lunedì 1 ottobre 2007

PARLIAMO D'ARTE di Giuseppe De Rosa

Prima che la scienza fosse d'aiuto agli esperti ed ai periti del Tribunale, la scoperta di un falso è sempre avvenuta attraverso l'attenta osservazione di un dipinto che si basa sull'esame iconografico, compositivo e del pennellaggio. Pur trattandosi di una perizia soggettiva, vincolata alla preparazione culturale e all'esperienza di chi la esegue, da essa non si può prescindere quando si deve stabilire l'attribuzione o l'autenticità di un'opera d'arte. Molti non sanno quanto sia, ancora oggi, fondamentale soffermarsi sul verso di un quadro per esaminare la trama della tela, le scritte, il tipo e la disposizione dei chiodi che la fissano sul telaio, verificando se c'è corrispondenza con la grafìa e i materiali adoperati da quel determinato pittore. 
L'osservazione della firma è importantissima, poiché se è vero che sarebbe all'apparenza il dettaglio più facile da imitare, è altrettanto vero che un perito conosce la particolare impostazione grafologica di una firma famosa. Tuttavia l'indagine stilistica, i confronti critico-comparativi dell'esperto non sempre sono sufficienti a rimuovere dubbi e perplessità. Per i casi difficili, come i falsi Vermeer di Van Meegeren, è indispensabile ricorrere a sofisticate analisi di laboratorio in grado di confermare o smentire il primo giudizio visuale dell'esperto. Indagini scientifiche necessarie soprattutto per le opere antiche.
La dendrocronologia accerta l'età secolare di sculture lignee e dipinti su tavola, meglio se di quercia, esaminando la larghezza degli anelli annuali. Con questo metodo e dopo meticolose indagini il professor Joseph Bruij dell'università di Amsterdam riuscì a formulare, negli anni '80, gravi sospetti sull'autenticità di ben 44 dipinti dei 93 attribuiti al giovane Rembrandt ed eseguiti fra il 1625 e il 1631 nella bottega di Leyda. Tra questi il famoso 'Autoritratto di Rembrandt che ride' conservato al Rijkmuseum di Amsterdam e alcuni studiosi sono convinti che i primi falsari del grande pittore olandese fossero stati proprio i suoi discepoli migliori, i quali spacciavano per autentici quadri copiati abilmente, nello stile e nella tecnica coloristica del loro del Maestro, che a soli 22 anni era già attorniato da numerosi allievi.
L'analisi della termoluminescenza calcola l'età di un'opera antica, determinando l'autenticità di reperti archeologici, manufatti di ceramica e sculture di bronzo attraverso l'intensità luminosa che si sviluppa dal calore emanato dagli oggetti. Fu l'analisi principale effettuata sui Bronzi di Riace, dopo essere stati miracolosamente ripescati a largo delle coste calabresi.
Il metodo del piombo 210 rivela l'origine chimica dei colori, smascherando la falsificazione di un presunto dipinto antico quando si scoprono tracce di piombo o di sue leghe sintetiche comunemente usate nei colori moderni. La radiografia ai raggi X e la riflettografia evidenziano i 'pentimenti', ovvero le eventuali modifiche apportate dall'artista in corso d'opera, le quali sono molto visibili con foto agli infrarossi, soprattutto se gli strati di colore furono dall'autore applicati leggermente l'uno sull'altro. E' ovvio che l'assenza di 'pentimenti' non è certo una prova dell'avvenuta falsificazione, ma può essere un indizio sfavorevole nel periziare un quadro già sospetto. Le radiografie rivelano ad esempio che Van Eyck, inventore della pittura ad olio e della perfetta prospettiva, mentre dipingeva nel 1434 il suo famoso ritratto dei coniugi Arnolfini vi apportò numerose modifiche grazie alla lentezza con cui la nuova tecnica ad olio si asciugava.
Quando si effettua la perizia di un quadro e si indaga sulla scoperta di un falso, ci sono casi facili di grossolana mistificazione, ma - purtroppo - anche casi molto complessi, soprattutto per gli artisti contemporanei, non solo perché la falsificazione può presentarsi quasi perfetta sul piano estetico, ma l'indagine spesso non può avvalersi di quegli strumenti scientifici utili solo per un'opera antica. Nelle perizie incerte o dubbiose, i problemi potrebbero risolversi se l'autore fosse vivente, essendo il miglior giudice di se stesso, ma se è scomparso - come accade di frequente - ci si assume una notevole responsabilità morale, giuridica e finanziaria dovendo decidere dell'autenticità o meno di un'opera che può valere centinaia di migliaia di euro o nulla. In tali circostanze è d'obbligo avvalersi anche del parere di uno specialista di quel determinato pittore. Un perito serio e preparato deve conoscere i segreti, le tecniche di cui l'artista preso in esame si è avvalso, tecniche che sono anche cambiate nel corso degli anni attraverso le evoluzioni o involuzioni stilistiche, che hanno caratterizzato i diversi periodi della sua produzione. L'esperto dell'Impressionismo sa bene come Renoir, ad esempio, applicasse i colori separatamente l'uno accanto all'altro, tanto che guardando un suo quadro da vicino si percepisce inizialmente un mosaico di pennellate frammentarie le quali, solo se osservate a distanza, formano invece uno stupendo insieme di luminosa spontaneità. Le innovazioni tecniche sono state possibili anche grazie all'evolversi dei materiali adoperati per cui - nella scoperta di un falso - l'analisi dei pigmenti in laboratorio può essere determinante quando se ne accerta l'origine organica (colori di terra) o inorganica (colori chimici). Claude Monet non usava mai i colori puri ma li mescolava con il bianco di piombo in diverse proporzioni per creare una luminosità simile a quella del pastello, prediligendo fondi chiari (grigi, crema, beige) a base sottile volendo rendere visibile la trama della tela. Nella sua tavolozza i colori fondamentali erano il blu oltremare e di cobalto, il giallo di cadmio e, dopo il 1880, il viola cobalto; quando Monet dipingeva il fogliame dava pennellate dure e grossolane, per i riflessi sull'acqua lunghe e delicate pennellate orizzontali.
Van Gogh, sempre a corto di quattrini, adoperava solitamente la tela povera di un sacco vuoto di patate, la quale tuttavia gli permetteva di definire meglio le forme e i contorni della sua pittura con colori crudi e contrastanti: le sue erano pennellate ampie ed espressive, evidenziate soprattutto dal vermiglione, dal blu oltremare e di cobalto, dai verdi smeraldo e veronese. Oggi ciascuna di quelle ruvide tele di sacco vale mediamente 20 milioni di euro, mentre - in un'asta internazionale - i capolavori toccherebbero la soglia dei 50 milioni. 
Paul Gauguin preferiva spesso una tela a spina di pesce la cui trama è ben visibile con un semplice ingrandimento fotografico. Edgar Degas, per i suoi pastelli straordinari, si serviva di una carta ruvida quasi quadrata e di color crema sulla quale sovrapponeva i colori a reticolo in modo da lasciar scorgere le tinte sottostanti; talvolta spruzzava un leggero velo d'acqua sulla superficie che poi lavorava con un pennello rigido o con le dita. Matisse preferiva una tela a trama molto fine, non usata in Francia da nessun altro. Un notevole contributo tecnico, all'inizio del Novecento, fu dato dal cubismo di Braque e Picasso con l'invenzione del collage, ovvero di elementi estranei alla superficie del dipinto come pezzi di giornale e paglia intrecciata per sedie. Il nostro Giorgio De Chirico inventò la pittura metafisica: uno spazio esistenziale in cui la realtà si caricava di inquietanti significati simbolici, una dimensione misteriosa sviluppata successivamente da Salvador Dalì nei suoi scenari onirici e surreali.
Non è, quindi, possibile affrontare il problema della falsificazione senza conoscere le tecniche di quegli artisti di cui si deve appurare l'autenticità di un'opera. I falsari di professione sono perfettamente informati sul modo di lavorare del pittore preso di mira, solitamente imitano chi è molto richiesto dal mercato e più facilmente vendibile ai soliti collezionisti furbi alla perenne ricerca del 'grande affare'. Si evita di copiare opere famose e facilmente smascherabili, preferendo combinare, in un soggetto nuovo, i motivi pittorici più ricorrenti dell'artista falsificato. Di falsi Picasso ne circolavano già negli anni Venti ed insidioso è sempre stato il mercato di Modigliani, dei disegni in particolare. Fra i casi difficili per gli esperti, va ricordato Maurice Utrillo dell'ultimo periodo quando l'artista - sfruttato da parenti avidi e ridotto in precarie condizioni fisiche - dipingeva opere assai mediocri difficilmente distinguibili dalle contraffazioni.
Tra i più abili falsari del dopoguerra va ricordato Hèlmir de Hory che si occupò di tutto ciò che fosse bello, richiesto e costoso: Renoir, Cezanne, Matisse, Modigliani, Picasso, Chagall. Cominciò nel 1946 e fu smascherato solo nel 1967, dopo aver messo in circolazione almeno un migliaio di presunti capolavori. Al processo, incredibilmente, gli esperti giudicarono i suoi falsi disegni di Matisse più belli degli autentici Matisse dell'ultimo periodo.



Professore Giuseppe De Rosa
Perito d'arte Moderna e Contemporanea del Tribunale di Pordenone 


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