GUILLAUME APOLLINAIR " LE UNDICIMILA VERGHE"
DI FRANCESCA MAZZUCATO)
Qualcuno, ai primi del Novecento, pubblicò un romanzo erotico, e venne definito un autore ”più forte del marchese de Sade”. Vi sembra impossibile? Invece è accaduto. Si tratta del sommo poeta Guillaume Apollinaire, l’innovatore, il beniamino di Cocteau e di Picabia, l’ autore della fondamentale raccolta ALCOOLS. La sua ricerca poetica è la più persuasiva nella poesia francese del primo Novecento, la più ricca d'invenzione, morbida, coinvolgente, ambigua ma anche tumultuosa. Fu adorato dalle avanguardie e,in fondo, gran parte della produzione che leggiamo attualmente, gli è debitrice, anche alla lontana. Scrisse due romanzi generosamente definiti “libertini” da anime pudibonde che non volevano mettere a repentaglio quel poco di fortuna che riuscì a ottenere da vivo:”Le prodezze di un giovane dongiovanni” e “Le undicimila verghe”. All’epoca di Apollinaire il romanzo erotico non era una certa garanzia di successo e popolarità, anzi. Accadeva tutto in un limbo di clandestinità, e, per molto tempo, si è accennato a questi romanzi giustificandoli come opere scritte solo per pressante bisogno di danaro. Invece questi libri meritano la nostra attenzione, una attenta analisi e magari una lettura. Secondo Picasso, suo grande estimatore, Apollinaire era addirittura più se stesso qui che in tutte le altre sue opere( e forse è una affermazione che rasenta il paradosso ma non del tutto). Proviamo ad analizzare “Le undicimila verghe”. ll pensiero corre inevitabilmente alla “Justine” del dannato marchese. Questo romanzo pare costituire una sorta di aggiornamento dell’opera di Sade,e, per quello che riguarda il censimento di ogni forma umanamente concepibile di perversione sessuale, di piacere e orrore nella violenza legata al coito, si può dire che l’allievo abbia di gran lunga superato il maestro, anche se si tratta di un accostamento e di una ipotetica “gara” che nasce solo da affinità tematiche e dal vezzo della “catalogazione delle performance erotiche”, comune a entrambi e parte noiosamente integrante dei topoi del romanzo erotico classico.
Un assaggio:“…Il generale lo spogliò e gli succhiò il pisellino non più grosso di una giuggiola. Poi lo rigirò e gli sculacciò il culetto magro e giallo..il ragazzino agitava sapientemente il suo corpicino di checca celeste…”. Non riscontriamo, nonostante tutto, la cupa pesantezza delle opere sadiane, quel senso di morte che avvolge ogni cosa, e rende il piacere necessaria ma effimera panacea, che non deve curarsi della sofferenza che ha il potere di spandere intorno e di infliggere agli altri. Gabriele Cantagallo fa qui una analisi piuttosto interessante dell'opera, alla quale vi rimando per ulteriori approfondimenti. http://www.oliari.com/storia/guillaumeapollinaire.html
La scrittura erotica di Apollinaire ci testimonia il nuovo ruolo assunto dalla sessualità in una società profondamente e radicalmente mutata: l’autore sa cogliere il sempre più rapido isterilirsi della ricerca estetica nel panorama artistico moderno e unisce uno stile che ha una evidente ripugnanza per tutto ciò che è futile o leggiadro. Il titolo ha un carattere grottesco- carnevalesco, inneggiante l' abbondanza, con una forte propensione all'omosessualità maschile, come vediamo anche dal pezzo citato, non certo unico, di quel tipo.
L'anno 1907 fu uno del più poveri della vita dello scrittore. Vive alla giornata, facendosi strada nei circoli letterari: è quindi l'inizio della sua vita da bohemien. Il carattere "abbondante" del titolo può essere considerato come un miraggio della ricchezza, una proiezione di qualcosa di opulento. Caldo, tanto, un numero esagerato, undicimila, di diretta ascendenza rabelaisiana.
Il romanzo ridicolizza la società del tempo, ed è un peccato che i riferimenti a personaggi realmente esistiti si siano persi, perché ne costituivano sicuramente uno degli aspetti più divertenti e godibili. Non ci è più consentito di riconoscere nel romanzo dietro i tratti caricaturali, la gran dama, lo spocchioso seduttore, la vecchia snob, la star del momento, la checca isterica. Non sfuggono invece gli sberleffi di Apollinaire ai simbolisti, ai parnassiani e ai valori più diffusi del moralismo cattolico: le verghe sono undicimila come le vergini della leggenda di Sant’ Orsola, che scelsero il martirio invece di assecondare le smanie di sesso di un esercito di Unni. Una tale irriverenza nel poeta, riconoscibile anche nel rapporto “vierge- verge”, lo fa accostare a Dalì, con il quale ha certamente in comune l’iperrealistica riproduzione di particolari, ovvero descrizioni di pura anatomia nella assurdità dell’affresco generale. Louis Aragon, che di quest’opera stilò una prefazione nel 1930, scrisse che Apollinaire, di fronte alle forme della sessualità, gioca la sua parodistica negazione dell’ordine tanto nella natura quanto nell’individuo ed estremizza con un ghigno il carattere paradossale della vita rinunciando a ogni progetto di ridefinizione unitaria del reale. Aggiunge inoltre:”..Coloro che preparano la definitiva liquidazione delle ideologie a cui strada facendo gli Apollinaire hanno reso sacrificio, dovranno comprendere lo scompiglio che porta nelle file stesse del nemico un libro come “Le undicimila verghe”. Da questo punto di vista è un’opera da far circolare. Ho paura di non essere capito: è che io non considero affatto questo libro un libro “erotico”, infelicissima espressione sotto la quale si confondono troppe cose che solo l’ipocrisia vi ha raccolto…” Pur apprezzando i tentativi postumi che Argon, Cendrars, Tzara , cominciando poco dopo la morte del poeta nella mitica rivista Sic(gennaio- febbraio 1919), fecero per dare rilevanza a un opera innovatrice che non era stata abbastanza riconosciuta, l’interpretazione de “Le undicimila verghe” che fa Aragon nella prefazione sembra eccessivamente caricata di significati, e non ha impedito che, nel corso del tempo, esso sia comunque diventato una delle pietre miliari della storia della letteratura erotica. Che poi, con il termine “erotico” vengano definite tante cose confuse, a seconda delle epoche, delle convenzioni sociali e delle latitudini, è una affermazione verissima, valida anche per il contemporaneo. (FRANCESCA MAZZUCATO)
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