Osservazioni sulla pittura ‘vaga’ e sulla pittura ’sprezzante’
RICERCHE A CURA DI D. PICCHIOTTI
Quando Don Abbondio, ne ‘I promessi sposi’, dopo ch’era sfollato per l’arrivo dei lanzichenecchi torna alla sua dimora, con gran dispetto la trova tutta impiastricciata dai disegni lasciati dalle orde di soldati tedeschi. I quali, essendo calvinisti o protestanti che dir si voglia (’anticristi’ tout-court li definisce Don Abbondio), sui muri, servendosi di braci, avevano cercato di rappresentare dei preti in pose sconcie e grottesche, sforzandosi di rappresentarli i più brutti e mostruosi che fosse possibile; cosa che, commenta Manzoni, per artisti di tal calibro non doveva riuscire certo difficile. Il che lascia supporre che Manzoni ritenesse ci fosse un intimo legame tra la bellezza dei temi rappresentati da un artista e le qualità di quest’ultimo. Chissà se le cose stanno davvero così…
Leggendo gli antichi manuali di pittura o le antiche biografie dei pittori, noto sempre divertito come l’ormai desueto termine ‘vaghezza’ e l’aggettivo ‘vago’ la faccciano da padroni; non diversamente che in un sonetto di Petrarca o in un madrigale marinista. I fiori hanno sempre colori ‘vaghissimi’ e tali sono anche gli incarnati delle fanciulle o i sorrisi dei putti. Risulta evidente da questi testi che il pittore che ‘vagamente’, e in pochi tocchi, sapeva ritrarre ciò che di più bello (vago) la natura mette a disposizione, veniva ritenuto l’eccellente. Il più ‘vago’ di tutti i pittori fu universalmente stabilito essere Raffaello. Vaghissimo è anche il Correggio coi suoi angioletti.
Ai nostri occhi smaliziati di contemporanei pare molto ingenuo identificare il talento con la capacità di dipingere ‘vaghe cose’ , ché a nessuna sorta di ‘vaghezza’ si conformano i temi scelti da Munch, da Dix o da Nolde (o per stare a noi più vicini, da Basquiat o dal Cobra); né l’esecuzione di tali temi è soggetta al discrimine della ‘vaghezza’, a meno di non considerare un espressionista tedesco alla stregua d’un pasticcione o gli autori della transavanguardia alla stregua di confusionari. Ma quel che dico è ovvio: ogni intellettuale che si rispetti è ben conscio del fatto che quando i moderni pittori non appaiano ‘vaghi’ è perché hanno i loro validi motivi, ovvero che scientemente scelgono di rappresentare l’orrore o il grottesco adottando la maniera meno ‘vaga’ possibile; il quale si ritiene sia il solo modo per rappresentare il particolare stato di tormento e alienazione di chi è smarrito nella Waste Land della contemporaneità…Insomma, non si tratta di ‘artisti degenerati’ come voleva Hitler, ma di coscienze consapevoli (o, perlomeno, così si spera) d’uno specifico dramma umano.
Resta però il dubbio che ciò che dicevano gli antichi, allorquando trovavano un discrimine al talento nella capacità di dipinger ‘vagamente’, abbia un qualche fondamento, almeno per quanto concerne alcuni aspetti tecnici dell’esecuzione pittorica…..
Per comprendere la questione occorre però soffermarsi su un altro concetto che anticamente veniva riferito alle più mirabili esecuzioni pittoriche: la ’sprezzatura’. Questo termine fu largamente in voga nel Seicento e definiva un particolare modo di condurre l’esecuzione pittorica basato su una gestualità sciolta e vigorosa, su una apparente trascuratezza per il particolare e un aristocratico ’sprezzo’ per ogni forma di meticolosità. Si tratta di quel modo di dipingere che in lontananza fa apparire quel che da vicino si rivela uno sgorbio di biacca come il brillìo su un calice di vetro. Maestri in ciò furono i Veneziani. Il pittore più sprezzante in assoluto fu Velàzquez. Il quale fu anche il perfetto cortigiano, ché va ricordato, en passant, come il termine ’sprezzatura’ fosse mutuato dal lessico della cultura di corte: il Castiglione lo usa per definire l’atteggiamento disinvolto, noncurante e sprezzante che, quale habitus, si addice al perfetto gentiluomo nel trattare le cose del mondo. Il pittore ’sprezzante’ non si cura di inezie o particolari, non ricerca sfumati e contorni precisi, e perciò non palesa nella sua opera il quotidiano e banausico sforzo necessario alla pratica dell’arte. Inoltre, aristocraticamente, mostra di non aver soggezione per l’arte stessa. Le sue opere paiono, osservate da vicino, quasi un prodotto del caso o di gesti inconsulti.
Diversamente da quanto avviene se si assume il discrimine della ‘vaghezza’, per quanto riguarda la ’sprezzatura’ si potrebbe concludere che la contemporaneità ha prodotto pittori sprezzantissimi e aristocraticissimi e che un’opera di Pollock o Schifano, sotto un tale punto di vista, siano da considerarsi i vertici dell’arte.
Qualora si immagini una sintesi tra ‘vaghezza’ e ’sprezzatura’, cosa che si rinviene in alcuni capolavori antichi come quelli di Velàzquez, forse si comprendono meglio anche alcuni antichi giudizi; giacché, e mi riferisco alla mera esecuzione pittorica, per l’artista che dipinga con una buona dose di ’sprezzatura’, il dipingere ‘cose vaghe’ è ben più difficile che il dipingere cose brutte e orrorifiche. Me ne sono accorto realizzando copie da antichi capolavori. Ad esempio, la serie degli alienati mentali dipinti da Gericault, è caratterizzata da una pittura molto sciolta e disinvolta, eseguita sul fresco o semi-fresco, ove le forme sono riassunte da vigorose e larghe pennellate; farne una copia passabile non è però cosa difficile, ché un tocco un po’ maldestro, quando cada su un intrico di rughe o sulla palpebra cadente d’un vecchio, o un timbro non perfettamente calibrato per ralizzare un incarnato sordo e oscuro, passano inosservati. Al contrario, quando ho eseguito alcune copie da particolari del notissimo ‘Las meninas’ di Velàzquez, ho constatato, e specificamente sulle due ‘vaghissime’ fanciulle, ove abbondano rapidi frottages (sfregazzi) e mezzicorpi dati in velocità, che il minimo errore risalta irreparabilmente.
Un esempio impareggiabile di sintesi tra ‘vaghezza’ e ’sprezzatura’ è rappresentato dal ritratto del principe Baldassarre Carlo a cavallo ( opera che è al Prado, n.95 del regesto delle opere di Velàzquez): il volto del fanciullo è realizzato con una trama di grumi biaccosi, molto secchi, dati su una base terrosa. Sotto la narice sinistra e sul naso, la materia pittorica si rapprende in virgole informi. Gli occhi sono realizzati con poco: qualche sfregamento di terra bruna per il profilo delle palpebre, mentre per iride e pupille vengono tenute per definitive le prime liquide e velocissime stesure. Sprezzantissimo è il frottage con cui è realizzato il profilo della guancia destra, che rende mirabilmente il senso d’atmosfera. Tanto ’sprezzo’ riesce a dar vita a un viso di fanciullo delicato, proporzionato e dall’intensissima espressione. Dubito perfino che, nella realtà, fosse tanto ‘vago’.
Concludo col dire che i pittori contemporanei sono spesso molto ma molto sprezzanti, ma che mi piacerebbe vederne qualcuno che esercitasse simile sprezzo su qualche tema ‘vago’; almeno, dico, per quanto riguarda qualche particolare delle sue opere. La cosa mi è stata fatta osservare da un amico artista un giorno che, insieme, consideravamo le opere di Buell. Premetto che questo artista a me non dispiace affatto; è trattato dalla galleria ‘L’Ariete’ di Bologna, la cui titolare Patrizia Raimondi è, per inciso, una donna che ho trovato esperta della storia dell’arte, garbata e intelligentemente anticonformista. Mentre osservavamo le opere di Buell ed io ne ammiravo la gestualità, l’amico di cui parlavo mi fece notare come quel tipo di gestualità non richieda però grandi doti di controllo e coordinazione; infatti, anche uno scarto di un buon centimetro nel violento gesto pittorico che definisce una testa difforme e mostruosa come quelle che dipinge Buell non si noterebbe; nè guasterebbe se un occhio dovesse venir fuori strabico, o una bocca storta, ché forse l’opera, per il fine che si pone, potrebbe addirittura guadagnarne. Va da sé che questo discorso potrebbe essere esteso a moltissime produzioni pittoriche contemporanee.
Con questo non voglio dire, per tornare al principio del post, che molti artisti contemporanei siano da assimilarsi ai lanzichenecchi di Manzoni, però…qualche riflessione, sul merito delle esecuzioni pittoriche, non mi pare fuori luogo.
Per amor di giustizia chiudo (e stavolta veramente) dicendo che un artista contemporaneo che riesce, a volte, a essere insieme vago e sprezzante in verità lo conosco: non è così vago (solo in certi particolari delle sue modelle) né così sprezzante come certi antichi pittori, però vi si avvicina molto: si tratta di Paul Beel, da non confondere con Buell, e lo tratta (o lo trattava, non mi sono aggiornato) la galleria Bonelli di Mantova.
Ben più ampio discorso meriterebbero i suoi temi e il suo universo poetico.
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Luca Ottonelli
1 commento:
Ciao Danilo,
sono contento che il mio articolo ti sia piaciuto; sarebbe però corretto, quando utilizzi scritti trovati in rete (come in questo caso), citare l'autore (questo l'hai fatto), la fonte (es. "dal blog Notti Attiche") e, soprattutto, fornire il link. O, almeno, questa è consuetudine tra chi utilizza il web.
Se vorrai provvedere in tal senso (è cosa di pochi minuti) il tuo sito ne guadagnerà in termini di precisione e credibilità.
Un saluto e buon lavoro
Luca Ottonelli
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