nell'opera dell'artigiano), bensì la formazione di opere belle, uniche, originali che prima non c'erano. Questa creazione è operata trasformando la natura (i vari materiali necessari alla formazione dell'opera d'a. ), vincendola e trasfigurandola. Nell'a. l'autore cerca di dare espressione sensibile a sentimenti profondi o a valori ideali; l'opera d'a. è una materializzazione di un valore spirituale; l'espressione dell'universale nel particolare, dell'intelligibile nel sensibile.

2. Classificazione - Le opere d'a. sono molteplici, quantitativamente e qualitativamente; ma oltre ad esser unificate nella comune idea dell'a. , vengono anche unificate attraverso alcuni criteri di distinzione che danno luogo ai cosidetti generi artistici. Un criterio è, per esempio, la categoria della spazialità (che darebbe luogo alla scultura, alla pittura, al disegno ecc. ), contrapposta alla categoria della temporalità (che dà luogo all'a. della poesia, della musica ecc. ). Nella classificazione kantiana le a. si distinguono in: a. della parola (eloquenza e poesia), a. figurative (plastica e pittura), e a. del giuoco delle sensazioni (distinte in sensazioni auditive, ossia la musica, e in sensazioni visive ossia l'a. del «colorito»). In Schopenhauer, la scala delle a. riproduce la gerarchia delle idee, gradi di oggettivazione della volontà; l'architettura rappresenta i gradi inferiori di questa gerarchia (per i suoi specifici elementi del peso, della durezza, della rigidezza ecc. ). Nei gradini più alti della scala si trovano invece la pittura, la scultura e la poesia. Una collocazione speciale ha la musica che riprodurrebbe la volontà stessa. Ma se in Schopenhauer la musica occupa un posto privilegiato, in Kant invece, essendo la musica un'a. che parla per mere sensazioni senza concetti, è giudicata dal punto di vista della ragione umana e quell'a. ha minor valore di qualunque altra delle belle a. Secondo Heidegger l'essenza di tutte le a. è costituita dalla poesia: «Ogni arte, come far accadere l'avvento della verità, è nella sua stessa essenza poesia; [. . . ] la verità, come illuminazione e nascondimento dell'ente, accade in quanto è poesia» (Sentieri interrotti). Tuttavia, non pochi filosofi dell'a. hanno rifiutato qualsiasi tipo di classificazione.

3. Finalità e autonomia - I filosofi assegnano all'a. anche altre finalità. Così per Paltone, Agostino e Tommaso essa ha una finalità eminentemente pedagogica, per cui sono da condannare le opere d'a. che favoriscono la corruzione. Per Aristotele, Plotino e Schopenhauer l'a. ha uno scopo eminentemente catartico, cioè aiuta l'anima a liberarsi dalle passioni, a elevarsi verso la contemplazione. Per Vico, Schelling, Hegel, Croce e Gentile l'a. ha una finalità eminentemente teoretica: conoscere le verità ultime della natura profonda delle cose, del mondo intelligibile, dell'Assoluto. Oggi questi fini secondari dell'opera d'a. (pedagogici, catartici e metafisici non riscuotono molti consensi tra i filosofi in quanto si afferma, ci sembra giustamente, che essa ha una sua funzione autonoma, che è fine a se stessa, come la scienza, la religione, la morale, la politica e l'economia. E questo in quanto attività primigenia dello spirito che dispone di una propria facoltà, l'ammirazione e la creazione, e di un proprio oggetto, il bello. Autonomia dell'a. significa che il metodo e i criteri dell'a. si desumono unicamente all'interno dell'attività artistica. Dice san Tommaso: «I prodotti dell'a. si dicono falsi in modo assoluto e per se stessi nella misura che si discostano dalla forma voluta dall'arte; e così di un artista si dice che fa un'opera falsa, quando viene meno alle regole dell'arte» (S. theol. 1, 17, 1). Tuttavia lo statuto di autonomia dell'a. non va assolutizzato, semplicemente per il fatto che l'a. non è un compartimento stagno della vita umana e neppure un elemento che da solo può determinare le altre attività umane; né può da solo esaurire la pluriforme ricchezza dell'essere. L'autonomia dell'a. non può escludere che al suo fianco s'instaurino altre esigenze, altri valori. A loro volta queste alterità non sono tali da condizionare il valore intrinseco dell'a. , e tuttavia sono tali da dare un senso più ampio e compiuto all'opera d'a. , inserendola nella concretezza e totalità della vita personale dell'artista, che è artista in quanto è anche uomo, ed è uomo in quanto è essenzialmente soggetto spirituale, e perciò aperto al vero e al buono oltre che al bello.

4. Arte e morale - Quali siano i rapporti tra a. e morale è argomento assai disputato, per il quale sono state proposte svariate soluzioni che si possono ridurre a quattro. Prima: totale estraneità dell'a. rispetto alla morale, per cui dell'a. si possono dare soltanto giudizi estetici; seconda: assoluta sottomissione dell'a. alla morale e pertanto l'unico giudizio esprimibile obiettivamente sull'a. è quello della morale; terza: identità di a. e morale, e perciò la bellezza e artisticità di un'opera d'a. sono la stessa cosa della sua moralità o bontà; quarta: correlazione tra a. e morale. Secondo questa tesi il giudizio estetico e il giudizio etico, sebbene siano distinti, non sono però del tutto indipendenti l'uno dall'altro, ma sono correlati. Delle quattro soluzioni l'ultima sembra la più valida. Infatti a. e morale sono attività essenzialmente distinte in quanto perseguono obiettivi differenti e coinvolgono immediatamente differenti facoltà: l'obiettivo dell'a. è il bello, quello della morale il bene; la facoltà che realizza l'a. è l'ammirazione e la creazione; la facoltà che attua il bene è la volontà. E, mentre l'a. si propone di fare un'opera bella, la morale si propone di fare l'uomo stesso. Tuttavia a. e morale si intersecano vicendevolmente, cosicché l'a. non può fare a meno della morale e viceversa la morale non può far a meno dell'a. In effetti, tra le opere belle da fare c'è anzitutto l'uomo, e l'a. di fare l'uomo è la morale; d'altro canto l'artista trova nella sua a. quell'attività a lui più congeniale per realizzare se stesso come uomo.

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