sabato 3 novembre 2007

L'autobiografia dalla narrazione all'autoritratto. Un metodo formativo in età adulta.

DI Capraio Giuseppe.

L’autobiografia è divenuta una delle grandi tematichedella ricerca contemporanea. Essa gode di grande attenzione a molti livelli e secondo molti aspetti in letteratura, in sociologia, nella psicologia, ma anche in antropologia e in pedagogia. L’evidenza acquisita dalla tecnica autobiografica ha una serie di ragioni, ma una prevale sulle altre: il ritorno al centro del soggetto nella cultura attuale, di un soggetto che vive radicalmente la propria crisi, attivatasi già col tramonto del mondo borghese e giunta a più completa maturazione nell’era post-moderna. Al cuore di questo processo si inserisce la pratica autobiografica, come interrogazione sull’identità del soggetto, come travaglio individuale, come assunzione della “cura di sé”, come circolo ermeneutico, come decostruzione e ricostruzione di una traiettoria di senso. Narrare se stessi è, infatti, un modo di ri-costruirsi, radicandosi proprio nello statuto problematico del soggetto contemporaneo. Ma narrarsi è anche formarsi: farsi carico di sé, delinearsi nel tempo e attraverso il tempo, assumersi come esistenza in-itinere e assumersi la custodia del proprio io per dipanare un sé, possibile e, forse, più stabile, poiché frutto, appunto, di un’interpretazione.
Da queste premesse ha preso l’avvio il presente lavoro, il quale si propone di sottolineare la valenza formativa, e autoformativa, della narrazione di sé, nonché l’intrinseca natura pedagogica di tale metodo che, attraverso le sue forme del racconto (orale), della scrittura, dell’immagine, ben si radica nell’orizzonte di un’educazione intesa quale processo formativo del soggetto colto nella sua dimensione del “poter essere”; in cui l’uomo si definisce come quell’ente che si rapporta al proprio sé nella forma di un progetto, nella forma temporale della possibilità che può ancora realizzare.
Nella prima parte si ripercorre il processo di decostruzione e problematizzazione del soggetto “moderno” nei suoi sviluppi sia in ambito filosofico, dove i primi segnali della crisi dell’io “borghese” sono individuabili nelle speculazioni sul soggetto umano sviluppate da Shopenhauer e Kierkegaard, precursori della successiva evoluzione culturale che vedrà l’”io assoluto” vacillare sotto i duri colpi inferti dalla filosofia di F. Nietzsche, dalla psicanalisi di Freud, dall’esistenzialismo con Sartre e Heidegger; sia in ambito letterario dove con Rousseau, Svevo, Joice, Proust, l’autobiografia si fa matrice profonda della cultura conclamatasi nel novecento, in quanto, ne interpreta la soggettivazione e insieme la problematizzazione della soggettività. Qui, particolare rilievo è stato dato al “caso Proust” la cui “Ricerca del tempo perduto”, attraverso la sua problematica struttura, rappresenta una pietra miliare della storia dell’autobiografia, la massima epifania della sua valenza formativa.
Nel secondo capitolo l’analisi ci conduce invece verso il soggetto contemporaneo, verso quel soggetto carico di “bisogno autobiografico” poiché ormai contrassegnato (nel suo sé) da uno statuto narrativo: infatti si è quello che si riesce a rielaborare di sé e della propria immagine, si è quello che lo sguardo “autoanalitico” svela nel gioco dell’interpretazione autobiografica.
Tale bisogno nasce dalla crisi del soggetto post-moderno, e dal nuovo statuto debole, incerto e aperto che lo contrassegna nella “società della conoscenza” il cui scenario, se da un lato può essere fonte di opportunità inedite per l’ individuo, come sapientemente indicato da molti autori tra cui Alvin Toffler, Daniel Bell, Piere Levy, Rodotà, dall’altro può divenire fucina di processi di esclusione, isolamento, omologazione, quest’ultimi elevati alla massima potenza dalle nuove I.C.T.(Information and Comunication-Technologies). Le problematiche risultanti da tali dinamiche, coinvolgendo l’individuo nelle sue molteplici dimensioni, costituiscono una nuova sfida per l’educazione, ed in particolare per l’educazione degli adulti, che, oggi, operando nell’orizzonte del paradigma dell’apprendimento permanente, ha fatto propria una nuova idea di formazione che si fonda sull’assunzione di teorie e modelli per l’apprendimento orientati, non solo all’acquisizione funzionale e quantitativa di capacità lavorative ma anche di competenze strategiche (saper apprendere, literacy, riflessività, attribuzione di senso, ecc..) che permettono al soggetto di sviluppare un pensiero responsabile e proattivo condizione costitutiva di una partecipazione autonoma, creativa, critica al lavoro e alla propria vita individuale e sociale.
Nel terzo capitolo l’attenzione è rivolta, in particolar modo, sul metodo autobiografico in quanto “tecnologia del sé” in grado di favorire l’auto-comprensione dell’io, il suo autocontrollo, il senso dinamico, la sua progettazione nell’ambito di una pedagogia (intesa come filosofia dell’educazione) non istituzionale, a forte carattere qualitativo, regolata da un modello di formazione come costruzione personale.
La pratica autobiografica è esplorata nelle varie forme del suo registro espressivo quali: il racconto orale, la scrittura, la narrazione attraverso l’immagine, ed indagata in quanto processo d’autoanalisi fondato su di una categoria pedagogica costitutivamente formativa: quella della “cura di sé” che rappresenta il meta-dispositivo dell'au tobiografia e il requisito psicologico-etico-antropologico che la genera e la orienta. Particolare attenzionzione è dedicata al metodo dell’autobiografia dell’immagine in quanto possibile percorso di ricerca (per l’educazione degli adulti e non solo) aperto a nuovi apporti ermeneutici.
Qui si vuole prendere in considerazione la possibilità dell’esistenza di codici narrativi, “non convenzionali” (quelli estetici), che affiancano e travalicano la dimensione del pensiero razionale, attraverso i quali il soggetto può entrare in contatto con se stesso, gli altri, il mondo, sulla scia di una rinnovata percezione e comprensione. In questo senso la pittura, ed in particolare l’autoritrattistica, la fiaba, il sogno, vengono letti ( nell’orizzonte del pensiero Junghiano) come possibili meta-dispositivi per mezzo dei quali il soggetto può liberare ed edurre, servendosi della forza dell’intuizione, dell’immaginazione attiva, dell’emozione, quegli aspetti del proprio sé che sono oltre la soglia dell’io razionale e che insieme ad esso restituiscono la propria autenticità all’individuo. In tal modo l’intuizione, in quanto comprensione istantanea e completa, ed in particolare l’immaginazione attiva, nella forma del metodo inaugurato da Jung, vengono valorizzate nella loro veste di “chiavi d’accesso” al significato recondito custodito dalle immagini, dalle metafore: lingua madre del nostro inconscio. Nell’ambito del processo di individuazione, definito da Jung quale percorso di scoperta dell’autentica struttura profonda del sé, l’autobiografia dell’immagine può, dunque, costituire un fertile terreno nel quale far germogliare l’albero della propria vita; una chiave d’accesso al proprio io più autentico, un’acqua-madre feconda di nuovi processi di trasformazione-ricostruzione dell’io.
Nel quarto ed ultimo capitolo la narrazione/rappresentazione di sé attraverso la stilizzazione estetica viene esplorata alla luce dell’esistenza e dell’operato di una personalità geniale: V. Van Gogh.
La vita di Van Gogh, infatti, nella sua brevità, rappresenta un eminente esempio di ciò che può essere l’esistenza di una personalità fuori da ogni canone capace di perseguire e realizzare la propria vocazione attraverso il linguaggio dell’arte e della pittura.
Tutta l’attività di Van Gogh risulta l’incarnazione di un progetto formativo, di un agire rivolto alla disvelazione della propria struttura, identità, specificità, che l’artista persegue intrecciando sapientemente la dimensione della “poiesis”, espressa nelle sue opere attraverso il “logos narrativo” del colore, dei tratti pittorici, dell’emozione, con quella più convenzionale del pensiero logico-razionale di cui le lettere al fratello Theo sono una chiara testimonianza.
Attraverso la sua opera Van Gogh rivela l’autentica natura dell’opera d’arte; il suo essere percorso elettivo di metamorfosi dell’ essere; meta-dispositivo di cui l’artista (e non solo) si serve per filtrare la realtà esterna alla luce del suo essere interiore.

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