giovedì 13 settembre 2007

RIFLESSIONI SPARSE SU AMORE, FOLLIA, DIO, ARTE,...

a cura di Giorgio Boratto (*)

Amore e Follia Come facciamo a sapere se siamo più vicini al bruto o al saggio?
Basterebbe vedere se siamo mossi più dal potere o dall'amore. Se agiamo mossi dal vantaggio personale, per salvarci o avere un proprio piacere, soddisfare un desiderio personale, allora c'entra il potere.
Se seguiamo l'amore ci diventa naturale sentirci in armonia: si dona con gioia il tempo, ci si scambia i sogni, ci si divide il pane e poi toccarsi, stringersi, è la conquista giornaliera più forte. A vedere da fuori gli innamorati li riconosci subito: appaiono folli. Eppure se seguiamo l'amore diventiamo anche saggi poiché ci conciliamo con ciò che ci succede. La saggezza è l'unione dell'amore e della necessità, dove i sentimenti sono liberi di riversarsi nel nostro destino. Ma noi oggi siamo persi molto spesso in labirinti dove le strade sembrano tutte uguali, già conosciute, per questo nessuno sa più di essere un bruto o un saggio. Oggi il male pare una necessità e l'amore un incontro fortuito; ma non è così e per fortuna qualche folle ci dà la saggezza dicendo no al potere.Cerchiamo Dio Come mai ci sono nel nostro corpo così tanti retaggi, ricordi, segni di un tempo passato? Abbiamo ancora una reminiscenza caudale, i muscoli per muovere le orecchie, i muscoli piliferi (quelli che vediamo quando diciamo di avere la "pelle d'oca"). Portiamo con noi tantissime "scorie" che solo Darwin ce le potrebbe spiegare e far considerare giustamente. Certo che se Dio ci avesse fatto "ex novo" avrebbe usato ben poca fantasia e, se fatti con una sua eventuale somiglianza fisica, anche con spaventevoli limiti. Ma tra tutti questi segnali che ci riconducono agli animali che eravamo e che continuiamo ad essere, quelli più manifesti sono i caratteri sessuali: ma è possibile non avere trovato altro sistema che la copula animale per farci godere e riprodurre? Così è proprio l'atto sessuale e la forma dei genitali che più ci accomuna alla specie animale e ci identifica nei mammiferi in particolare. Anche le mammelle, che pur ci aggradano come richiamo sessuale, ci fanno sentire la vita al pari dei nostri simili caudati. Eppure per quello strano gioco degli opposti, proprio nella sessualità nasce la nostra trascendenza, ovvero la capacità di elevarci con un pensiero superiore. Proprio nell'atto più animale possiamo trovare il divino. Ho trovato, per questo, bellissima la battuta fulminante di Zavattini: "Se ghe la figa, Dio al ghè".
Nell'elenco degli stimoli e delle sensazioni vitali, intese come funzioni fondamentali, la soddisfazione di quello sessuale è il più antico e meno evoluto. Ma la trascendenza entra proprio in questo campo facendoci scoprire l'amore; c'è il paradosso di una forza sessuale, vitale, per costruire la relazione del senso e della domanda ultima: chi siamo?
Forse ancora niente: da troppo poco tempo abbiamo perso la coda e da ancora meno abbiamo scoperto l'amore.
Viviamo ancora il breve tempo di un semplice orgasmo: lo stesso orgasmo di una idea che ci porta fuori. Viviamo sempre nella ricerca di quel qualcosa che ci appaghi al di là del momento. Ecco, cerchiamo Dio.
Arte Hillman ha parlato di psicoanalisi come un "fare anima" io aggiungerei al "fare anima" anche l'arte.
L'arte è la più produttiva dei poteri tradizionali, infatti risiede nella materia e l'aspetto finale di un lavoro si rivela strumento di meraviglia e fascino contenendo in sè anche il significato. Di più, per l'uso delle mani, dà senso alla categoria umani: l'opera delle mani è una fisicità che fa penetrare il tempo nel corpo e riesce a dare un senso profondo all'essere.
Fare arte è fare anima. La creatività non è che pescare da una comune risorsa psichica. Nulla può essere "visto" se non già esistente. Così in fondo non facciamo che derubarci idee. Non c'è niente di eroico nell'arte, non esiste il genio. Questa visione romantica ci deruba di una capacità che è di ognuno. Ognuno ha disponibile la creatività poiché immagina se stesso ed egli è l'unico ad immaginarsi. Vediamo con occhi diversi una stessa cosa che è un particolare del nostro tutto. "Cambiano i tempi e così il nostro orecchio". Così Tacito indicava la percezione del sentire, la diversità del racconto pur nella immutabile sostanza della storia. L'arte è un continuo comunicare sé stessi; comunicare il bello, l'emozione, il sentimento. Comunicare un profondo bisogno degli altri con la ricerca di quello che universalmente ci unisce. L'arte sintetizza l'originalità del vedere e sentire di ognuno di noi. Quando creiamo, riduciamo, scomponiamo, rifacciamo. Il nostro "opus" è "fare anima" Alla fine rendiamo cosciente una forma inconscia. Mettiamo il vestito ad un pensiero. Con l'arte noi conosciamo, esploriamo, per cui l'artista apprende e ricrea ciò che gli è dato. La sua azione è un coniugare lavoro e amore: un lavoro che non distrugge e un amore che non possiede. Un'azione che insegna a contemplare e a non mutare. Le immagini del pensare, le figure del sentire che ci dà l'arte sono alla fine nostre; sono un recupero d'essenza nell'assenza di altre ragioni.
L'arte ci rivela gli dei nascosti nelle cose più semplici del quotidiano.
"Beati quegli occhi che da una fisica delle cose, traggono una metafisica della realtà".
Per questo ci sono delle forme primitive come quelle della ciotola, della coppetta, che sono giunte a noi attraverso migliaia di anni, immutate nella forma semplice, che nella loro naturale disposizione sono specchio della terra e forse dell'universo.
Sta qui il mistero; sta nelle cose semplici come la ciotola che si porta alla bocca e ne diviene un essenziale complemento: dischiude le labbra e accompagna il sorso. E se contenesse l'alito di Dio? Il bello e l'essenziale è quello che rimane, è quello che dà continuità alla vita e all'universo. Prendiamo le Piramidi, figure geometriche semplici, eppure ci parlano all'anima nei millenni. Con loro abbiamo assimilato dentro di noi anche l'Egizio e la sua convenzione del segno. Perciò si è arrivati all' "espressionismo" e al "surrealismo"; perciò siamo pronti ad altre avventure... Non è con la prossimità al reale che si determina il valore, ma con la prossimità all'anima dell'artista.
L'arte che cos'è in sostanza se non la comunicazione della trascendenza umana? Il saper vedere, con la bellezza intrinseca, la natura e anche il destino che la supera? Saper vedere, con l'orrore e la violenza che vivono nella natura anche la possibilità di assumerla consapevolmente? E' la nostra capacità di percepirle che ci fa rendere concrete le cose, le rende visibili. Quello che c'era, c'è già e ci può essere; dipende da noi, da me, da ognuno. Insieme.
La natura è il "tutto in una volta".
La vita è una sola nelle forme più varie.
Il nostro fare arte ci costringe a riflettere sullo splendore e sulla miseria di una stirpe mortale: ci è concesso di generare, perciò moriamo e le nostre opere non ci appartengono.
Così i capolavori dell'arte non sono più dei loro autori ma diventano di tutti quelli che li interiorizzano. Diventano parti della verità; giacché non siamo noi a creare la verità, riflettendo, pensando o ragionando ma la incontriamo come qualcosa che ci trascende la cui premessa nasce dall'esperienza che l'uomo fa entrando dentro di sé.

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