domenica 2 settembre 2007

LA VITA NELLA MATERIA:MICHELANGELO SCULTORE.Liceoclassico"ORAZIO" DI Roma

STUDENTE: Ringraziamo il nostro ospite Prof. Antonio Forcellino e insieme diamo uno sguardo alla scheda introduttiva.
L'arte di Michelangelo era stata ampiamente celebrata dai suoi contemporanei. Come ricorda il Vasari ne "Le vite dei più eccellenti architetti, pittori e scultori italiani", la sua fama di eccellentissimo scultore gli era stata attribuita per la generale ammirazione de La pietà, realizzata quando l'artista aveva circa 25 anni. Nel 1505, quando Michelangelo non aveva ancora trent'anni, Papa Giulio II lo fece convocare per commissionargli il proprio monumento funebre. Si trattava di un'opera ambiziosa e impegnativa, oltre misura. La realizzazione del sepolcro tombale avrebbe infatti conosciuto una travagliatissima gestazione, che si sarebbe protratta per decenni, impegnando fino allo sfinimento le energie e il genio creativo di Michelangelo che si vide costretto a modificare e a rielaborare più volte il progetto anche dopo la morte del Pontefice. Quello che, agli occhi dell'autore doveva rappresentare una magnifica prova del suo genio, sintesi esemplare di architettura e scultura, morte e cristianità, divenne la tragedia della sepoltura, come la chiamò egli stesso. L'opera venne infine portata a termine, ma con un'evidente limitazione rispetto all'intento iniziale di Michelangelo. Nella forma definitiva la statua di Mosé, oggi restaurata, è collocata al centro del monumento funebre. Essa rappresenta una testimonianza autentica della scultura michelangiolesca e della sua insuperabile maestria nell'estrarre la vita dalla materia e nel dare un'anima al corpo umano. Nello sguardo inquietante de "Il Mosé" , che stringe tra le mani le Tavole ricevute da Dio, si riflette la luce della divinità. Il racconto del Vasari a questo proposito è eloquente: "La quale statua non sarà mai cosa moderna alcuna che possa arrivare di bellezza e delle antiche ancora si può dire il medesimo. Ed ha sì bene ritratto nel marmo la divinità che Dio aveva messo nel sacratissimo volto di quello che Mosé può, più oggi che mai, chiamarsi amico di Dio". Ma in che cosa risiede la peculiarità della scultura michelangiolesca? È possibile oggi svelare in ogni piega la sublime tecnica della sua mano? Il restauro di questo capolavoro può rivelarci i segreti del suo genio?
STUDENTESSA: Perché Michelangelo inserisce la statua de Il Mosé nel Sepolcro di Papa Giulio II?
FORCELLINO: All'inizio, il progetto di realizzare circa quaranta statue, prevedeva di collocare questa, sopra, in un angolo. Poi il Papa, dietro consiglio di Bramante e Raffaello, invidiosi di Michelangelo, decise di non realizzarla più. Soltanto dopo la sua morte, dopo che un nuovo Papa si oppose alla continuazione del progetto - si tratta di un'un'interruzione di tredici anni -, Michelangelo portò a termine il lavoro. 
STUDENTESSA: In quale momento della vita di Mosé, Michelangelo lo rappresenta?
FORCELLINO: L'interpretazione più accreditata è che Michelangelo rappresenti Mosé, quando, sceso dal monte Sinai dove ha ricevuto le Tavole da Dio, trova i suoi amici intenti alla venerazione di un nuovo idolo e, sdegnato, li punisce, rompendo le Tavole con un gesto violento. Tuttavia, noi non abbiamo alcun documento che ci autorizzi a questa interpretazione. Questa statua è stata scolpita per metà nel 1517 e per metà nel 1542, quindi l'opera, così come noi la vediamo, è il frutto di una stranissima elaborazione. Quello che noi vediamo ne Il Mosé va letto alla luce di quello che abbiamo scoperto adesso, ossia che il lavoro è cominciato in un modo e poi è stato completamente modificato dall'autore. Innanzi tutto la sua posizione è stata determinata dallo spazio illimitato per poterla lavorare e dal fatto che la pietra era oramai intaccata.
STUDENTESSA: Qual è l'interpretazione di Freud de Il Mosé?
FORCELLINO: Freud, in questa statua scorge un Mosè che si siede e contiene l'ira, ma questa lettura va colta nel suo significato storico. In un momento - siamo nell'Ottocento - difficile per l'Europa, Freud ritiene molto importante attribuire all'opera il senso della razionalità e il contenimento dell'ira, infatti, è un traguardo della ragione. Tuttavia, c'è da tener presente che lui non è a conoscenza del fatto che il blocco è stato già lavorato. Per cui ciò che lui legge come una creazione, in realtà è il frutto di una condizione tutta interna all'arte, alla difficoltà della scultura, alla difficoltà di rappresentare, in un blocco di marmo, un uomo.
STUDENTESSA: Come venne considerato Il Mosé dai contemporanei di Michelanghelo?
FORCELLINO: Senza dubbio, l'opera è considerata la più grande statua della modernità. Pochi anni dopo viene pubblicata una guida delle sculture antiche dove si elencano le grandi opere pervenute dall'antichità e ritrovate poi a Roma tra il Quattrocento e il Cinquecento. Si tratta de Il Marco Aurelio, de L'Apollo Belvedere e soprattutto de Il Lacoonte, che aveva stupito tutto il mondo. Ebbene, in questo elenco, viene inserito anche Il Mosé, ma questa statua, pur non avendo nulla da invidiare alla scultura antica, non è antica, bensì moderna, perché Michelangelo è ancora vivente quando viene consacrato come l'artista, lo scultore più grande che esiste nell'universo. I contemporanei non possono che ammirarlo per il virtuosismo tecnico mai raggiunto prima e dopo di lui, da altri.
STUDENTE: Perché Il Mosé viene rappresentato con le corna?
FORCELLINO: Quelle che vediamo non sono corna, ma i raggi dell'illuminazione attraverso i quali si esprime la visione divina. Se nella pittura è facile rappresentare precisamente ciò che si vuole, nella scultura la difficoltà è legata al materiale che deve essere modellato. Tuttavia, alcuni notarono, già allora, - e altri adesso cominciano a riflettere -, che quei raggi, forse, potrebbero davvero essere corna. Le corna, come sappiamo, caratterizzano il Dio Pan, il Dio della natura, degli istinti, degli appetiti sfrenati e Michelangelo aveva dei problemi di controllo dell'istinto, delle pulsioni. Tra l'altro, già più di un contemporaneo aveva capito questo, perché, criticando Il Mosé , diceva :" E poi sembra un capro, un satiro con quelle corna...". Oggi, alcuni studiosi sostengono che Mosè, ordinando di distruggere il vitello d'oro e di adorare un nuovo Dio, che è poi il Dio degli ebrei che diventerà il Dio dei cristiani, mantiene qualcosa del Dio che ha distrutto. Quindi, in realtà, quei corni ricordano il Dio che è stato scalzato dal nuovo e a me sembrano delle osservazioni tutte legittime. 
STUDENTESSA: In che modo è stato effettuato il restauro? E, poi, si sono verificate delle difficoltà durante questa operazione?
FORCELLINO: Il restauro della statua de Il Mosé è inserito nel quadro del restauro dell'intera tomba e della parete a cui è appoggiato, che ha dei problemi di staticità. L'intervento si è reso inoltre necessario per il grasso depositatosi a causa dei calchi dell'opera, che vennero eseguiti nell'Ottocento per ordine del Principe Regnante d'Inghilterra. Quando si fa un calco, lo si fa per pezzi e questi debbono essere separati tra loro con del grasso che finisce per essere assorbito dal marmo, provocando delle macchie molto scure che possono falsare l'espressione e quindi il significato dell'opera. Tuttavia, l'operazione di restauro deve rispettare la pelle del marmo intaccata dal tempo che è trascorso, perché essa arricchisce le sculture. Quindi il restauratore deve rispettare sia l'equilibrio intellettuale che quello visivo.
STUDENTESSA: Che tipo di marmi usava Michelangelo e con quale criterio li sceglieva?
FORCELLINO: Lui si recava a Carrara a scegliere il marmo, partecipando all'estrazione della pietra e controllando che non avesse la minima imperfezione. Non dimentichiamo che Michelangelo era un maniaco della materia, prima ancora che per la scultura e dunque la scelta era molto accurata. In una lettera che scrisse ad un amico egli disse di aver rischiato di venire schiacciato da un blocco per tirare su una pietra. Questo ci dice quanto lui fosse convinto del fatto che tutto nascesse proprio dalla materia.
STUDENTESSA: Qual'era la tecnica scultorea di Michelangelo?
FORCELLINO: Non abbiamo certezze in merito, tuttavia questo restauro ci ha confermato quanto la scultura di Michelangelo fosse meticolosa e quanto lui fosse ossessivo. Egli non faceva assistere nessuno al suo lavoro, non prendeva mai molti allievi e non voleva collaborare con altri scultori. La singolarità di Michelangelo è quella di utilizzare gli strumenti fino proprio alla pelle della scultura, mentre i suoi colleghi lo facevano per grosse linee. Inoltre egli non usava la raspa come strumento di lavorazione, perché essa danneggiava la materia. Lo scalpello, invece, lo preferiva perché permetteva una vibrazione che per altri era inarrivabile. 
STUDENTESSA: Perché Michelangelo esalta molto la muscolatura di Mosé?
FORCELLINO: Michelangelo esalta la muscolatura di tutte le statue, perché intende esaltare proprio l'anatomia. Michelangelo andava all'Obitorio del L'Annunziata a studiare i cadaveri per coglierne proprio il segreto dell'anatomia e poterlo, poi, raffigurare. Egli considerava il corpo umano come l'espressione della perfezione di tutto, attraverso il quale si riesce a esprimere tutto, perché come egli dice : "… l'arte, il nudo, è un fatto di fede, perché l'uomo è specchio di Dio".
STUDENTESSA: Michelangelo sosteneva di essere uno scultore più che un pittore. Secondo Lei la scultura ci rivela meglio, rispetto alla pittura, il genio michelangiolesco?
FORCELLINO: Sicuramente la scultura rivela il virtuosismo di Michelangelo, nel senso che, sul piano tecnico non c'è stato nessuno che potesse competere con lui nel dar vita alla materia. Anche se a me piace forse ancora di più come pittore, senza dubbio Michelangelo, come scultore, ci ha lasciato il segno di un talento inarrivabile.
STUDENTE: Quale emozione Le ha dato il restauro de Il Mosé?
FORCELLINO: In Italia, il restauratore è uno che fa con le mani qualcosa che ha deciso uno storico dell'arte. Si tratta di una considerazione errata, invece, perché il restauro è un lavoro di impegno intellettuale, per compiere il quale, è necessaria una formazione, un'esperienza e anche talento. Se chi interviene non ha questi requisiti, rischia di falsare la percezione dell'opera. Ciò nonostante il restauro alla fine è un lavoro e come tutti i lavori è una risorsa e come tutte le risorse è un potere e come tutti i poteri è appetito; è un circo in cui gli storici dell'arte e gli architetti hanno formulato una legge come conveniva a loro, in cui loro pensano e il restauratore esegue il loro pensiero. Oggi, in Italia, per restaurare Il Mosé la legge prescrive che si facciano delle gare pubbliche, alle quali non solo partecipano quelli che hanno fatto un training regolare presso le scuole d'arte, ma anche le imprese che hanno restaurato il tetto di un palazzo che, appartenendo alla categoria dei Beni Culturali, praticamente li certifica come restauratori. Posso dire che con questa legge, si sia messo la parola fine al prezioso lavoro del restauratore.
ProfAntonio Forcellino
Puntata registrata il 7 febbra

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