Ferdinand Hodler (1853-1918)
di Eugen Fink
Evochiamo una data immagine esemplare, per esempio “Il taglialegna” di Hodler, quindi un quadro che è appeso qui al muro. Se ci volgiamo ad esso e lo consideriamo, vediamo “un uomo che taglia un albero e che sta in mezzo a un bosco” e così via. Per così dire entriamo con lo sguardo nel mondo di un’immagine. Questo mondo dell’immagine ha il proprio spazio e il proprio tempo. Innanzitutto abbiamo sul quadro stesso la sfera più prossima del mondo dell’immagine, che poi si perde nell’orizzonte aperto della sua spazialità. Gli oggetti del mondo dell’immagine non sono affatto oggetti nello spazio effettivo e non perdurano neanche nel tempo reale, ma sono piuttosto soltanto nello spazio e nel tempo del mondo dell’immagine. In linea di principio nel mondo dell’immagine il tempo è sempre il presente, sia che si tratti di un’immagine statica o di un’immagine dinamica. A questo presente appartiene anche un futuro ed un passato del mondo dell’immagine. “Il taglialegna sta brandendo l’accetta, tra poco questa colpirà il tronco”. Il passato si mostra per esempio nei caratteri storici degli oggetti presenti nel mondo dell’immagine: “nel bosco si trovano alberi vecchi e giovani”. Non sta qui tutto esattamente come nel caso delle altre presentificazioni? Evidentemente no. L’intuitività del mondo dell’immagine è essenzialmente un’intuitività presentativa-impressionale, la coscienza dell’immagine è una coscienza che rende presente, ed è tale in quanto è una coscienza in tutto e per tutto originariamente fondante. Il mondo dell’immagine è determinato in maniera assolutamente univoca, per quanto si estenda la sua intuitività; inoltre non ha in sé neanche altri caratteri di distanza temporale che lo caratterizzino come passato, futuro o possibile, piuttosto esso è presente, accessibile in se stesso. Ma il mondo dell’immagine non è forse un che di “irreale”? “Irrealtà” significa qui evidentemente qualcosa di fondamentalmente altro rispetto al caso delle presentificazioni. Se là si trattava sempre dell’irrealtà di un’immaginazione, quindi di un’irrealtà che si trova nell’essenza della temporalità e non degli oggetti tematici, qui si tratta unicamente di un’“irrealtà” che si trova nel contenuto presentativo ed originariamente fondato di un determinato modo di esperienza vissuta. L’irrealtà di un mondo di immagini può essere essenzialmente soltanto un momento astratto di una determinata realtà, ovvero, in altri termini: l’irrealtà di un mondo di immagini è soltanto finché essa è ricompresa all’interno della realtà complessiva dell’immagine, che è l’unità di mondo dell’immagine e supporto, unità che costituisce un medium. E’ essenziale il fatto che nella coscienza dell’immagine non abbiamo un dato percettivo nel contenuto noematico, per esempio il “supporto” reale ed attraverso di esso il mondo dell’immagine indicato o aggiunto con la fantasia. L’immagine come un intero unitario ed indivisibile è piuttosto un correlato percettivo. La percezione dell’immagine è un determinato tipo di percezione che ha il suo peculiare e genuino stile di riempimento e verifica, come questo è appunto delineato dall’essenza dell’oggetto. La percezione dell’immagine è un atto mediale, vale a dire un tipo di esperienza che costituisce in se stessa il luogo originario di una “irrealtà”. L’“irrealtà” del mondo dell’immagine è un momento strutturale nel correlato mediale dell’atto, in altri termini l’irrealtà è una “parvenza” effettiva. (“Parvenza” non è qui da intendersi come illusione, ma piuttosto nello stesso senso in cui si parla per esempio dell’arte come di un “mondo della parvenza”). Come poi sia strutturata costitutivamente l’intenzionalità mediale della coscienza d’immagine, vale a dire quell’intenzionalità che cela un’“irrealtà” in una realtà effettiva e in questa la coglie, questo è un problema che non affronteremo.
Il mondo dell’immagine è, come abbiamo visto, ciò che giunge per primo all’esplicitazione quando si descrive un’immagine. E’ quindi ciò che fa propriamente di un’immagine un’immagine, ciò che sta al centro dell’interesse tematico. Per lo più il supporto non ci interessa, anche se ne abbiamo costantemente una conoscenza implicita. Come ci è dato il supporto? Innanzitutto è necessaria una precisazione. Per supporto non intendiamo affatto l’intera cosa effettiva: tela, cornice ecc., piuttosto soltanto quel reale puro e semplice, in quanto esso coincide con il mondo dell’immagine. Per esempio quindi soltanto la superficie della tela, le pennellate e i colori effettivi ecc. Solo in quanto ricoperto, un oggetto effettivo si trova nella funzione del supporto. La “copertura” del supporto è la maniera genuina della sua datità. Copertura non significa però invisibilità. Non si tratta qui di una modificazione attenzionale, ma piuttosto di una struttura essenziale della coscienza dell’immagine. Finché la coscienza dell’immagine funge in maniera unitaria, il supporto è in una funzione anonima. Questa anonimità ha il carattere specifico di una datità correlata del tutto ovvia. Per esempio un’immagine riflessa nell’acqua “copre” l’acqua in una singolare sovrapposizione. Questa sovrapposizione coprente è però tale che attraverso di essa può comparire la realtà del supporto: essa ha una certa qual “trasparenza”. Questa trasparenza del mondo dell’immagine non è un momento interno al mondo dell’immagine, essa non ha in sé né una capacità di sollecitazione, né un effetto di reazione. D’altro canto la “copertura” non appartiene neanche al mondo reale, bensì costituisce appunto il “framezzo” tra il mondo dell’immagine e il mondo del supporto, è il modo della localizzazione del mondo dell’immagine nel mondo reale, nel supporto. In questa copertura, che semplicemente descriviamo, senza chiarirla costitutivamente, il contenuto di determinazione del mondo dell’immagine si concatena con il contenuto di determinazione del supporto: per esempio “lo stesso” colore rosso è una volta la pennellata rossa di una certa porzione della tela, ma è anche il colore rosso del cielo vespertino del mondo dell’immagine. Fino a che punto poi si estenda questa concatenazione e come le determinazioni del mondo dell’immagine si facciano volta a volta sostenere dalle reali determinazioni del supporto, pur senza coincidere con esse, questo è un problema che fa già parte di un’indagine di tipo costitutivo. Per il nostro intento dobbiamo sottolineare un aspetto essenziale. Le determinazioni del mondo dell’immagine dipendono in maniera essenziale dalle reali determinazioni del supporto. Se si considerano le presentificazioni nel senso di una coscienza d’immagine, allora si dovrà innanzitutto fornire la prova del fatto che non abbiamo soltanto un supporto impressionale, ma anche che nei dati impressionali iletici si presentano in immagine dei dati presentificati.
Nell’inscindibilità fenomenale tra il supporto costantemente “ignorato” e la concatenazione, che in quella si radica, tra il contenuto di determinazione del lato effettivo e di quello irreale del fenomeno dell’immagine viene ad espressione ciò che vogliamo chiamare l’essere-finestra di un’immagine. Il mondo dell’immagine con il suo spazio, con i suoi oggetti nei loro peculiari rapporti di grandezza, di certo coincide con lo spazio del supporto. Ma non si può dire che esso sarebbe appunto così esteso. Piuttosto l’intera immagine è, per così dire, soltanto una piccola “finestra” che si apre nel mondo dell’immagine. Il mondo dell’immagine è tanto poco in quella superficie, quanto poco il paesaggio che si vede al di fuori è nella finestra effettiva. Naturalmente il discorso della finestra è soltanto una metafora. Il paesaggio al di fuori e lo spazio della stanza stanno nell’unità di un stesso mondo, mentre tra il mondo dell’immagine e la spazialità del supporto non esiste alcuna unità. Ma ciò che vogliamo mettere in risalto con il nostro discorso sull’essere-finestra dell’immagine è quanto segue: ogni mondo di immagini si apre essenzialmente all’interno del mondo effettivo. Il luogo di questo aprirsi è l’immagine. Senza la finestra, che media l’aprirsi, il mondo dell’immagine non potrebbe affatto essere, un mondo di immagini senza finestre è in sé assurdo. In questa struttura a finestra del fenomeno dell’immagine si trova fondata la singolare “scissione dell’io” di colui che osserva l’immagine. Una volta egli è un soggetto del mondo reale, al quale appartiene l’immagine come un tutto, non solo per esempio in quanto supporto, bensì anche l’immagine come correlato di un atto mediale. Ma il mondo dell’immagine ha, attraverso la “finestra”, un orientamento che si dirige verso l’osservatore, è prospettivamente indirizzato verso di lui. In primo piano nel mondo dell’immagine, per così dire nel luogo più prossimo alla finestra, si mostra la sfera più prossima del mondo dell’immagine, che poi trapassa in distanze sempre più lontane. Colui che osserva l’immagine, in quanto è il centro dell’orientamento del mondo dell’immagine, funge al tempo stesso anche da soggetto di questo mondo di immagini. Non possiamo dedicarci ad un’analisi più ravvicinata di questa scissione dell’io, giacché essa ci porterebbe immediatamente ad affrontare le questioni costitutive della coscienza d’immagine. Con il concetto “della finestra” come struttura essenziale del fenomeno dell’immagine abbiamo guadagnato il concetto fondamentale che deve essere posto a fondamento di una approfondita analisi dell’immagine di tipo intenzionale-costitutivo. La “finestra” con il suo lato reale e con quello irreale è il vero e proprio correlato noematico di quell’atto mediale che è la “coscienza dell’immagine”, non è quindi nient’altro che il puro fenomeno stesso dell’immagine. Con questo “risultato”, ancora completamente insondato nel suo possibile sviluppo, interrompiamo la nostra analisi sulla coscienza dell’immagine. L’interruzione sembra essere arbitraria. Solo quando completeremo l’analisi costitutiva, in modo da penetrare nell’intenzionalità della coscienza stessa dell’immagine, potrà risultare evidente perché siamo qui arrivati così presto già ad una conclusione.
(Traduzione dal tedesco di Gabriella Baptist)
(*) E. Fink, “Vergegenwärtigung und Bild. Beiträge zur Phänomenologie der Unwirklichkeit”, in Studien zur Phänomenologie. 1930-1939, Den Haag, Nijhoff 1966 (Phaenomenologica, 21), pp. 74-78.
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