venerdì 21 settembre 2007

ASTRATTO E ASTRAZIONE.

RICERCA A CURA DI DANILI PICCHIOTTI

Nelle arti figurative il concetto di astratto assume il significato di «non reale».
L’arte astratta è quella che non rappresenta la realtà, ma crea immagini che non appartengono alla nostra esperienza visiva.
Essa, cioè, cerca di esprimere i propri contenuti nella libera composizione di linee, forme, colori, senza imitare la realtà concreta in cui noi viviamo.
L’astratto, in tal senso, nasce agli inizi di questo secolo. Sono astratte sia le figurazioni che compaiono sui vasi greci più antichi, sia le miniature altomedievali, solo per fare alcuni esempi.
In questi casi, però, la figurazione astratta aveva un solo fine estetico ben preciso: quello della decorazione.
L’arte astratta di questo secolo ha, invece, un fine completamente diverso che è quello della comunicazione.
Intende esprimere contenuti e significati, senza prendere in prestito nulla dalle immagini già esistenti intorno a noi.
All’astratto si è arrivati mediante un processo che può essere definito di astrazione.
Il concetto di astrazione è molto generale, ed esprime un procedimento mediante il quale l’intelletto umano descrive la realtà solo in alcune sue caratteristiche.
Da processi di astrazione nascono le parole, i numeri, i segni, e così via.
Nel campo delle immagini, i segni, intesi come simboli che rimandano a cose o idee, sono un modo "astratto" di rappresentare la realtà.
Nel campo dell’astrazione entrano anche la stilizzazioni che, ad esempio, proponeva l’arte liberty.
Ed, ovviamente, tutta l’esperienza estetica delle avanguardie storiche è un modo tendenzialmente astratto di rappresentare la realtà.
La scomposizione di una bottiglia, ad esempio, che effettua Picasso, gli consente di giungere ad una rappresentazione "astratta" di quella bottiglia. Ma nel suo quadro la bottiglia, intesa come realtà esistente, rimane presente.
L’astrattismo nasce, invece, quando nei quadri non vi è più alcun riferimento alla realtà.
Nasce quando i pittori procedono in maniera totalmente autonoma rispetto alle forme reali, per cercare e trovare forme ed immagini del tutto inedite e diverse da quelle già esistenti.
In questo caso, l’astrattismo ha un procedimento che non è più definibile di astrazione, ma diviene totale invenzione.
L’astrattismo nasce intorno al 1910, grazie al pittore russo Wassilj Kandinskij. Egli operava, in quegli anni, a Monaco dove aveva fondato il movimento espressionistico «Der Blaue Reiter».
Il suo astrattismo conserva infatti una matrice fondamentalmente espressionistica.
È teso a suscitare emozioni interiori, utilizzando solo la capacità dei colori, capaci di trasmettere delle sensazioni.
Da questo momento, la nascita dell’astrattismo ha la forza di liberare la fantasia di molti artisti, che si sentono totalmente svincolati dalle norme e dalle convenzioni fino ad allora imposte al fare artistico.
I campi in cui agire per nuove sperimentazioni si aprono a dismisura. E le direzioni in cui si svolge l’arte astratta appaiono decisamente eterogenee, con premesse ed esiti profondamente diversi.
L’arte astratta sembra dire che può esistere un’estetica delle cose che nasce dalle cose stesse, senza che esse debbano necessariamente imitare qualcosa di altro.
E come l’arte astratta possa divenire metodo di una nuova progettazione estetica, nell’architettura e nelle arti applicate, è un processo che si compie nella Bauhaus, negli anni ’20 e ’30, e che vede protagonista ancora Wassilj Kandinskij.
Ma l’idea, che l’astratto potesse servire
Pollock
a costruire un mondo nuovo, era già nata qualche anno prima in Russia con quella avanguardia definita Costruttivismo.
Le esperienze astrattiste hanno ritrovato nuova vitalità nel secondo dopoguerra, dando luogo a diverse correnti, quali l’Action Painting, l’Informale, il Concettuale, l’Optical art.
Nuovi campi di sperimentazioni sono stati tentati dagli artisti, uscendo dal campo delle immagini, per rendere esperienza estetica la gestualità, la materia, e così via.
Uno degli esiti più interessanti e suggestivi dell’astrattismo, è dato dall’Action Painting del pittore statunitense Jackson Pollock.
Egli, a partire dal 1946, inventò il dripping, ossia la tecnica di porre il colore sulla tela posta a terra, mediante sgocciolatura e spruzzi.
I quadri così ottenuti risultano delle immagini assolutamente confuse e indecifrabili.
Cosa esprimono? Il senso del caos, che è una rappresentazione della realtà, forse, più vera di quelle che ci propone la razionalità umana. L’arte, in questo modo, non solo nega il concetto di immagine, ma nega il fondamento stesso dell’arte. Di un’attività, cioè, che riesce a mettere ordine nelle cose, per giungere a quel prodotto di qualità che è l’opera d’arte.
I quadri di Pollock ci rimandano ad un diverso ordine delle cose, della realtà, dell’universo le cui leggi, come ci insegna la fisica, sono razionali, ma il cui esito, come ci insegna il secondo principio della termodinamica, è il caos più assoluto.

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