Alberto Savinio. Il classico nel segno del contemporaneo.
Alexandra Zingone
Così Giuseppe Ungaretti in Caratteri dell'arte moderna:
«riportare nei nostri spiriti gli antichi miti, non come modi neoclassici di imitazione oziosamente accademica, ma come figure di una giovinezza spirituale ritrovata».1
Questo viaggio degli occhi e del pensiero che nella riflessione critica del 1935 il poeta Ungaretti attribuisce alla «fantasia dei pittori», costituisce, anche, il complesso nomadismo creativo - letteratura, pittura, musica - intrapreso da Alberto Savinio.
Con Savinio - all'ombra di segni incrociati - è l'apoteosi dell'arte moderna e/o del testo letterario che incontra, o meglio ricerca, ritrova, miti antichi: ma per riportarli allo sguardo e alla mente in forma nuova. Di più, impensata, inaudita.
Occorre considerare la questione nel suo manifestarsi come ricerca attiva nella cultura contemporanea.
«Grande privilegio essere nati all'ombra del Partenone - commenterà persuaso Savinio - si riceve in eredità una generatrice di luce interna e un paio di occhi trasformatori [...]».2 È il "dono" del destino all'isolato, mai all'indigeno, a «colui che nato in Grecia, greco non è»: ed esso circola così nello spazio letterario del deraciné Savinio: originaria valenza privilegiata divenuta talismano di un'operazione artistica ininterrottamente riconducibile a un'esperienza biografica più volte confessata. È generatrice di «occhi trasformatori»e produttiva «luce interna»la dichiarata eredità greca di Savinio, che risuona come monito:
«Prendi questa luce che trapassa i metalli più duri e serbala nella sede più riposta del tuo retrosguardo; aspira questo profumo misto di muschio e di sudore che è l'autentico odor dei e nascondilo nel cavo della narice».3
Subito dopo il testo avverte che si tratta di «infallibili mezzi di comparazione» per chi ne dispone.
Fatto sta che la scrittura trasgressiva di Savinio, come del resto la sua eccentrica avanguardia pittorica, testimoniano proprio una modalità assolutamente originale di presenza della civiltà classica nella cultura del Novecento.
La questione non viene a porsi all'insegna della ripresa, mimesi, replica, riproduzione: gli «occhi trasformatori» del greco Savinio guardano al classico sottraendogli il peso di canoni e rigidi schemi: lo sottopongono a completa re-visione. Rigorosamente banditi i «modi neoclassici di imitazione oziosamente accademica», la fenomenologia del classico entra, con dirompente energia, nella galassia del contemporaneo. Essa lo accoglie - senza più peso - per produrre accordi imprevisti, combinazioni inattese. È soltanto così che Savinio lo immetterà in circolazione nel proprio laboratorio: presenza ad alto tasso di frequenza, resa attivamente funzionale alle proprie ricerche, alle proprie scoperte, di linguaggio. Instaurando un movimento dialettico con esso: all'insegna della duttilità, della metamorfosi permanente. Dunque: dell'invenzione.
Una proposta di ricerca
Indagare la relazione dinamica tra parola e figura, l'intersecazione di piani tra ordine plastico e ordine linguistico, in Savinio, avvia - per aggregazione di immagini e frammenti - ad isolare la relazione dinamica, nel sistema, che parola scritta e icona dipinta via via evocano con l'eredità classica. In termini di mito, di modelli, di memoria.
Dove l'interpretazione corrosiva, la modificazione e dissacrazione delle forme, non abolisce la continuità con la tradizione: su cui si innesta. Sia pure per stabilire - già in Hermaphrodito - che «le geometrie sono spezzate».4 Del resto, «Nivasio Dolcemare è la continuazione [...] di alcuni uomini che lo hanno preceduto nel tempo [...]: Eraclito d'Efeso, Platone, Luciano di Samosata, Voltaire, Stendhal, Nietzsche [...] si ritrovano e continuano in Nivasio Dolcemare, ma emendati e perfezionati».5
Fatto sta che con Savinio il classico - il classicismo - è di scena come categoria, dimensione, campo di riferimento, polo di attrazione in quanto generatore di inesauribili avventure della mente. Argomento che circola nell'apparato in duplice forma:
a) come problema: a livello teorico affrontato con disincantata, lucida prospettiva interpretativa; esso concerne un ventaglio di questioni: letterarie, artistiche, estetiche, critiche.
b) A livello pratico, operativo: introducendolo direttamente nel proprio laboratorio. In figura, in parola. Ingrediente primario che transita quindi tra tela dipinta e testo letterario. Restituito in quest'ultimo, per produttiva opzione di metodo, incidendo la prosa d'invenzione con dichiarazioni di intenti, programmi, avvertenze, indicazioni di rotta al riguardo.
All'insegna di alcuni ordini di questioni - quasi sia possibile intravedere al riguardo le maglie di un sistema, organizzato intorno ad alcuni nuclei fondamentali - sembra lecito situare il sondaggio. Che in questa sede potrà assumere solo i connotati di uno schizzo: sbozzato a individuare tracce del complesso rapporto concernente l'asse classico/contemporaneo, in Savinio, tramite alcuni prelievi via via balenanti. Scanditi su un arco diacronico che investe l'intero percorso della sua produzione letteraria.
Il «demone» del nuovo classicismo
Schematicamente i termini della ricerca: Savinio - artista del Novecento, alle prese con un «folle problema di disintegrazione del linguaggio» da risolvere - di fronte a una categoria della storia, della cultura, affrontata e sperimentata in prospettiva estetica, assunta a avventura del pensiero, idea. Salgano dal repertorio semplicemente variazioni sul tema. Che il dichiarato, necessario, passaggio «di arte in arte»6 mostra e sigilla. E riconduce al permanente pensiero interrogante: «Come stare sempre nella stessa arte?».7
«Valori Plastici», 1918: Arte = Idee Moderne, recita il manifesto di Savinio. Dove l'equazione, l'equivalenza, può compiersi solo in presenza di una «coscienza allargata», nella consapevolezza di essere alle soglie di «un grande riprincipio». «Viviamo in un mondo fantasmico», proseguirà Savinio nel '19 elaborando i Principi di valutazione dell'arte contemporanea. Rintracciare «l'aspetto spettrale», «spirituale» delle cose e «riprodurre questa essenza nella sua sostanzialità è il fine massimo dell'arte». E sono anche le ragioni dell'opera di Savinio.
L'esigenza di un fondamento teorico - che nello stesso giro di anni l'Avanguardia storica promuove - si rende necessaria alla realizzazione effettiva di nuove forme. Dove l'Esprit nouveau, complice Apollinaire, conduce a una revisione della creatività - «de l'ordre et de l'aventure» - che verte sulla nascita - parola di Savinio - di un nuovo«classicismo»: ancora «Valori Plastici», 1919, Fini dell'arte.
Ma, dimentichiamo «gli schemi, i ricordi». «Classicismo» nuovo = nuova invenzione. «Scoprire non dico nuove forme e nuove immagini, ma quelle "altre" forme e "altre" immagini».8 Per edificare così altre figure del pensiero: o meglio, figurare l'altro.
L'Enciclopedia saviniana registra: «Classicismo» = «misteriosa facoltà che sa ridurre i valori alla potenza massima e al minimo volume»: è anzitutto «selezione e poi raggruppamento cosciente». Conclusione: «è una singolare facoltà posseduta da pochissimi [...] di separare il mortale dall'immortale e con gli elementi così selezionati e riquadrati edificare strane forme verticali che per certo loro ordine speciale [...] non cadono sotto la legge del tempo». Con ribadita insistenza: il classicismo «non è stato naturale. Da qui la sua superiorità [...] È verticale».9
La nozione di classicismo equivale così a «un problema di sfrondatura e potatura»: «ridurre il fenomeno [...] al suo scheletro, al suo segno»: «pulire, chiarificare», per rivelare - scrittura, pittura che sia - «lo spettro». Cioè «intuire il demone»t, la parte demoniaca di ogni aspetto: che equivale a «scoprire l'occhio in ogni cosa». È questa la «potenza classica» dell'artista: che «torna a tentare gli uomini, ad adescarli con la promessa di nuovi segni». È un «richiamo»: essere «demoniacamente classico», dichiarava nel 1920 Giorgio De Chirico.10 Il classicismo non è sparito: ma solo in forma di demone qua e là può apparire nella «grande confusione dell'arte contemporanea»: è così «il demone del classicismo»: Classicismo pittorico.
Grecia, «isola mentale»
Per «profondità e sottigliezza», sono allora alcuni aspetti del «classicismo greco» che fondano l'interpretazione. Qui classico coincide con una modalità di sguardo: «con occhio di classica astuzia»,11 che solo può raggiungere «un greco nato all'ombra del Partenone», ripetono concordi i fratelli De Chirico scrittori e pittori. «S'intende per Grecia un modo di pensare, di vedere, [...] una mente portatile e nei modelli più alti tascabile [...] - sentenzia Savinio in ouverture della Vita di Enrico Ibsen - la facoltà consentita a taluni di intelligere la vita nel modo più acuto e assieme più astuto, più lirico e assieme più frivolo». Per concludere: «i nostri dei sono leggeri».12
Leggerezza: il dono che Savinio riceve dalla sua Grecia e interpreta come lezione classica. Ancora una modalità di sguardo: attraversare la profondità, il dramma, e insieme «guardare le cose dall'alto»: «guardarle con amore leggero, amore "vaporizzato"». 13
«Leggerezza»: «stato aereo»,14 raggiunto dagli uomini di mente profonda, che Savinio, prima di Calvino, celebra come valore letterario da difendere e, inaugurando in nome della sua Grecia il privilegio, la qualità, la superiorità del «dilettantismo» - «dilettantismo non è operare in superficie, ma possedere la materia così da esserne padrone e dilettarsene» -,15 precisa in Scatola sonora che:
«La Grecia arriva a un gioco nel quale più nulla rimane della traversata tragedia e del dramma superato, se non una certa quale malinconica curiosità per le vicende umane. Nietzsche "formulava" questo stato in parole, lo definiva, e invocava "quei pensieri di tutti più profondi, che camminano su zampe di colomba". Ma la leggerezza è un premio che bisogna meritarsi».16
Questa Grecia «malinconica» e senza peso, che insegna a scrittori e pittori la «presa diretta»,17 un destino «indipendente da qualsiasi autorità temporale o spirituale»,18 fuori dei propri confini - dopo «nostro padre Orfeo», Eraclito, Eschilo, Euripide - «continua nella poesia di Leopardi, nella musica di Chopin»,19 nell'occhio di Dürer e Boecklin, nell'opera di Savinio stesso.
Nella sua fisicità - «che si lasciava cogliere intera dai miei occhi di bimbo» - grembo originario, primo stimolo, sta la genesi di un'esperienza biografica consapevolmente elevata da Savinio a idea e mito: che sempre «riappare nel fondo», e per naturale metamorfosi di visioni si riformula costantemente. Mentre ben saldo nella memoria è il punto di partenza: a più riprese rilevato: «L'infanzia io l'ho consumata in Grecia».20 «La mia vita da ragazzo l'ho vissuta in Atene».21 Revenant del pensiero con orgoglio ribadito: «ben fortunato mi reputo di essersi formata laggiù la mia ragione», dichiara Savinio nell'incipit di Casa "la Vita", che a quella «dolce città» compone un inno.22
Con prepotenza la Grecia del «suolo d'infanzia»- per inestinguibile fedeltà - prolunga i suoi effetti perturbanti e diviene «isola mentale».23 Allora la constatazione di una «grecità mentale» conduce Savinio a pensare lo spirito greco come «moderno»: cioè «libero». Dove moderno - con significato di qualità, non di tempo - è accezione che denota «ogni spirito non misticamente ispirato dai miti», «cosciente della propria autonomia mentale e che liberamente e spassionatamente contempla intorno a sé il mondo sdivinizzato».24 Non sfugga l'innesto, tra le righe, con funzione autoreferenziale, dell'avvertenza che «ogni scrittore di spirito moderno è profondamente autobiografico».
V. La «poetica curiosità dei miti». Nel testo letterario e sulla tela
Il dio greco - che Savinio dipinge e racconta - è allora «un dio ambulante, un dio viaggiatore, un dio girovago», è «passeggero».25 «Abbiamo figurato Dio disceso dal suo trono, gli dei discesi dai loro piedistalli a passeggio sulla terra, in rapporti confidenziali con gli uomini [...]», «templi a portata di mano», «portatili come giocattoli - commenterà Savinio -26 «non per arbitrio poetico [...], sì perché si rivelò a noi l'"altro" aspetto del Dio (l'aspetto celato), l'"altro" aspetto degli dei (l'aspetto velato)».27
L'operazione - questo lento approssimarsi al «mistero delle cose» - richiede la conquista di una «vista più lunga»,28 risveglia la coscienza di quel «terzo occhio» che «al dire degli Stoici portiamo al sommo del cervello». Complice il «mistero dello sguardo», il «metafisico non è se non il prolungamento del fisico», l'«approfondimento del fisico».29 Ma per rendere possibile questo «poetico, metafisico sguardo» - «l'occhio assorto nella contemplazione non di un oggetto ma di un pensiero» -30 particolari condizioni sono necessarie: prima fra tutte la condizione psichica nata dal mutato concetto dell'antico universo. Afferma Savinio: «Al nostro secolo daremo questo nome: Fine dei modelli».31
Perdono autorità principi, canoni, leggi. Letteratura Pittura Musica, l'arte moderna esplode come «fenomeno di stoltezza ragionata»:32 è l'effetto di una rivoluzione psichica storicamente determinata, spiega Savinio. Il sentimento dell'universo è passato «dal senso verticale al senso orizzontale». «Quando l'uomo scoprì che i modelli esistevano in quanto egli li aveva creati nella sua mente, essi si oscurarono, si spensero». Dei, miti, principi metafisici, i modelli perdono così la loro ideale «verticalità».33 Mutano sede: si avvicinano, «entrano a far parte dell'universo visibile».34 Ma il sentimento dell'«immortalità terrestre»- Savinio, Saggi di Filosofia delle Arti - non turba la certezza che «L'arte sorge dal fecondo grembo della memoria». «Grazie alla memoria, noi nel mirare le immagini, vediamo ciò che furono e ciò che saranno: è la poesia dello sguardo», ragiona Savinio. E, in questa prospettiva, «soltanto l'ieri e il domani danno valore al presente».35
Avviene che la memoria privata, autobiografica, si innesti - nel circuito saviniano nella memoria letteraria e pittorica: da cui deriva e che insieme adorna, dilata, continua e re-inventa.
Risorge in quest'ottica, «per modo intellettuale», la «poetica curiosità dei miti»,36 nell'orbita contemporanea, con l'avvertenza: «I miti non nascono tali, noi stessi li creiamo a poco a poco. Da notare che nella lingua di Omero, mito significa semplicemente parola».37 Savinio li visualizza in figure.
Succede così che in un «gioco tralucente»,38 passano, si incrociano, ritornano - tra spazio letterario e spazio iconografico - addirittura sbalzati a costituire titoli, divinità olimpiche umanizzate, di preferenza dallo «sguardo doppio».39 Da Hermaphrodito, il «divino totale dei totali», idolo ambiguo della ideale perfezione,40 a Nostro padre Orfeo, «l'uomo che possiede la miracolosa facoltà di trasformare la vita fisica in vita metafisica, la materia in spirito [...], il transitorio in eterno [...] e di rendere possibili le maggiori impossibilità»: perché - spiega Savinio - «Orfeo insomma era come noi: artista». Di più: «era l'artista».41 Anche a Mercurio, Ermete per i Greci, il quale stanco della sua inutile immortalità «vuole farsi uomo per poter morire»,42 Savinio pensò di dedicare un testo: Introduction à une vie de Mercure.43 Per rendere omaggio a quell'imprevedibile, inafferrabile e un po' equivoco messaggero dall'«occhio luminoso» con scopo «indicatore», assunto a guida dei viaggiatori, protettore del transito e delle trasformazioni,44 che Savinio racconta usasse visitare sovente al mattino la sua città d'infanzia: «Piombava dal cielo, scintillante come uno scarabeo nella sua corazza d'oro, posava un piede alato sulle case per riprendere lo slancio, e rimbalzava in cielo».45 Mentre tra i ricordi marini di gioventù - quel «mare greco che è la vita nella vita» - spicca la figura di Nettuno pescatore: quando nei pomeriggi d'estate, al calare del sole, «ingrommato di mota e di salsedine», il dio del mare «sbarcava sul molo, e andava a sedersi al caffè Lubié per godersi un po' di fresco».46
Se la personale mitologia saviniana accoglie - ancora tra gli altri - Giove, «seduto, con la barba turchina e gemmata di chiocciole, e i fulmini di gesso dorato raccolti in grembo»,47 e Apollo - «il più fatuo degli dei», il «frugatore di tenebre, l'apportatore di luce, il sole in persona» - si conquista pur senza ammirazione una voce d'Enciclopedia,48 lo sguardo dell'artista-scrittore vede anche più lontano. «Vede più profondo. Vede più antico». Vede altre divinità ridotte a forme pallidissime e alle quali non riesce a dare un nome. E dietro a queste scorge «altre forme ancora», luminosità intermittenti: «va in giro, guarda, ascolta, cerca».49
Se nelle divinità olimpiche Savinio ama ritrovare quello «sguardo doppio» - «pupilla enorme e deviata» che sogguarda il mondo al di là del presente delle cose,50 egli costantemente rivede un perseguitante occhio aereo che «naviga il cielo». Occhio che galleggia nei cieli dei quadri e viaggia nella pagina scritta. Perturbante fantasma meridiano, replicato da favole antiche e sempre presente: «pupilla enorme, nera, priva di riflesso e fissa in mezzo al bianco della sclerotica». È l'Occhio di Dio. Custodito dentro un triangolo nelle chiese greche visitate nelle passeggiate infantili, quell' «occhio enorme», dagli «effetti indelebili», si farà metafora ossessiva e mito personale permanente: ancora immagine del testo e insieme icona dipinta.51
Fatto sta che la matrice classica, greca - cifra iniziale e insieme revenant della memoria - irrora, invade, l'imagerie letteraria e pittorica, con il suo serbatoio di segni.
Savinio cita, altera, stravolge, l'immagine classica da cui parte: rivede al «microscopio-telescopio», sottotitolo non a caso dell'opera prima, le proporzioni. Riformula, trasforma, deforma. Manipola l'immagine, la sottopone a una combinatoria permanente, una metamorfosi costante: la rimodula attualizzata e approfondita all'impronta della glorificata leggerezza. Entro una fitta rete di corrispondenze - richiami riprese rilanci - tra testo letterario e tela dipinta, il mito classico transita concepito a manifestarsi in forma di valore d'urto.
Fondante tensione che governa la quête: «la potenza del verbo e lo scontro delle parole», come delle immagini.52 Strategia dell'ossimoro, allora, come marca ideativa dominante. Spiega Savinio: «si tratta di creare un'emozione associando due cose che per loro natura sono inassociabili».53 E ancora: «la civiltà ha uno scopo principale [...]: mira a un moderno ideale, che confonde in sé i caratteri di Ermete e di Afrodite, ossia al divino Ermafrodito».54 Mito che entra così con prepotenza nel progetto operativo: è figura programmatica, sintomatica, della soluzione di pensiero e di stile di Savinio. Di una operazione in cui ogni scarto irrompe a fissarsi come cosciente revisione della norma trasgredita: e contiene - suggerirà Savinio proprio tra le pieghe della tessitura narrativa - «la verità, la ragione, il classicismo di domani».55
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