martedì 25 settembre 2007

- Schiavitù e solitudine nell'arte -

ACURA DI D. PICCHIOTTI

Molte delle tematiche prese in considerazione nella pellicola Fight Club possono essere riconosciute nei quadri di artisti quali Hopper e il metafisico de Chirico.
"I nottambuli", quadro che ad un osservatore disattento potrebbe apparire insignificante, rivela nella dislocazione degli spazi, delle persone, delle luci e dei volumi un senso di "anestetizzazione" (termine usato da Edward Norton) della vita e dell'intelletto. Ad un primo impatto l'immagine sembrerebbe una delle tante illustrazioni del periodo anni cinquanta e invece, dietro a questo realismo sfrenato che cede al particolare e alla precisione, si nasconde qualcosa di più...
"Può Hopper essere considerato un realista in senso stretto? Il suo occhio cancella i dettagli, la sua pittura procede per sottrazione" 6
A delineare la scena ci sono ombre taglienti e luci accecanti. Gli edifici e i vestiti dei soggetti umani diventano "confezioni" in cui l'uomo-consumatore è "imballato" (non siamo noi a consumare gli oggetti ma sono loro a consumare noi)...
Le luci estremamente fredde e artificiali suggeriscono invece il concetto di alienazione: sembra quasi che non vi sia più speranza per i soggetti raffigurati nella composizione. L'angoscia e l'attesa di un qualcosa che non arriva domina l'infinto istante dipinto da Hopper...
Noi (i "nottambuli" della società di massa) siamo rinchiusi in un mondo apparentemente perfetto ma che in realtà ci sta divorando pezzo per pezzo da dentro. La sensazione che l'opera trasmette è quella di un coltello affilatissimo che lentamente sale lungo la schiena provocando un brivido intenso...
Tra i colori di questo dipinto si scorge difatti l'ineluttabilità del vivere e del pensare borghese, un qualcosa che ricorda il "Si" impersonale di Heidegger... Nei falsi atteggiamenti, nei sorrisi tirati, nell'incapacità di dire "io penso" sta la banalità del vivere quotidiano nel quale siamo fatalmente immersi. Ad attendere il presente dei clienti del Phillies c'è solo un futuro di malinconia e solitudine...
Edward Hopper (1892-1964) è l'artista delle periferie urbane, dell'altra America, quella disillusa dalla vita di tutti i giorni... la sua produzione è una denuncia dell'inconsistenza del vivere del nostro tempo: un disagio profondo si nasconde sotto una falsa parvenza di tranquillità, di pace...

DE CHIRICO: IL "GRANDE METAFISICO" E LA "STAZIONE DI MONTPARNASSE">Questi quadri, "Il grande metafisico" e "La stazione di Montparnasse" contrariamente a "I nottambuli" regalano toni caldi e appassionanti la cui conturbante armonia riporta l'osservatore assorto in quello stato di malinconia e solitudine propria dell'artista: è questo il concetto di "tragedia della serenità"...
De Chirico, in maniera assai diversa da Hopper, giunge con la sua produzione pittorica a traguardi espressivi di incalcolabile valore traslando la vita contemporanea dal piano reale a quello della metafisica.
In "Il grande metafisico" il pittore esprime infatti la figura dell'uomo come manichino privo di identità: il suo volto (bianco e vuoto) è una costruzione abbandonata, un progetto interrotto... de Chirico contrappone insomma ad un viso privo di espressività (indice forse di inconsistenza spirituale) un corpo complesso e a tratti "baroccheggiante"... l'uomo vuoto si copre di "costrutti", identificabili come oggetti con il quale crede di esprimere se stesso, e nel fare ciò perde la sua consistenza schiacciato dalla materia che si accalca intorno a lui per opprimerlo e spolparlo:
"le cose che possiedi alla fine ti possiedono..."
I personaggi che caratterizzano lo stile dell'artista sembrano capitati quasi per caso in luoghi ad essi estranei, sono immobili, silenziosi, si trovano in mezzo ad architetture coercitive della realtà il cui senso ultimo traspare nelle ombre inquietanti di un'esistenza sfuggente e chiusa in se stessa... Forse l'uomo non è nemmeno più un manichino forse ne è solo l'ombra
"Tutto è lontano, tutto è una copia, di una copia di una copia..." 10
In questi ambienti minacciosi i soggetti non più uomini e nemmeno manichini, diventati l'ombra di se stessi, sono lontani e al tempo stesso vicini... Occupano spazi in ambienti la cui prospettiva sfugge alla comprensione... cercano una via di scampo...
In "La stazione di Montparnasse" il punto di fuga (ideale) esiste ma è lontano (in alto a destra), in cima ad una ripida salita, chiara allusione alla metafora della vita... L'uomo è "a due passi dalla salvezza" ma le ombre lo trattengono (rivolte verso il basso)... cosa possono due puntini (i protagonisti della scena) contro tutto ciò...?
In questi complessi irreali tutto è sospeso tra incubo e realtà, tra evasione e costrizione, tra veglia e sogno... L'oblio e la solitudine caratterizzano lo spazio occupando volumi prospettici unitari e allo stesso tempo frammentari:
Se ti svegliassi ad un'ora diversa in un posto diverso, ti sveglieresti come una persona diversa?" 11
Quando osservo "La stazione di Montparnasse" vengo catturato dall'essenza dell'opera e avverto come un fischio simile a quello di un treno in lontananza... non è altro che una sensazione ma, in quell'istante, io sono una delle due figure in alto a destra, avverto un tepore e un senso di amarezza che null'altro potrebbe darmi. Soffro e provo piacere...
 

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