domenica 2 settembre 2007

LE ORIGINI DELL’ARTE DELLA CARTA A FABRIANO

DI Giancarlo Castagnari
Giovanni Domenico Scevolini nella sua cinquecentesca storia di Fabriano, pubblicata dal Colucci in Antichità Picene nel 1792, scrive testualmente: ...«È posta in proverbio, la Carta Fabrianese, di cui gran quantità se ne porta non solamente per tutte le province d’Italia, ma in Germania e in Levante, particolarmente in Alessandria di Egitto, ed in Costantinopoli, ove sono fundati (sic) degli uomini di Fabriano. Io non ho potuto a mio modo venire in perfetta cognizione chi prima portasse quest’arte, e quando a Fabriano, se non che in una memoria tutta lacera, e questa trovo aver cominciato nell’anno di Cristo novecentonovanta...». Lo Scevolini continua raccontando la leggenda di Herardo da Praga, che – fuggiasco dalla Boemia con la sua famiglia – si rifugia a Fabriano e qui inizia a lavorare la carta e ad insegnare quest’arte ai Fabrianesi. Cautamente il memorialista conclude: «Quest’è quanto dalle antiche memorie ho potuto ricavare d’intorno alla Carta, non osandone di affermarlo per vero, né di biasimarlo come mensogna, non avendo anco potuto venire in chiara cognizione chi fosse il primo inventore di quella. Ma comunque si voglia essere, il far della carta non è nuovo in Fabriano, e le prime ricchezze di questa Terra si sono fatte con le mercanzie della Carta». A sua volta il Colucci, molto acutamente, annota: «Per quanto sia antica l’invenzione della carta, non si potrà mai addurre una prova sicura da farne risalir l’epoca al secolo X dell’era volgare, né abbisognamo di ricorrere ad una favola per privare i Fabrianesi del merito della invenzione, ed attribuirlo ad un Boemo, quasi che i soli esteri capitati nella nostra nazione sieno stati i felici inventori delle più belle scoperte». Dello stesso parere è il Marcoaldi che nella sua Guida e statistica della Città e Comune di Fabriano (1873) si esprime così: «Se non vuoisi prestare fede ai patrii cronisti per non aver eglino recato documento alcuno su ciò che asseriscono, essere cioè esistita in Fabriano la industria della carta fin dal 990; certo è che la fabbricazione della carta bambagina fioriva fin dal sec. XII...». Altri potrebbero essere gli spunti sulle leggendarie origini di un’Arte le cui tracce, validamente documentate risalgono alla seconda metà del XIII secolo; ma purtroppo la favola, anche se affascinante, non si concilia con il rigore della ricerca storica basata sullo studio e quindi sulla interpretazione degli antichi documenti conservati nei nostri archivi. È invece opportuno fare un breve cenno all’iter e alle fasi evolutive della fabbricazione della carta, iniziando dalle sue prime apparizioni nei paesi orientali per giungere alle accertate presenze nel territorio fabrianese. Questo itinerario, questo viaggio storico della carta nello spazio e nel tempo viene suddiviso dal Gasparinetti in tre distinti periodi o cicli: 1) periodo arabo; 2) periodo arabo-italico; 3) periodo fabrianese.Nel primo di questi periodi si suole collocare tutta la lavorazione della carta eseguita con tecniche e sistemi strettamente arabi applicati nel vicino Oriente, in Egitto, nel Marocco e quindi in Spagna nella cartiera di Jativa (oggi San Felipe, in provincia di Valenza), menzionata dal Califfo Edrissi come esistente nel 1173. Del secondo periodo, che va dai tipi di carta fabbricata con la tecnica araba che lo precede ai tipi prodotti nel Fabrianese che lo segue, si ha una conoscenza limitata e incerta a causa dei carenti elementi probatori. È questo in effetti un periodo di passaggio, denso di incertezze che non consentono di stabilire come, dove, quando e da chi è introdotta l’Arte della carta in Italia e di risolvere il dibattuto dilemma sul primato delle origini, conteso da antiche regioni di tradizioni cartarie quali la Sicilia, la Campania con Amalfi, la Liguria e le Marche con Fabriano. È un passaggio tuttavia avvenuto gradatamente con la sperimentazione di nuove tecniche e l’impiego di mezzi e di materiali non usati dagli Arabi, secondo le diverse e variabili risorse locali e le capacità creative e culturali dell’artigianato indigeno. Una fase lunga, dai contorni confusi, che si protrae fino alla seconda metà del XIII secolo, epoca in cui l’Arte della carta bambagina fiorisce a Fabriano, nell’entroterra marchigiano, dove compie quel salto di qualità fino allora mai raggiunto, consentendo a questo Comune di imporsi all’attenzione dei mercati italiani ed europei e divenire uno dei primi e maggiori centri cartari della nostra penisola; prerogativa che riuscirà a mantenere ininterrottamente per oltre due secoli. L’ultimo periodo – quello fabrianese – riguarda dunque esclusivamente la carta lavorata a Fabriano – o con le tecniche usate a Fabriano – dove, appunto, quest’Arte è – si può dire – rinnovata e perfezionata fino a raggiunre la struttura definitiva, mediante la quale – sostiene lo storico Gasparinetti – «nel corso dei secoli le moltiplicate necessità portarono la carta alle applicazioni ed all’uso certo impreveduto dai primi artigiani produttori».Si può quindi ritenere che il terzo ciclo sia un punto di arrivo, anche se la ricorrente domanda che si formula per sapere in quale epoca l’Arte della carta sia giunta a Fabriano rimane senza risposta. Una attendibile teoria può essere avanzata sul come l’arte della fabbricazione della carta sia giunta nell’entroterra marchigiano. Gli storici sono propensi a ritenere che l’Arte sia penetrata attraverso Ancona e qualcuno avanza l’ipotesi che i Fabrianesi l’abbiano appresa dagli Arabi fatti prigionieri in uno dei frequenti assalti contro la città dorica dopo l’XI secolo; prigionieri che per motivi di sicurezza venivano internati nell’alta valle dell’Esino. A questo proposito il Gasparinetti porta come conferma il fatto che Borgo Saraceno si chiamava, nella metà del XIII secolo, quella parte della città sviluppatasi tra la porta Pisana (detta pure porta «Saracina», dove la via di Ancona entra a Fabriano) e il convento di S. Agostino (dove oggi sorge l’ospedale civile). Ma sulla origine del toponimo, avanzata dal Gasparinetti, il Sassi formula alcune riserve non avendo egli riscontrato nei documenti prima del Trecento il nome di quel Borgo. Non mancano ipotesi più ardite: alcuni attribuiscono ai Crociati fabrianesi il merito di aver appreso i segreri dell’Arte in «Terra Santa», altri vedono nei Templari i precursori dei cartai, altri ancora ritengono che la nuova attività manifatturiera viene introdotta a Fabriano da intraprendenti monaci reduci dall’Oriente. Tuttavia, indipendentemente dalle dispute sui tempi, sui luoghi e sui modi di apprendimento, è ormai certo che sono gli Arabi i primitivi maestri dei cartai fabrianesi e che il lino e la canapa sono le stesse materie prime usate nel Medio Oriente, a Jativa e a Fabriano per fabbricare carta bambagina.È altrettanto vero che lo sviluppo della nuova attività produttiva è facilitata e assecondata dai favorevoli fattori ambientali e socio-economici tipici dell’area fabrianese, dove da tempo le acque del fiume Castellano (oggi Giano) sono sfruttate come fonte di energia dalla gualchiere dei lanaioli dislocate lungo le sponde e dove è già intensa l’attività artigianale e notevole quella mercantile, nate con il costituirsi del Comune medioevale, le cui origini sono oggetto di attento studio nel 1909 da parte di quel grande storico che fu Gino Luzzatto che, nella sua incomparabile monografia Rustici e signori a Fabriano alla fine del XII secolo, dedica particolare attenzione all’evoluzione dei rapporti tra i boni homines o maiores e i minores o populares e alla lenta trasformazione della società feudale in società comunale. Non è quindi improbabile che l’attività cartaria sia timidamente iniziata quando la borghesia artigiana e mercantile, già organizzata in corporazioni, agli inizi del Duecento, riesce ad avere il sopravvento sui «signori rustici» e a sostituirli nel governo del Comune. Ossia quando nella comunità fabrianese mutano i rapporti di forza e il ceto imprenditoriale, dinamico e intraprendente, guidato dai gruppi più evoluti e più potenti, accresce il suo peso politico, contende apertamente il potere ai nobili, agli antichi feudatari rurali, incastellati, che reggono il Comune aristocratico, e infine si sostituisce alla primitiva classe egemone istituendo il Comune democratico o delle Arti. Le corporazioni delle arti e dei mestieri sono arbitre della vita comunale fin dalla seconda metà del XIII secolo, come dimostra il primo documento conosciuto, che porta la data del 30 settembre 1278, nel quale sono menzionati i nomi dei consoli e dei capitani delle 12 Arti, i quali, con i poteri e le attribuzioni del Consiglio Generale del Comune, eleggono Podestà Orso degli Orsini, nipote di Niccolò III, e come successivamente attestano gli atti consiliari del 1294 che riportano i nomi dei supremi magistrati eletti fra i rappresentanti delle corporazioni. I citati documenti, conservati nell’Archivio Storico Comunale di Fabriano, danno l’esatta dimensione dell’importanza e della potenza raggiunte dalle Arti e il ruolo determinante che esse svolgono in questa fiorente «repubblica appenninica», capoluogo di un vastissimo territorio, con estese proprietà pubbliche, centro fra i più importanti della Marca per la sua economia in graduale sviluppo.Nella metà del Duecento le deboli unioni artigianali, che godevano il privilegio di praticare in esclusiva un mestiere, sono ormai divenute potenti e autonome corporazioni (autentici organismi politico-economici istituzionalizzati che condividono il potere con la nobiltà), che, con i loro statuti, approvati annualmente dalle autorità comunali, garantiscono protezione e mutua assistenza ai propri affiliati, obbligati – se vogliono esercitare il mestiere – ad osservare scrupolosamente i regolamenti e le pratiche religiose, ad applicare i prescritti procedimenti tecnici per la lavorazione dei singoli manufatti, di cui si controllano la qualità e la quantità, a rispettare l’orario di lavoro, i prezzi calmierati, i salari, le giornate di chiusura per le «botteghe», le gerarchie interne, la suddivisione in tre categorie funzionali, maestri, lavoranti, apprendisti, infine ad esercitare la professione negli insediamenti produttivi appositamente predisposti dentro e fuori le mura. Non c’è dubbio che l’attività produttiva più antica è legata al mestiere del fabbro-ferraio sin dalle origini dei primi insediamenti medioevali (ambo castra Fabriani). L’Arte dei fabbri figura nel citato elenco del 1278, ma evidentemente gruppi di artieri dediti alla lavorazione dei metalli si erano inseriti nella comunità fabrianese in epoca molto anteriore, assurgendo cosi a simbolo della tradizionale operosità delle genti insediate nella valle del Giano ed entrando nell’affascinante mondo delle leggende popolari che esaltano la figura del fabbro (faber in amne cudit). È comunque accertato che nel XIII secolo il sigillo del Comune rappresenta un artiere, con il martello nella mano destra e le tenaglie nella mano sinistra, intento a battere il ferro sull’incudine e che 38 fucine occupano il lato Nord della piazza «mercatale» (oggi piazza Garibaldi). Da esse escono manufatti molto richiesti, fra i quali le molle da fuoco o «tenaglie a massello» (dette «chiappe» fabrianesi) esportate in gran quantità, unitamente ai ferri battuti, sin dal XII secolo. È ormai accertato però che, ancor prima di avere notizie attendibili sulla lavorazione della carta a Fabriano, una fra le corporazioni più potenti ed importanti, è quella dei lanaioli, di cui si riscontra l’esistenza nel 1278, quando già da tempo quest’Arte svolge un ruolo di primo piano nell’economia locale configurandosi come una delle principali industrie manifatturiere che coinvolge personale specializzato, nella cardatura, nella tessitura e nella tintoria, con una mole di affari che va dal reperimento della materia prima al commercio dei prodotti finiti, come si apprende in uno statuto riformato del 1369, studiato da Aurelio Zonghi. Un’Arte ricca che dispone di un suo patrimonio immobiliare, di gualchiere, di un edificio per il «purgo» dei panni-lana, gestita da imprenditori intraprendenti che per la disponibilità di impianti e di capitali sono fra i primi ad avviare a Fabriano la lavorazione della carta e ad esercitare – come assicurano Zonghi e Gasparinetti – contemporaneamente il mestiere di cartaio. Un’ipotesi che può essere avvalorata dal fatto che l’Arte della carta bambagina risulta ufficialmente costituita nel 1326, anche se nel 1283 alcuni nomi di cartai fabrianesi appaiono negli atti nel notaio Berretta, documenti conservati presso l’Archivio Storico del Comune.Tutto ciò può dare adito ad un’altra ipotesi: si può ossia ritenere che all’inizio i primi cartai non avendo ancora forza e modo di costituire una propria autonoma corporazione, siano costretti, per esercitare il nuovo mestiere, ad affiliarsi all’Arte della lana, ove trovano una certa affinità e più facile accoglimento fra gli addetti ad un settore che nel ciclo di produzione impiega l’energia idraulica nelle gualchiere per eseguire la follatura dei panni-lana. Sono comunque questi artigiani che, con la loro abilità e creatività, una volta venuti in possesso delle rudimentali tecniche arabe per fabbricare la carta, le perfezionano a tal punto che nel giro di pochi decenni fanno di Fabriano la culla di quest’Arte in Europa, aprendo un nuovo capitolo dell’economia cittadina. In altri termini, a Fabriano agli inizi del XIII secolo ci sono tutte le condizioni ambientali, sociali ed economiche favorevoli alla nascita di nuove attività manifatturiere che possono trovare consistenti supporti nella borghesia impegnata, con mezzi e capitali, nei già esistenti settori dell’artigianato di produzione e nella mercatura, anch’essa organizzata in corporazione, la quale, unitamente ai mereiai, monopolizza tutto il meccanismo della distribuzione, riuscendo ad intensificare i traffici commerciali e a conquistare vasti mercati anche in lontane regioni. In questo assetto sociale e politico, in questo tipo di economia comunale, notevolmente sviluppata e in espansione, prende l’avvio l’artigianato cartario di cui si hanno tangibili segni nella seconda metà del XIII secolo in atti e documenti che lasciano ragionevolmente presumere che l’inizio di queste attività sia anteriore e che comunque si possa far risalire agli inizi del Duecento e, forse, anche prima. Si deve inoltre ricordare che il «periodo fabrianese» della storia della carta è caratterizzato da alcune innovazioni (o invenzioni) che in un certo senso rivoluzionano le primitive tecniche apprese dagli Arabi e che danno al prodotto lavorato in loco inconfondibili prerogative e una precisa connotazione.Ai Fabrianesi infatti si attribuisce l’invenzione o l’applicazione della pila idraulica a magli multipli per ridurre lo straccio in fibra, eliminando così il mortaio e il pestone di legno azionato a mano. Questi magli in batterie, mosse dall’acqua per mezzo della ruota, sono una vera rivoluzione tecnica che, oltre ad accelerare la preparazione dello straccio ed aumentare la produttività, consentono di ottenere una fibra meglio lavorata e quindi un tipo di carta migliore che si distingue nettamente da quella di fabbricazione araba. Altra invenzione fabrianese di enorme importanza è il collaggio della carta con gelatina ricavata facendo bollire gli scarti delle pelli animali forniti dalle concerie locali. Viene così eliminato l’uso delle colle d’amido ricavate dal frumento e rimosso l’inconveniente del facile deterioramento dei fogli e dell’assorbimento degli inchiostri, difetti che giustificano il divieto di impiegare materiale cartaceo per gli atti pubblici. A questo proposito il Gasparinetti sostiene che «tutte le carte a noi conosciute che con sicurezza si possono attribuire alla produzione fabrianese sono collate alla gelatina animale, particolare questo non di secondaria importanza che non appare in alcun’altra carta di altre provenienze». Da questo nuovo trattamento si può ben dire che nasce la fortuna della carta quale mezzo di scrittura o materiale scrittorio, prima poco diffuso proprio perché gli amidacei usati dagli Arabi offrivano un terreno troppo favorevole allo sviluppo dei microrganismi con la conseguente rapida distruzione del foglio scritto e quindi la sicura perdita di importanti documenti. La scomparsa di ogni avversione all’uso della carta subito dopo il primo quarantennio del XIII secolo lascia presumere che nel mercato viene immesso un prodotto che per robustezza e conservazione risponde a tutte quelle richieste qualità e garanzie non fomite dalla carta di fabbricazione araba.Infine il Briquet, lo Zonghi e il Gasparinetti concordano nel ritenere che le prime filigrane furono eseguite a Fabriano. Forse qui è il caso di precisare – come a suo tempo fece Giambattista Miliani – che non si tratta tanto di invenzione della filigrana quanto di una scoperta dovuta al caso. «Un filo – spiega Gasparinetti – che nella forma metallica si sia staccato o piegato lasciando il segno sul foglio di carta nel corso della lavorazione, può aver suggerito l’idea di dare a questo filo una forma definita e così si spiegherebbe la rudimentalità e semplicità delle primissime filigrane, le quali poi, con il tempo e con i maggiori mezzi di cui si è potuto disporre, sono andate mano a mano perfezionandosi». Del resto né Cinesi né Arabi hanno lasciato traccia di antiche carte, da essi lavorate, nelle quali appaiano segni di filigrana, mentre sono le carte filigranate di produzione fabrianese a confermare la presenza, poco dopo la metà del Duecento, di maestri cartai a Fabriano già da tempo in condizioni di esercitare il proprio mestiere ottenendo lusinghieri risultati, tanto da contraddistinguere il proprio prodotto con segni particolari, come, con altri accorgimenti, facevano i lanaioli. I primi cartai infatti usano i segni della filigrana per marcare il proprio prodotto. Più tardi gradualmente si passa ai segni più complicati e rifiniti per contraddistinguere i vari tipi di carta e il formato dei fogli o per contrassegnare e individuare i diversi committenti o per stabilire i periodi di fabbricazione. Questi «segni», a volte bizzarri e fantasiosi, in cui domina sempre l’ingenuità artistica degli esecutori, sono stati collezionati nel secolo scorso dai fratelli Zonghi e poi riprodotti dall’editore olandese E. J. Labarre nel terzo volume della collana «Monumenta Chartae Papyraceae Historiam Illustrantia».Le più antiche filigrane rinvenute a Fabriano contrassegnano fogli in cui sono trascritti testi di documenti datati 1293; tre di esse si trovano in atti appartenenti alla serie delle rivendicazioni comunali (sezione cancelleria), conservata presso l’Archivio Storico Comunale; una in atti dell’Archivio Notarile Mandamentale. I segni, assai semplici e rudimentali, formano lettere maiuscole I e O, due circoli tangenti esternamente due circoli concentrici, linee in croce terminate da circoli. Sono queste le testimonianze più sicure che confermano l’esistenza a Fabriano di questo nuovo tipo di attività manifatturiera, evidentemente praticata in epoca anteriore al 1293; un’attività ormai uscita dalla fase sperimentale e primitiva, sufficientemente collaudata e quindi in piena espansione. Del resto che l’uso della carta sia abbastanza diffuso nella valle dell’Esino lo conferma un registro di spese (membranaceo) dell’Archivio Storico di Matelica che, fra l’altro, riporta i pagamenti per acquisto di carta bambagina effettuati da quel Comune nel primo trimestre 1264 e che si ripetono anche nei registri degli anni successivi; in un solo trimestre del 1269 vengono comperati 4 quaderni e 160 fogli di carta. Questi antichi documenti amministrativi di un centro marchigiano nel quale non si conosce traccia di gualchiere «a cincis», lasciano desumere che la carta, usata in quantità consistente, sia di sicura provenienza fabrianese. La vitalità dei maestri cartai operanti a Fabriano trova riscontro nei protocolli dei notai Berretta e Diotesalvi di Bianco, i quali, rispettivamente nel 1283 e nel 1296, registrano Atti che accertano la presenza di artigiani dediti alla lavorazione della carta bambagina. Altri elementi che attestano successivamente il grado di efficienza raggiunto dall’Arte della carta sono: i nomi di 30 cartai, vissuti tra il 1320 e il 1360, che si leggono negli atti notarili e nei registri contabili dei mercanti; l’accesso al priorato (massima magistratura del Comune medioevale) nel 1326 dei rappresentanti dell’Arte; alcune decine di gualchiere dislocate lungo le sponde del fiume Giano; le rilevanti quantità di balle e risme di carta esportate in diverse parti d’Italia e d’Europa; la presenza di maestri cartai fabrianesi fondatori di cartiere in Toscana, in Emilia, nel Veneto. Nelle memorie sulle Antiche carte fabrianesi Aurelio Zonghi cita i nomi di 22 cartai rinvenuti in un volume di atti del notaio Matteo di Mercatuccio, rogati tra il 1320 e il 1321, dove sono registrati alcuni contratti di società e di locazione di opere ad artem chartarum operandam et exercendam e il Sassi cita documenti dai quali risulta che i monaci Silvestrini di Monte Fano e i Benedettini di S. Vittore delle Chiuse sono possessori o locatori di cartiere.Altre interessanti testimonianze confermano l’espansione dei commerci della carta, a cominciare dagli atti notarili di Benvenuto di Corraduccio di Manzia nei quali si specifica che 622 risme di carta bambagina «grossa» insieme ad altra partita di 72 risme di diversa qualità, sono destinate nel 1347 a Venezia, per giungere ai preziosi registri del facoltoso mercante Lodovico di Ambrogio che, dal 1363 al 1414, annovera, fra i suoi numerosi clienti, committenti da Ancona, Fano, Rimini, Gubbio, Perugia, Spoleto, Città di Castello, Firenze, Pisa, Siena, Lucca e imbarca la sua pregiata mercanzia per la Francia e l’Europa del Nord a Talamone. In soli tre anni dal 1364 al 1366 Lodovico spedisce a Talamone 240 balle di carta pari a un peso di circa 54.000 libbre. Osvaldo Emery, basando i calcoli sui formati della carta e i pesi allora in uso, presume che all’inizio del XV secolo la produzione annua di carta a Fabriano raggiunga i 2.500 quintali. D’altro canto i mezzi e i capitali di cui dispone un solo mercante come Lodovico di Ambrogio (che, oltre ad essere proprietario di cartiere, commissiona ad artigiani, ridotti al rango di lavoratori a domicilio, gran parte dei manufatti destinati all’esportazione e reperisce anche gli stracci, preziosa e ricercata materia prima per fabbricare carta) indicano la rilevante mole di affari che coinvolge gli addetti a questo settore manifatturiero, struttura portante dell’economia fabrianese tra il XIV e il XV secolo. Il fatto stesso che alcune nobili famiglie, come i Fidismidi di parte Guelfa e i Chiavelli di parte Ghibellina (quest’ultimi nella seconda metà del Trecento incontrastati signori di Fabriano), favoriscono lo sviluppo dell’arte cartaria con l’acquisto di gualchiere che gestiscono direttamente o concedono in affìtto ai propri protetti e sostenitori, prova con quale impegno i Fabrianesi assecondano l’espansione della domanda di un manufatto da cui si ricavano sicuri profitti, ma contemporaneamente dimostra che la nobiltà di origine feudale, esercitando il controllo sulle attività industriali mira a monopolizzare il potere economico per riacquistare lentamente quella posizione egemonica che occupa la borghesia artigiana e mercantile, organizzata in corporazioni.Purtroppo di quest’Arte che, sia per il numero dei consociati: cartai, cialandratori, allestitori, sia per l’impulso dato allo sviluppo economico della comunità fabrianese, svolge un ruolo di primo piano nella tormentata vita politica comunale, non si conosce traccia di statuti. La mancanza di un così importante punto di riferimento impone di ricostruire le attività, le strutture e gli ordinamenti corporativi sulla base di altre fonti, quali gli atti dei notai, i registri dei mercanti e dei negozianti di carta, dei cialandratori. Si può pertanto stabilire che i veri fabbricatori di carta sono i «mastri» o maestri cartai proprietari o affittuari di cartiere. La loro preziosa e raffinata opera si limita alla produzione dei fogli mentre per le altre successive operazioni di allestimento: satinatura, piegatura, impaccatura, la carta passa ai cialandratori, una categoria di artigiani che con l’utensile denominato «cialandro» lisciano la carta nello loro botteghe quasi sempre separate dalle gualchiere e, a differenza di queste, situate entro le mura della città. Infine ci sono i «mercatori» o mercanti di carta che corrispondono ai moderni grossisti, i quali acquistano in proprio dai fabbricanti del posto o ad essi commettono gli ordini che loro giungono dalla clientela. A loro volta questi mercanti per intensificare il ritmo della produzione e per assicurarsi più lauti guadagni diventano proprietari di cartiere dove impiegano artigiani dipendenti oppure formano società con fabbricatori di carta. Nasce così un’ibrida figura di mercante-piccolo industriale che riesce ad unire nelle stesse mani tutti i cicli della produzione e della distribuzione, dal reperimento della materia prima: gli stracci, che vengono a volte importati da lontano, alla vendita del prodotto finito, di cui viene curata la spedizione e l’immissione nei mercati italiani, europei e mediorientali anche per il tramite di procuratori e procacciatori di affari. Una figura singolare di intraprendente imprenditore che, per le insuperabili e inconfondibili qualità del prodotto di cui dispone, può soddisfare una domanda in continua ascesa che va comunque rapportata al consumo della carta in quell’epoca, uso e fabbisogno che aumentano con l'invenzione della stampa dopo la metà del XV secolo.Il dominio sul mercato cartario, mantenuto incontrastato da Fabriano per oltre due secoli, è certamente dovuto non solo al fatto di essere l’unico centro europeo che riesce a produrre notevoli quantitativi di carta a ritmo continuo e quindi a soddisfare in tempi accettabili tutte le richieste, ma soprattutto ai mai non troppo decantati pregi, ovunque riconosciuti, di questa Arte; due fattori importantissimi che fanno superare le difficoltà dovute alla lontananza di questo Comune montano della Marca dalle grandi vie commerciali e di comunicazione, lontananza che crea disagi per il trasporto, il cui costo incide sui prezzi della carta. La fìtta rete dei commerci, estesa anche in lontane regioni dai mercanti fabrianesi, contribuisce con efficacia alla crescita economica dell’Arte cartaria che, sin dai primi tempi della sua attività, si sostiene lavorando quasi esclusivamente per l’esportazione del prodotto sulla base delle commesse sicure che garantiscono la continuità dell’occupazione per gli addetti al settore e la crescita di benessere per l’intera comunità fabrianese. Garanzia di occupazione e fruttuoso investimento di capitali sono infatti confermati dal fiorire delle numerose piccole cartiere, delle quali alla fine del Trecento – secondo alcuni memorialisti – sono 40 ad essere in piena efficienza, formando un consistente complesso manifatturiero, noto, per dimensione e produzione, in tutto il bacino del Mediterraneo e nei paesi dell’Europa occidentale.

A questo punto è opportuno ribadire, sulla base di recenti studi storici, che Fabriano entra di diritto e con titoli sufficienti in quel gruppo di Comuni medioevali che, tra XIII e XIV secolo, hanno contribuito alla espansione della economia italiana e al suo primato nell'Europa occidentale. Fabriano, città della Marca, potente repubblica appenninica, raggiunge il suo massimo splendore con l’avvento delle Arti al potere del Comune – splendore consolidatosi poi sotto la Signoria dei Chiavelli – ma esce dal rigido schematismo dell’ordinamento corporativo e non si chiude nella mediocre ristrettezza di una economia per il solo consumo diretto dei produttori, grazie alle strutture organizzative e manifatturiere create dai i suoi maestri artigiani e all’intraprendenza manageriale dei suoi mercanti di carta. Sono cartai e mercanti, uniti e operanti in una Universitas, che segnano i lineamenti del protocapitalismo e i prodromi dell'associazionismo operaio locale nel tardo Medioevo. Sono questi i veri protagonisti dell’economia fabrianese in espansione grazie ad un settore trainante che, nel lungo periodo segnato dai secoli XIV e XV, contribuisce, in modo determinante e irripetibile, a dare a Fabriano, per fama e ricchezza, una dimensione internazionale ed europea. Al di là di queste considerazioni, che sottolineano il già più volte ripetuto senso di rammarico condensato in quel olim carfani undique fudìt, frase dettata forse per rimpiangere i fasti del passato, si può concludere osservando che se l’inizio della lavorazione della carta a Fabriano – cioè i tempi delle origini – rimangono oscuri o per lo meno non storicamente accertabili, come, del resto, lo è la nascita della corporazione, ben evidente invece e sufficientemente dimostrato, sulla scorta di un prezioso materiale documentario, resta la floridezza e la potenza, fra Tre e Quattrocento, di questo centro marchigiano, unico in Europa e nel bacino del Mediterraneo a produrre e ad esportare in quell’epoca carta bambagina di pregevole fattura in quantità ragguardevole; il solo ad avere artigiani ricercati per la loro capacità e maestria nel fabbricare carta; il solo, sempre nel periodo indicato, a raggiungere livelli qualitativi di produzione pari alla notorietà e alla fama conquistate e gradualmente diffuse ovunque. Carfani undique fudit è la dichiarazione ufficiale, impressa nel cartiglio dello stemma comunale, con cui Fabriano tradizionalmente si presenta come una grande protagonista della storia della carta – storia scandita per secoli dalla sua antica corporazione dei cartai – e come uno dei principali punti di riferimento europei per un’antica Arte giunta dall'Oriente, ma perfezionatasi nelle Marche con l’ingegno, la tecnica e la cultura degli Italiani.

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