Transcritture di Alberto Savinio: il dicibile e il visibile
DI PAOLO FABBRI
La gaffe semiotica
«La nostra curiosità converge sulle frontiere»
(N. Goodman)
Nella scomparsa di Alberto Savinio Giorgio Manganelli vedeva un paradosso: «la
morte di un immortale», la «scomparsa di una delle forme mortali di Mercurio».
Segnalava quindi l’impossibilità di parlare di quel «volatile e sarcastico umore senza
fare gaffes» e invitava ciascuno a scegliere la propria.
Abbiamo scelto il rischio della gaffe semiotica che, per sua vocazione, è un metodo
adeguato ai caratteri più singolari di Savinio: il plurilinguismo e la multisegnicità.
Diversità di sostanze espressive e di contenuto - lingue naturali, generi letterari,
teatro, pittura, scenografia, ecc... - che Savinio indicava come le manifestazioni di un
universo di senso coerente. «Chi ha visto le mie pitture, chi ha letto i miei libri, chi ha
udito la mia musica, sa che mio unico compito è dare parole, dare forma e colore, e
una volta era pure dare suoni a un mio mondo poetico» (O: 473). La coesione di un
discorso che si svolge «dalla musica alla poesia, dalla poesia alla pittura e dalla
pittura al pensiero “puro”» (CLV: 244) è attestata dai continui rimandi ai propri
quadri, che si trovano nei suoi libri e nella rappresentazione figurativa dell’atto della
scrittura.
In Savinio, direbbe Deleuze, «il n’y a que des sémiotiques mixtes». Opere come
Casa “La vita”, ad esempio, sono costruite sincreticamente con sedici racconti, metà
dei quali in terza persona e metà in prima. Ognuno di essi è preceduto da un
autoritratto dell’autore, da una prefazione e una dedica ed arricchito da una postilla e
una variante. Ma soprattutto lo accompagnano otto disegni dell’autore e nove Occhi:
brevi componimenti poetici in rima o in prosa che si chiudono alla fine del libro. I
trenta racconti dell’Achille innamorato sono presentati, poi, come esercizi in
successione: richiami o riepiloghi allusivi alle variazioni musicali del gradus ad
parnassum.
Le “trascritture” di Savinio, nella loro multimedialità sincretica, hanno un esplicito
intento. «Parlare al di là degli occhi che ci guardano» (NE: 134) e far sì che «i suoni
divengano visibili e che l’orecchio “veda”». (Id: 168). Il montaggio delle attrazioni
semiotiche mantiene una tensione tra il visibile e il dire che è fatta di assimilazioni e
dissimilazioni. Una traduzione che non dice diversamente la stessa cosa: tra i segni
c’è invece una mutua presa, l’ “intercattura” profondamente pensata dai surrealisti. Da
Artaud in particolare, per cui «in presenza della pittura si coglie meglio la linea e il
colore di una frase come se il quadro comunicasse qualcosa alle frasi».
Deleuze, a proposito di Bacon, e Derrida, sulla glossolalia di Artaud, hanno
esplorato separatamente quel mondo comune ai pittori e agli scrittori in cui «la pittura
infiamma la scrittura» (Deleuze) o viceversa «guardando certi quadri si ha come
l’impressione che è la sillaba che lo ha generato e che “ra” s’espande nel tratto o nel
colore» (Derrida). E sempre sulle fonazioni poetico-teatrali di Artaud, Derrida scrive:
«Quando parla dei suoi disegni e dei suoi dipinti li richiama all’ordine del respiro. È
un’esperienza del corpo e della voce che oltrepassa l’ordine della lingua e della
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grammatica», ma per cercare un’altra lingua scritta o verbale: ideofono o
ideogramma1.
La semiotica vorrebbe articolare il suo linguaggio teorico con descrizioni che
illustrano sistemi di pensiero molto diversi tra loro. E può farlo per l’oggetto della sua
vocazione: lo studio della significazione espressa in diverse sostanze mediali. Con
ovvi corollari: (1) in principio sta l’atto traduttivo tra sistemi segnici differenti:
transduzione e tra tipi diversi di discorsi all’interno dello stesso sistema di segni; (2)
tra(s)durre è sempre tradire, cioè mutare il senso - arricchirlo/impoverirlo; (3)
l'intraducibile presente è un’abbondante riserva di tra(s)duzioni prossime e venture.
Nell’interstizio dei linguaggi – proferimento e iconizzazione – c’è dia-logo, cioè
uno spazio di separazione e passaggio, di contratto e conflitto da cui emerge senso.
Ma perché questa emergenza avvenga vanno “costruiti” il dispositivo del senso - le
condizioni semantiche e sintattiche - e il diagramma immanente alle forze in gioco.
Su quale piano o livello operare raffronti e diverbi tra i due linguaggi, quello pittorico
e quello verbale? L’opposizione tra analogico e digitale non è pertinente: ci sono testi
visivi che è possibile segmentare in unità isolabili e discontinue, come il disegno
grafico, mentre nella lingua naturale esiste un piano di modulazione che scandisce un
complesso ritmato ma insecabile: la prosodia.
Dipende quindi dal diverso modo, corpuscolare o ondulatorio, di istanziare i
significanti, di articolare le sostanze grafiche o sonore. Esistono comunque concetti
intermediari, come quello di “figurativo”, e dispositivi comuni, come quello di
“enunciazione”, che sono all’opera nei due linguaggi e consentono di disporre un
piano retorico comune2. Il progetto, però, deve seguire un’indicazione-istruzione
preliminare: cominciare dall’articolazione dei significati nell’universo semantico
coerente di Savinio e dalla varietà delle sue posizioni di enunciazione. A partire dalle
forme dei contenuti e dalle tensioni enunciative si possono poi esplorare le
equivalenze e le equipollenze, i valori e le forze dalle quali forse affiorerà l’
”incognita straniera” (Deleuze), irriducibile al semplice montaggio segnico. Per
Savinio l’incognita è il «dipingere forte», per portare «con ogni mezzo la "cosa”
dipinta al suo massimo d'intensità»
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