sabato 22 settembre 2007

RENATO GUTTUSO " Pittore di vita"

Fabio Carapezza Guttuso
"Beato te che quando prendi la matita o il pennello in mano, scrivi sempre in versi! Chi dipinge è un poeta che non è mai costretto dalle circostanze a scrivere in prosa…
Ti trovo fratello proprio in questo. Nella disperata premeditazione di fare sempre poesia, in ogni discorso, magari abbandonandolo a sé, incompiuto, caotico, neonato, là dove potrebbe livellarlo con l’integrità del testo, la prosa."
P. P. Pasolini, " Presentazione", 20 disegni di Renato Guttuso, presentati da Pier Paolo Pasolini, Editori Riuniti - La Nuova Pesa, Roma, 6 ottobre 1962.
Questo pensiero di Pier Paolo Pasolini su Renato Guttuso coglie una delle caratteristiche che più ci colpiscono quando guardiamo un quadro, un disegno dell’artista, sia esso giovanile o dell’ultimo periodo, l’intima connessione tra vita e pittura, fuse assieme in un’unica realtà poetica. 
È lo stesso Guttuso, attraverso i suoi scritti, che dagli anni Trenta accompagneranno la sua attività pittorica, ad illuminarci sulle ragioni del suo essere artista, sul senso profondo della sua pittura, sul suo immaginario pittorico. Delineando un cammino difficile, irto di pericoli, per un artista che non vuole maestri. 
" Io imparo solo dall’anima mia se è vero che ne ho una! Imparo a comprendere e a soffrire, combattendo nel mondo ed imparo ad esprimermi. Mi affanno a scoprire una verità che nessuno può indicarmi perché è dentro di me. Ed ogni scuola è vana, vana, vana."
Lettera di Renato Guttuso a Bettina Fuso", 17 Dicembre1932, in Renato Guttuso, dipinti e disegni 1932/1986, a cura di F. Carapezza Guttuso, E. Crispolti, M. Duranti, Edizioni Marescalchi, Bologna, 1998, catalogo della mostra, Galleria Marescalchi, Bologna, 1998
Precocissimo, Renato Guttuso non ebbe praticamente maestri se si eccettuano il padre Gioacchino, uomo colto, acquarellista per diletto, che aveva iniziato il figlio ad una ricerca verista, naturalista. E il futurista Pippo Rizzo, nella cui bottega palermitana passava il tempo lasciatogli libero dal liceo, sviluppando il suo temperamento moderno e avvicinandosi alla comprensione di nuovi artisti. Rizzo infatti fu un tramite non solo con il movimento futurista ma anche con il plasticismo di "Novecento". Della primissima gioventù, rimangono tavolette, paesaggini, confrontabili con quelli dipinti dal padre, modello dal quale si staccherà velocemente, almeno sul piano artistico, per approdare, già alla fine degli anni Venti, ad una materia pittorica brillante e luminosa, con tonalità aspre e contrastanti. Come nel Ritratto del padre Cav. Gioacchino Guttuso, 1930, dove le squadre e gli strumenti di lavoro, era agrimensore, vengono inseriti in un’opera dal grande rigore compositivo. Fortissimo si intuisce il timore reverenziale dell’artista per la figura paterna, sottolineato anche dalla iscrizione latina: Renato Guttuso pictor ex patris sui praeclara efigie summa cum diligentia hanc parvam tabulam extraxhit. O in Cavallo pazzo, 1930, pregno di inquietante narratività. O ancora nell’emblematico Lume, piatto, bottiglia, 1931.
Quello che colpisce nelle opere di questo periodo è il desiderio di evocare un ricordo, un mito, il Mediterraneo, la Magna Grecia. Miti e rievocazioni classiche che vengono assimilati e ricomposti. Come nel Racconto del marinaio, 1933. O nel Faro, 1931, che riecheggia un cromatismo duttile e sensibile che si poteva ritrovare nei dipinti di Carrà degli anni venti.
"Le mie prime esperienze pittoriche, che ora ho abbandonato per un bisogno di genuina liricità", scrive nel 1933, "si compiacevano di colori aspri e violenti cui intendevo dare valore drammatico ed evocativo."
R. Guttuso, testo in IV° Mostra Regionale Sindacale d’Arte, Catalogo, Palermo, marzo - aprile 1933.
E cerca invece, macerandosi, incerto sulla sua strada, un rapporto più forte con le cose, con la realtà che lo circonda, che dia sfogo alle sue urgenze esistenziali, al suo mondo interiore. In un articolo su Picasso, del 1933, ritroviamo la profondità dell’intuizione pasoliniana, "la disperata premeditazione di fare sempre poesia" ravvisata nel dipingere guttusiano.
"Che l’arte d’oggi tenda ad una sempre maggiore espressione di umanità e di vita è certo. L’artista d’oggi - uscito dalle esperienze cubiste e metafisiche realizza in campo umano e poetico allo stesso tempo, che diremo, per intenderci di realismo puro." E ancora: "Se la pittura non penetra l’oggetto e non ne svela le vibrazioni, se non arriva partendo dall’oggetto e dall’osservazione sentimentale di esso alla creazione di un equivalente plastico dell’oggetto non si perviene alla poesia, ma si precipita nella fotografia. Non imitazione del vero apparente ma elaborazione poetica fondata su una sensazione umana, comprensione lenta e graduale di un fenomeno fisico, che si trasforma fatalmente in poesia, nell’espressione pittorica."
Renato Guttuso, "Picasso e la pittura moderna", L’ora, Palermo, 6/7 marzo 1933
La prima quadriennale romana, del 1931, che accetta due quadri di Renato Guttuso, costituisce l’occasione per abbandonare l’università e votarsi, pur senza mezzi, alla pittura. In questa importante rassegna conosce Carrà, Casorati, Martini. Nelle mostre che si tengono nelle gallerie incontra Scipione, Mafai, Cagli, Capogrossi. Rimane particolarmente colpito da Carlo Levi che espone contemporaneamente alla Quadriennale e alla Galleria di Roma, con i Sei di Torino. La sua pittura influenzata da Levi e da Cagli è percorsa da movimenti serpentinati, da un convulso agitarsi dei personaggi, da un simbolismo visionario, come nella Donna nuda, 1935, o nel pannello Sirena e tritone nel mare di Stromboli, 1937. 
L’intelligente politica espositiva svolta, a Milano, dalla Galleria del Milione permette a Renato Guttuso di entrare in contatto con l’ambiente milanese, nel ‘32 con la mostra dedicata al Gruppo dei Sei e nel ’34 al gruppo dei Quattro, (Oltre che da Renato Guttuso, I Sei erano composti da: Alberto Bevilacqua, Leo Castro, Vittorio Corona, Manlio Giarrizzo e Mimì Lazzaro; I quattro da: Lia Pasqualino, Giovanni Barbera e Nino Franchina) due sodalizi artistici palermitani dei quali il pittore è vivace e appassionato animatore.
La critica è molto attenta alle due esposizioni, in particolare alla seconda, che viene recensita da Carrà e da Sinisgalli, che dice di Guttuso: "Il mondo non lo urta, lo contagia. Le sue zone liriche sono effetto di un assorbimento che è reciproco, si può dire una osmosi naturale" (L. Sinisgalli, "Recensione della mostra", L’Italia letteraria, Roma, 9 Giugno 1934). Nel corso della mostra dei Quattro, Edoardo Persico, da poco trasferitosi da Torino nella capitale lombarda, tiene la famosa conferenza "Mistica dell’Europa" introducendo temi già cari a Guttuso ma che lo colpiranno riecheggiando nei suoi scritti: 
"Quello che conta di più, in questi giovani, è forse la loro segreta coscienza di essere un momento di una grande evoluzione, il tramite di una nuova armonia. …non esisterà nessuno stile nazionale se non si adotterà un sistema di valori capace di riallacciarci oltre ogni limite alla tradizione europea. Questo sistema sarà il risultato di un’azione principalmente morale degli artisti."
E. Persico, "Mistica dell’Europa", in Edoardo Persico, Tutte le opere 1923-1935, a cura di Giulia Veronesi, Saggi di cultura contemporanea, n. 43, Edizioni di Comunità, Milano, 1964
Il servizio militare che Guttuso presterà a Milano, nel 1935/36 gli permetterà di consolidare e approfondire i rapporti intrapresi con l’ambiente milanese, con artisti come Manzù, Sassu, Birolli, Mucchi, Fontana, critici come Raffaele Carrieri e Raffaele de Grada, poeti come Quasimodo, Gatto, Vittorini. È un periodo difficile segnato da profonde difficoltà economiche:
"...in quegli anni, ‘35,’36... io abitai a Milano, prima alla caserma di piazza Sant'Ambrogio dove ero militare, poi all'ospedale militare di Baggio, poi da congedato nelle umide cantine di un caseggiato nuovo dalle parti dello scalo Farini, attigue a quello di Fontana… Avevo conosciuto Birolli credo il secondo o il terzo giorno del mio arrivo a Milano, nel gennaio del ‘35. Ero andato nel suo studio di piazzale Susa il giorno dopo il nostro incontro e ci tornai spesso da allora. …Più in giù l’osteria col gioco delle bocce dove assieme a Birolli e Mantica, trascinavo indecorosamente la mia sciabola penzolante di ufficiale di complemento. … Spesso Birolli veniva da me, in caserma, dove tentavo anche di dipingere... certe sere andavamo da Manzù, che stava già un po' meglio degli altri, perchè cominciava a guadagnare... altre volte passavo a prendere Raffaellino [De Grada] e assieme a Birolli si andava da Sassu al cinematografo gestito da suo zio.... spesso si andava da Persico con la speranza di rimediare da lui e dalla Mazzucchelli un minestrone o un caffellatte almeno.(questo s'intende quando mi fui congedato Perché finché fui sotto le armi portavo a mangiare alla mensa un amico ogni giorno: i più assidui erano Morosini, Ioppolo, Pellicani) Spesso si mangiava su un tavolo di cemento nello studio di Lucio Fontana, pastasciutta cucinata dalla Teresita. E spesso dai De Grada e allora era una festa. 
Altre sere si andava al Milione, altre si passavano con Quasimodo, Mucchi, Cantatore, Tomea, Carrieri. al Biffi."
R. Guttuso, "Pensando a Renato Birolli" in Renato Guttuso. Mestiere di pittore scritti sull'arte e la società, De Donato, Bari, 1972
Nel 1937 si trasferisce definitivamente a Roma iniziando la peregrinazione tra i vari studi che avrà nella capitale.
Gli studi romani di Guttuso rappresenteranno per artisti, intellettuali, amici un luogo dove incontrarsi, dipingere, ragionare d'arte e di politica, trovare ospitalità o anche rifugio; luoghi aperti ad artisti senza soldi, certi di trovare nel pittore la disponibilità a condividere passioni e speranze, ma anche a dividere le poche sostanze di cui disponeva. L'impegno di Guttuso è in quegli anni proteso alla elaborazione di una nuova poetica, un percorso creativo e personale che sfocerà nella partecipazione, da protagonista, ai movimenti artistici che cercano di rinnovare l'Italia, nel ruolo che sceglierà di avere nella fronda al fascismo, nella adesione al Partito Comunista e nella partecipazione attiva alla lotta partigiana. 
"…importa stabilire le ragioni di questa poetica realista, o poetica della naturalezza, che secondo noi è l’unico concetto di libertà creativa e più direttamente riferentesi al sentimento. Esiste infatti un mondo della poesia che è immutabile perché è il mondo immutabile dell’uomo e al di fuori del quale nulla più esiste: il rapporto tra l’uomo e la sua società, tra l’uomo e la donna, l’uomo e gli elementi, la natura e il destino."
R. Guttuso, "Arte dei giovani", L’appello, Palermo, 26 giugno 1937.
La "poetica realista", "la necessità della naturalezza", infondono alla pittura di Guttuso una nuova dimensione, il riflesso di una nuova sensibilità, riscontrabile nella più profonda indagine psicologica degli Autoritratti. (Autoritratto 1936 e Autoritratto 1938.) E dei ritratti, di Mimise, 1937, la donna conosciuta quell’anno che diverrà sua compagna per tutta la vita. Il realismo quasi lirico, si accentua in dipinti successivi, pregni di un colore vibrante. Uomo che dorme, 1938, Mano di Mimise con la rondine, 1938.
I legami ormai consolidati con l'ambiente milanese, quelli che non ha mai interrotti con la Sicilia, le nuove frequentazioni romane e le incursioni a Firenze - " io quando avevo due lire prendevo il treno e andavo a Firenze da Roma per passare una sera alle Giubbe Rosse con Montale, con Parronchi, con Luzi" - offrono a Guttuso un ventaglio di opportunità, di suggestioni cui reagisce con le sue armi di pittore ma anche di critico, perfettamente consapevole del profondo cambiamento di quegli anni.
E' importante rilevare la distanza che il pittore stabiliva non solo nei confronti della cultura figurativa "novecentesca" ma anche nei confronti delle stesse esperienze rinnovatrici che si erano espresse e si andavano esprimendo nella situazione artistica italiana: dai Sei di Torino alla scuola di via Cavour, da Cagli ai tonalisti romani, dai neoimpressionisti agli astrattisti lombardi:
"A Roma si faceva una pittura intimista, fatta di vibrazioni, di colore, di sensibilità, e Mafai era il massimo rappresentante. A Milano invece c'era una maggiore influenza degli impressionisti e dei post impressionisti. E insomma mi sono servite tutte e due le esperienze, benché io non sia stato mai né intimista né diciamo post-impressionista".
L. Luisi, "Viaggio nella memoria. Intervista a Guttuso" in Renato Guttuso Una vita per la Cultura. Arte: pittura, a cura di V. Rubiu, Ente Fiuggi, Fiuggi 1984
La profonda sensibilità politica e sociale portava l’artista a partecipare a quei circoli, a quelle riunioni dove la fronda al fascismo si trasformava in vera e propria opposizione. Frequentazioni che lo indurranno ad interpretare le inquietudini e le angosce derivanti dalle vicende politico sociali del suo tempo. 
La villa del conte Umberto Morra rappresentò per Guttuso un un cenacolo molto importante per conoscere e dialogare con tanti prestigiosi intellettuali, Bobbio, Salvemini, Calogero, che maturavano nuove consapevolezze morali e politiche.
Umberto Morra di Lavriano, straordinaria figura di intellettuale liberale, nacque nel 1897 a Firenze, da una famiglia di antica nobiltà piemontese, (il padre aveva comandato la repressione dei "Fasci Siciliani"). Esponente di spicco del movimento liberale si ritirò, durante tutto il fascismo, in un volontario isolamento nella villa di Metelliano, luogo nel quale ospitò Bobbio, Salvemini, Berendson, Bobbio, Calogero, Moravia, Guttuso. Durante l’occupazione nazista fu attivo nella organizzazione "Soccorso Rosso" che si occupava di provvedere al sostentamento delle famiglie di coloro che venivano arrestati per motivi politici. Morra rappresentò per Guttuso un amico sincero ed ospitale, indispensabile tramite per conoscere e dialogare con tanti prestigiosi intellettuali che maturavano nuove consapevolezze morali e politiche. Morra ebbe anche il merito di permettere all’artista di ammirare e studiare dal vivo le opere degli artisti che più amava e che allora si potevano vedere solo attraverso rare e costose riproduzioni. "Umberto Morra, nel ‘39", ricordava l’artista, "mi portò a Firenze a vedere il gruppo dei Cézanne della collezione Leuser, il Cézanne e il Van Gogh della collezione Terni-Sforni". Oltre al bel ritratto che Guttuso dedicò all’amico Morra nel 1939, molti sono i suoi disegni che ci restituiscono l’atmosfera di quelle straordinarie riunioni.
La fucilazione in campagna, 1938, primo quadro civile e politico, segna una svolta nell’opera di Guttuso: rimandando compositivamente al famoso quadro di Goya, Los Fusilamientos del tres de majo, è idealmente dedicato a Federico Garcia Lorca, fucilato dai franchisti nel 1936. Sempre alla guerra di Spagna è dedicato il ghignante Cranio d’ariete, 1938, che spesso comparirà nelle sue composizioni, alludendo simbolicamente a quel conflitto che divideva le coscienze degli italiani. 
Di grande importanza è la sua partecipazione al movimento di Corrente che, nato nel 1938, attorno alla rivista milanese Corrente di Vita Giovanile, poi soltanto Corrente, unì pittori, scultori, critici, poeti con l’obiettivo di reagire, spesso anche in termini politici, all'idealismo di regime e al formalismo dominante. Parole d'ordine erano quelle di Antonio Banfi, "il mondo dell'arte come realtà vivente", e di Luciano Anceschi, "la vita vivente come espressione", che invocavano una profonda compromissione tra fare ed esistere, lontana da Novecento e dall'astrazione e in progressiva opposizione al Fascismo. Il ruolo di Guttuso, che ricordava il coraggio intellettuale e morale che ne era alla base, non si limitò ad una semplice adesione, ma con la sua forte presenza e il suo carisma ne condizionò la evoluzione artistica, entrando in forte polemica con Birolli e altri. Guttuso favorì lo spostamento dal postimpressionismo ad un realismo esistenziale. 
In articolo del 1939, l’artista si scaglia contro le mode artistiche, le convenzioni stilistiche che, uguali in ogni luogo del mondo, opprimono le esigenze reali di poesia "…coloro che non avendo esigenze reali di poesia si accingono a farla, rabberciano, in linguaggio generico che è simile in tutto il mondo, sia nella causa (snobismo) che negli effetti, (genericità); contrariamente a ogni fatto autentico di poesia che è congenito alla terra che l’ha prodotto, al suo cielo, alla sua aria, al suo clima, e da questo scaturire da reali necessità di poesia, rinsanguandosi coi caratteri più intimi e sottili della sua patria ha anzi acquistato vigore per espatriare, rivelarsi a tutti gli uomini, ricongiungersi con la sua ragione universale." (R. Guttuso,"L’internazionale dei mediocri", Il Selvaggio, n.1- 4, Roma, 31 luglio 1939)
La Fuga Dall’Etna, 1939, preceduta da straordinari studi, costituisce il primo quadro di grande formato nel quale Guttuso, spinto da quella "necessità della naturalezza" dal desiderio di fare del "realismo una realtà concreta…rinunziando preventivamente ad ogni formula"(R. Guttuso, "Necessità della naturalezza", L'appello, Palermo, 14 marzo 1937) sperimenta una composizione diversa. "…L’artista pone a se stesso il problema della ‘composizione’, giusto il trapasso dalla figura unica in posa, o comunque posata, all’assembramento in grande di molte figure rilegate in un’azione: passaggio che è poi anche dal ‘privato’ al ‘pubblico’…" (M. Calvesi, "Lungo cammino di Guttuso", in Guttuso, Opere dal 1931 al 1981, Sansoni, Editore, Venezia, aprile 1982, catalogo della mostra, Palazzo Grassi, Venezia, a cura di C. Brandi, M.Calvesi, V. Rubiu, Aprile giugno 1982)
"A noi giovani sembrava che bisognasse spingere le cose più avanti, perciò io volevo allora fare un quadro che rappresentasse la mia gente, il popolo siciliano in un'azione e che questa azione fosse una rivolta o un esodo. Scelsi la fuga dall'Etna."(Marco Nozza, "Un’intervista con Renato Guttuso: trent’anni di pittura", L’Europeo, Milano, 2 febbraio 1964)
L’attenzione all’opera di Picasso, riscontrabile già nella Fuga dall’Etna che riecheggia Guernica, (Picasso, 1937), ma anche in certi dipinti degli anni trenta, oltre che negli articoli, emerge come citazione diretta in Ragazze di Palermo, 1940. Il quadro, ispirato a Les demoiselles d’Avignon, (Picasso, 1907), introduce un tema che sarà molto caro a Guttuso, quello del Gineceo. È una scena d’interno che comunica disagio, allarme, costruito in zone cromatiche in stridente contrasto tra loro, mentre la sensuale torsione dei corpi, ristretti in uno spazio affollato, compone un soffocante mosaico. 
" Erano anni duri" ricordava l’artista" e vivevamo di supplì e di pesche sciroppate che ci portava Mimise. Ero richiamato, in licenza di convalescenza, dipingevo sulle tavole, sui cartoni, dovunque; passavo più tempo a raschiare e a preparare le tele che a dipingere; su ogni tela c’erano stati almeno tre quadri e si viveva con la speranza delle cento lire per qualche disegno su Primato o su Documento…" (R. Guttuso, " Della Ragione", Renato Guttuso. Mestiere di pittore. Scritti sull’arte e la società, De Donato, Bari, 1972)
Più fortunato sarebbe stato l’incontro con il grande collezionista Alberto Della Ragione che gli offre un contratto. Ben 1.500 lire al mese in cambio dei quadri che avrebbe dipinto. La prima lettera inviata dall’ing. Della Ragione, il 7 novembre del 1941, (Lettera dell’Ing Alberto Della Ragione a Renato Guttuso, Genova, 7 novembre 1941, Archivi Guttuso, Roma, inedita) segue la mostra personale dell’artista tenutasi a Genova nel 1940, nella galleria Genova, diretta dal gallerista Cairola. Della Ragione gli dà del "voi", all’inizio della lettera: "Caro Guttuso, Ho letto la Vostra lettera a Cairola e sento il desiderio di scriverti subito. Voi dite che sarete lieto di conoscermi quando verrete a Milano, ed io vi dico che a Milano, se vi piacerà, eseguiremo la cerimonia convenzionale della presentazione di rito e ci conosceremo in piena regola e forma, ma in realtà il mio spirito (e non solo il mio) hanno superato il formalismo e a me, attraverso le opere e l’interesse per gli sforzi dei giovani, mi pare di conoscervi tanto e da così lungo tempo da trovare freddo e insopportabile anche il voi." Per passare subito ad un più confidenziale tu " Ecco, perché, caro Guttuso, ti scrivo come ad un vecchio amico lontano che si desidera rivedere, perché è da tanto che si conosce e si ama, e ti prego - se vuoi di ricambiare la mia simpatia per te dandomi subito e cordialmente del tu. …Tu sai parecchio delle mie intenzioni, ma non tutto. Mafai te ne avrà annunciato, ma io ti confermo che il tuo nome è uno dei miei nomi: è uno dei petali della rosa artistica che ho in animo di comporre e di esaltare. Al cospetto dell’Italia e, se mi sarà dato, del mondo.-"
L’ing. della Ragione non si limita ad acquistare i quadri di Guttuso ma dedica pubblicazioni alle sue opere, lo consiglia nella partecipazione ai premi e gli offre un sicuro rifugio a Quarto quando a Roma, nel ’43, i tempi si fanno pericolosi per chi svolge attività di fronda al fascismo. "Fiducia ed amicizia", come ricordava l’artista, saranno sempre alla base del rapporto con il collezionista.
L’ing. della Ragione ha anche il merito, come risulta dalle lettere, di avere riscattato la Crocifissione dal collezionista Suppo che l’aveva commissionata. Senza il suo intervento il quadro non avrebbe potuto partecipare al premio Bergamo del 1942, dove ottenne il secondo premio, e suscitare consensi e polemiche che consacrarono Guttuso tra gli artisti più interessanti del suo tempo. "Ho fatto chiedere a Suppo, la restituzione del quadro, ma quel miserello ha risposto che tratterrà il quadro a garanzia delle 1.200 lire già a te versate in conto della crocifissione di cui ignora sempre il prezzo e la data della probabile consegna. Di fronte a tale miseria di atteggiamento credo che non ci sia che un mezzo, e cioè di scrivergli subito, per raccomandata se occorre, dicendogli che alla consegna del paesaggio gli saranno restituite le 1.200 lire, restando senz’altro cancellata la ordinazione della crocifissione… - naturalmente le 1.200 lire gliele verso io sui nostri conti. Ma ti prego di non tergiversare e scrivere immediatamente mandandomi copia."
Lettera dell’Ing Alberto Della Ragione a Renato Guttuso, Milano, 8 aprile 1942, Archivi Guttuso, Roma, inedita
Nel periodo intercorrente tra la Fuga dall’Etna e la Crocifissione, il profondo significato che Guttuso attribuisce alla parola realismo lo fa entrare in rotta di collisione non solo con Birolli, come sopra ricordato, ma anche con parte della cultura romana, e in particolare con Virgilio Guzzi, pittore e critico, che pure in nome di un comune realismo era stato un suo compagno di strada. La querelle esplode sulle pagine di Primato, quando Guttuso, nel famoso pezzo "Pensieri sulla pittura", afferma: 
Il vero pittore si butta nella vita perché questo è il suo campo dei suoi mezzi d'azione. È a questo contatto che il suo destino d'uomo diventa pittura. Abbiamo invece dietro di noi tanti anni di pittura pavida, solo preoccupata a salvarsi da "ibridazioni" e "compromessi con la vita". 
…La pittura di Cezanne non era schernita solo dal grosso pubblico dei "Salons", ma anzi dalla gente scelta (Zola, ecc.) da quegli stessi che cioè, contro tutti, erano paladini dell'impressionismo...
Dunque la lotta, forma inevitabile della speranza umana. L'uomo soggiace alla collera, fin dal più antico dei suoi miti. E nessuno è esente da questa collera. Né l'artista può dirsi che il suo regno è un altro, un astratto regno di colore, di forme, di parole, di suoni, un regno come un rifugio, dove poter vivere almeno senza tante torture… Ma il valore di un'opera d'arte sta nella sua espressività ed è bene ripeterlo quando c'è in giro tanta disposizione a dimenticarlo. Solo quanto non esprime è cronaca, decorazione, illustrazione.
Perché un'opera viva, bisogna che l'uomo che la produce sia in collera ed esprima la sua collera nel modo che più si confà a quell'uomo. Un'opera d'arte è sempre la somma dei piaceri e dei dolori dell'uomo che l'ha creata.
Intendo dire che non è necessario per un pittore essere d'un partito o d'un altro, o fare una guerra, o fare una rivoluzione, ma è necessario che egli agisca, nel dipingere come agisce chi fa una guerra o una rivoluzione. Come chi muore, insomma, per qualche cosa.
R. Guttuso, "Pensieri sulla pittura", Primato, A. II, n. 16, Roma, 15 agosto 1941
L’espressività, l’indignazione ma soprattutto la collera sono inconciliabili per chi come Guzzi, che infatti reagisce, alla accezione di realismo connette commozione, umanità, passione. 
Le frequentazioni romane con Mario Alicata, Antonello Trombadori, Luchino Visconti, Alberto Moravia, il clima cupo della guerra, le notizie di bombardamenti e massacri, incidono fortemente nell’immaginario guttusiano evidenziando nella pittura e negli articoli la sua partecipazione non solo agli avvenimenti ma anche al clima di angoscia e generale insicurezza che si respirava in Italia già prima della effettiva dichiarazione di guerra. Partecipazione passionale, desiderio di vivere il proprio tempo testimoniando delle passioni e delle inquietudini che lo agitano.
"Negli ultimi anni del fascismo," ricordava l’artista", "nel ‘40-‘43, ci fu proprio un’esigenza, quasi sete violenta di bruciare le posizioni di sentimento, o, se non di abbandonarle, di approfondirle, di trasformarle, attraverso la conoscenza di fatti, libri, opere che potessero parlarci, per analogia, di quello che noi stavamo vivendo."
R. Guttuso, "La Crocifissione al Premio Bergamo" , Il Contemporaneo, Roma aprile, 1965
Le letture erano spesso caotiche ma esaltanti: Lenin e Malraux, Faulkner e Kafka, Labriola e Thomas Mann. In questo clima matura l’idea della Crocifissione, 1941:
La Crocifissione la pensai subito come un supplizio. La prima idea, che poi non ebbi il coraggio di condurre a fondo, era di rappresentare la Crocifissione in una stanza, in un interno, così come avvengono i supplizi oggi, come si uccide nel tempo moderno, col colpo alla nuca. Avevo cercato quindi di legare questa specie di protosupplizio ai supplizi attuali, idea che è stata poi adoperata da altri, da artisti ai quali mi onoro di essermi avvicinato, se non altro per questa idea, come Sartre che ha fatto l'inferno dentro una stanza, come Bacon che ha fatto proprio una crocifissione dentro una stanza. Della prima idea del supplizio poi, nel quadro definitivo rimase solo il pezzo di natura morta, un tavolo in primo piano sul quale ci sono degli oggetti, oggetti crudeli, oggetti di tortura, come acidi, chiodi, una ciotola di sangue. 
Io avevo inteso presentare il supplizio di un uomo giusto, dando stile e sentimento moderni a quella rappresentazione…
M. Nozza, "Un’intervista con Renato Guttuso: Trent’anni di pittura", L’Europeo, Milano, 2 febbraio 1964
Nei disegni preparatori che accompagnarono i due anni necessari alla gestazione della grande tela, risultano ancora evidenti le ambientazioni in locali chiusi, in stanze. C’è forse in questa metamorfosi, da supplizio in locale chiuso a crocifissione all’aperto, un significato che va rintracciato nel progressivo aumento di tensione che si può notare nelle nature morte, nelle figure dipinte dall’artista dal ‘38 in poi negli interni. Sono oggetti simbolici, come Cesto forbici e limoni, 1938, sistemati in geometrico ordine, o divengono grovigli distorti senza più funzionalità, emblemi, irti, irritanti di una situazione corrotta, come in Cesta e bottiglie, 1941/42. Anche le figure costrette negli interni aumentano questa tensione, come nel Nudo con forbice, 1939 novella parca pronta a recidere il filo della vita, o in Ragazze di Palermo, 1940, dai colori incandescenti. Pochi amici fedeli condividono queste nuove verità, e compaiono infatti in ritratti tormentati, nelle forme e nei colori, come Ritratto di Moravia, 1940. È l’attesa di qualcosa che si temeva e che avverandosi si presenta nella sua agghiacciante verità appunto: La Crocefissione. È l’artista che ci svela tale assunto: "Una mela, una bottiglia, un volto, uomini in guerra o in pace, angeli nei cieli, estasi di Santi, massacri, dannati nell'inferno, crocefissioni o concerti, giornali, cinematografi, musei, strade, campagna, palazzi e camere chiuse, letti disfatti, oggetti abbandonati e impolverati. La pittura è la forma del nostro coesistere in ognuno di questi elementi, o in tutti questi insieme. … Una crocefissione che sembri una natura morta e una natura morta che sembri una crocefissione. Ciò è capitato a ogni vera pittura dai bizantini a Caravaggio, a Picasso."
R. Guttuso, "Paura della pittura", Prospettive, Roma, 15 gennaio/15 marzo 1942, risposta ad un’inchiesta voluta da Curzio Malaparte, direttore della rivista e curata dallo stesso Guttuso
La grande tela contiene tutti gli elementi per suscitare scandalo. La posizione delle tre croci, assemblate e non sistemate frontalmente che ribaltano lo schema classico di rappresentazione cristiana. La sconvolgente nudità della Maddalena che si abbraccia al corpo crocifisso di Cristo e dell’altra pia donna; nudità peraltro motivata da Guttuso con il desiderio di rappresentare il dramma, la resa alla condizione ultima e più scoperta dell’essere umano e insieme per attribuirgli una sorta di atemporalità. Il grande drappo rosso sul cavallo che insieme ai pugni chiusi del Cristo e del Ladrone Buono sono segni inequivocabili delle scelte di fronda guttusiane.
E ancora le citazioni picassiane, dal cavallo che torce la testa richiamando Guernica allo sgherro di schiena sul cavallo blu, a Maria di Nazareth che piange. Nel paesaggio si vedono rovine, come quelle che rimangono dopo un bombardamento. La terribile natura morta in primo piano mette in ordine i simboli della passione su un tavolo e sembra rovesciarceli addosso. E i colori, che in modo stridente contrastano tra loro, riempiendo con la loro intensità zone intere del quadro, riecheggiano i manieristi, in opposizione al gusto dominante che si rifa ai primitivi quattrocenteschi. Il cielo livido, privo di ogni trasparenza, sembra spingere il dramma sulla terra, togliendo ogni speranza. "Il cielo è assente. Come del resto è assente nel momento supremo dell’evento: "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?" come noterà attentamente padre David Maria Turoldo.
Il quadro, presentato al Premio Bergamo, ottenne il secondo premio, suscitando immediatamente reazioni fortissime non solo da parte del Vaticano, degli ambienti più retrivi del fascismo rappresentati da Farinacci, o di conservatori come Ojetti, tutti pregiudizialmente contrari alla politica di apertura alle nuove forme artistiche che Bottai sviluppava attraverso riviste come Primato, di cui era condirettore e iniziative come, appunto, il Premio Bergamo. Ma anche da parte di critici che avrebbero dovuto sulla base delle posizioni precedentemente assunte apprezzare la nuova provocatoria opera di Guttuso.
La condanna delle autorità religiose è senza appello e viene pronunziata sia dal Vescovo di Bergamo, Bernareggi, che proibisce al clero di visitare la mostra pena la sospensione a divinis, sia da Celso Costantini, presidente della Pontificia Commissione per l’Arte Sacra, che così si esprime sull’Osservatore Romano del 24 settembre 1942: "È un baccanale orgiastico di figure e di colori con una donna ignuda che protende le braccia verso Cristo: tutto ciò oltraggia nel modo più crudo e villano la nostra fede, la fede d’Italia, la fede di tanta parte dell’umanità…" L’atteggiamento della Chiesa nei confronti del quadro restò a lungo molto critico. È importante, però, citare i segnali di un mutato atteggiamento. In un intervento epistolare del 22 Novembre 1969, scritto per partecipare ad una tavola rotonda sull’opera di Guttuso, a Somma Lombarda, Padre David Maria Turoldo dimostra una perfetta comprensione del messaggio del quadro, tanto da proporre un’interpretazione di "…Guttuso, come un narratore biblico, di una Bibbia in fiamme, mai finita che è la nostra storia…." La progressiva apertura che Paolo VI operò nei confronti dell’arte moderna, ammessa da quel momento nei Musei Vaticani, tramite Monsignor Pasquale Macchi, suo segretario, portò allo storico incontro dell’artista con il Pontefice, alla donazione di tre opere,( tra le quali il Trionfo della morte,1957), nonché alla ipotesi di affidare la stessa Crocifissone ai Musei Vaticani. Questo tragitto si conclude idealmente con le coraggiose parole del Cardinale Fiorenzo Angelini, l’amico che amministrerà all’artista l’ultimo conforto religioso: "Va detto chiaramente: in quella circostanza gli uomini della Chiesa sbagliarono. Che c’era di tanto inaccettabile in quel quadro? Niente. Poiché l’artista non si era sentito il coraggio di dipingere il volto di Gesù - cosa che non fece neanche in seguito - lo riprodusse nascosto dai capelli, il corpo del Signore era quasi interamente coperto da quello della Maddalena, nuda, ripresa di spalle. Quel nudo bianco gesso poteva disturbare solo uno psicopatico."
(F. Angelini, La mia strada, Rizzoli, Milano, 2004).
Tra gli articoli di apprezzamento per il quadro vanno ricordati quelli Mario de Micheli su Pattuglia, di Antonio del Guercio su Roma Fascista e dello scrittore Guido Piovene su Primato. In una lettera del ‘42 Carlo Levi scrive all’artista:
"E tanto meglio se la tua pittura non piace ai vescovi"
Lettera di Carlo Levi a Renato Guttuso, Roma 1942, in Storie di amici e di arte, Opere del museo Renato Guttuso,Eugenio Maria Falcone Editore, Bagheria, 2004, catalogo della mostra,a cura di D. Favatella Lo Cascio, Castello Visconteo, Vigevano, Aprile,2004.
Il desiderio di riflettere, discutere, proseguire nella precisazione della sua poetica che febbrilmente si evolve lo spingono anche dalla clandestinità nella quale si trova, ospite di Della Ragione a Quarto, a tornare sul concetto di realismo. In una famosa lettera del 1943, spedita all’amico Morlotti, che più di altri sente in questo momento vicino, lo invita a raggiungerlo per costituire un cenacolo, un sodalizio anticipandogli gli elementi di riflessione e portando alle estreme conseguenze il suo ragionamento sulla poetica realistica. "Caro Ennio, sarebbe molto bello fare qualche cosa insieme di più coerente e di più vivo di ciò che è in giro, con articoli nostri e gente assolutamente di fazione. Magari un piccolo libretto con quattro o cinque nomi. Qua con Mafai s'era pensato di trovarci insieme per qualche sera. Tu, io, Mafai, Birolli e Morosini per parlare un po'. Una specie di congressino ove ognuno di noi facesse una relazione su un dato argomento, e che poi venisse discusso dagli altri. ...Tu potresti dormire da della Ragione o da Mafai. Io penso sempre più a una pittura che possa vivere quale pittura, come grido espressivo e manifestazione di collera, di amore, di giustizia sugli angoli delle strade e sulle cantonate delle piazze piuttosto che nell’aria triste del Museo per quei pochi specialisti che di tanto in tanto andranno a cercarla. Ogni questione specifica, caro Ennio, batte solo su un punto: la quantità di carne viva che ci sarà dentro un quadro o un libro. L'arte non si fa per "grazia" di Dio o per rivelazione. Dio non c'entra né la grazia ma solo la quantità di noi stessi come sangue, intelligenza, vita morale, che ci si butta dentro."
"Lettere di pittori, Renato Guttuso a Ennio Morlotti", Argine, a.1, n.1, Milano, dicembre 1945
Il precipitare degli eventi, la caduta del Fascismo, la partecipazione attiva di Guttuso alla lotta partigiana, rende impossibile tale "congressino" attribuendo a questa lettera a Morlotti il significato premonitore di un discorso che Guttuso riprenderà solo dopo la fine della guerra.
"Quei tempi terribili, narrati da Vittorini nel suo Uomini e No corrispondono esattamente a quelli descritti nelle pagine inchiostrate e acquerellate da Guttuso nel Gott mit uns, di una lacerata condizione umana divisa tra vittime e carnefici…"
D. Trombadori, "Il vizio della speranza", in Renato Guttuso. Dal Fronte Nuovo all’Autobiografia 1964 –1966, Eugenio Maria Falcone Editore, Bagheria, 2003, catalogo della mostra, a cura di F. Carapezza Guttuso e D. Favatella lo Cascio, Museo d’Arte Contemporanea, Renato Guttuso, Bagheria, luglio 2003-gennaio 2004
Crisi di rinnovamento, il testo pubblicato nel dicembre 1944, riprende il filo, interrotto, delle riflessioni dell’artista, accennando "…a quelle situazioni contingenti che riguardano noi, qua in Italia, e dalle quali siamo appena usciti," il Fascismo con le sue protezioni e indirizzi d’arte, principalmente Bottai e Farinacci, o "alle idee più generali verso cui con maggiore coscienza, dovuta al contatto doloroso con la viva realtà, molti giovani si vanno orientando." Per formulare il forte proposito con il quale uscire dalla crisi: "E dichiariamo la volontà interiore, necessaria volontà, di un’azione che finalmente non sia più un’accademia. Chiediamo di vivere (e lo chiediamo a noi stessi) facendo il nostro mestiere di pittori, di scultori, di scrittori, come gli altri uomini, combattendo il vecchio mondo e aiutando a edificare il nuovo."(R, Guttuso," Crisi di rinnovamento", Il Cosmopolita, a. I, 30 dicembre 1944).
La consuetudine con gli altri artisti lo porta a ritrarli immersi nelle stimolanti atmosfere degli studi nei quali li ospita, come nel Ritratto di Consagra, 1945, e a condividerne le ansie di rinnovamento, cercando però di salvare quella parte del proprio bagaglio culturale che con tante difficoltà si era formato. "Un rinnovamento non può procedere da una ‘tabula rasa’". Partecipa quindi attivamente non solo alla formazione dei nuovi movimenti, ma anche alla stessa formulazione dei documenti programmatici che ne costituiscono i manifesti. Così nella fondazione della Nuova Secessione Artistica Italiana, che nella dichiarazione programmatica, redatta da Birolli e leggermente modificata da Guttuso stesso, firmata da undici artisti (R. Birolli, B. Cassinari, R. Guttuso, C.Levi, E. Morlotti, A. Pizzinato, G. Santomaso, G. Turcato, E. Vedova, A. Viani) prevede espressamente che "Pittura e scultura, divenute così strumento di dichiarazione e di libera esplorazione nel mondo, aumenteranno sempre più la frequenza con la realtà. L’arte non è il volto convenzionale della storia ma la storia stessa, che degli uomini non può fare a meno". ("Manifesto della Nuova Secessione Artistica Italiana", Antologia degli scritti di Renato Guttuso, a cura di Marco Carapezza, in Renato Guttuso. Dal Fronte Nuovo all’Autobiografia 1964 –1966, Eugenio Maria Falcone Editore, Bagheria, 2003, catalogo della mostra, a cura di F.Carapezza Guttuso e D. Favatella lo Cascio, Museo d’Arte Contemporanea, Renato Guttuso, Bagheria, luglio 2003-gennaio 2004)
"E si deve alla riflessione di Guttuso se il "movimento" assume taglio di specificità generazionale; se da Secessione [Nuova secessione artistica italiana il nome originario] si passa a Fronte [Fronte Nuovo delle Arti, quello definitivo] come nome, se la partecipazione romana da minoritaria risulta infine appunto maggioritaria (come lo è anche sotto il profilo critico e ciò malgrado naturalmente i rapporti diretti di Marchiori e le indicazioni degli stessi artisti); infine se la latente conflittualità di posizioni porta alla crisi che giustifica lo scioglimento del "movimento" stesso." (Enrico Crispolti "Frammenti d’una ricerca sul Fronte Nuovo", Il Fronte Nuovo delle Arti. Nascita di un'avanguardia, Neri Pozza, Vicenza, 1997)
Nel 1946 va a Parigi e conosce finalmente di persona Pablo Picasso, stringendo un'amicizia che durerà per tutta la vita, e divenendo il tramite per tanti artisti italiani, tra cui Manzù, che volevano conoscere il grande spagnolo. Durante i loro frequenti incontri Guttuso prenderà l'abitudine di appuntare le espressioni del suo grande interlocutore che più lo colpivano; queste frasi, i disegni che si sono scambiati, le fotografie che si sono scattate a vicenda ci restituiscono intatto il sapore di un sodalizio, così raro tra due artisti. 
Nelle sue opere emerge fortemente un linguaggio postcubista, più correttamente qualificabile, secondo quanto scritto da Enrico Crispolti, come secondo post cubismo, di forte derivazione picassiana, già preannunziato in alcuni dipinti dei primi anni quaranta. Si nota però una differenza tra i primi dipinti, Carrettieri, 1946, Ragazzo alla finestra, 1946 o Paesaggio di Villa Medici, 1946 nei quali la sintesi dell’impianto formale è ancora discorsiva, e quelli più tardi come Ritratto di Mimise, 1947, Vaso alla finestra, 1947, Natura morta con pianoforte, 1947 fino ad arrivare al Merlo, 1947, forse il capolavoro di questo periodo, dove l’impianto compositivo, ma soprattutto cromatico, rappresentato dalle accese zone di contrasto dei colori, è perfettamente definito.
La natura morta con pianoforte appartiene alla serie di opere che Luigi Magnani, musicologo e collezionista raffinatissimo, richiedeva agli artisti suoi amici, pregandoli di inserirvi uno strumento musicale. Oltre Guttuso, che vi colloca un pianoforte, aderisce all’invito anche Giorgio Morandi con la famosa composizione in cui compare un violino.
La lunga maturazione delle sollecitazioni postcubiste e picassiane, studiate dall’artista fin dagli anni Trenta, gli consentono di assimilarne le esperienze formali evitando manierismi decorativi e dispersioni della sua connaturata capacità narrativa. Anche in questi momenti, quando la forma espressiva dei suoi quadri si dilata fino al limite dell’astrazione, non perde di vista la sua attenzione verso il reale: "Ho sempre fatto quel che ho ‘sentito’…come si suol dire, ma per me sentire qualche cosa è sempre stato nell’ordine di cercare la ‘realtà’" (R, Guttuso, "Lettera a Ernesto Nathan Rogers", Domus, nn. 223/224, 1947).
"Guttuso non è, e non è mai stato, un cubista, proprio perché il suo temperamento è quello di un realista. Ma egli è un artista colto, ha molto veduto e osservato e ritenuto, non si è limitato ad una tradizione, ma tutte le tradizioni di arte contemporanea ha voluto comprendere e data la sua veemenza dominare. Ora il cubismo c’è stato. Si può non essere cubisti, non si può ignorare il cubismo. Esso ha insegnato a frapporre un velo intellettuale fra l’occhio e la natura. Quel velo è l’ordine intellettuale dell’arte contemporanea. Guttuso se ne è accorto più della maggior parte degli artisti italiani e ne ha tratto profitto."
L. Venturi, "La protesta sociale di Guttuso", Europa socialista, a. II, Roma, gennaio 1947

La rottura del Fronte, movimento che già conteneva nelle premesse la sua fragilità (" un puro e semplice aggiornamento linguistico non poteva prolungarsi all’infinito in una serie di successivi aggiornamenti," precisava Guttuso. "Avevamo fatto un tirocinio, si trattava di andare avanti, di articolare il nostro lavoro in modo autonomo di correre nuovi rischi." ("Dialogo con Guttuso sulla pittura", Quaderni Milanesi, n. 4/5, 1962, ripubblicato in Renato Guttuso. Mestiere di pittore. Scritti sull’arte e la società, De Donato, Bari, 1972)) è normalmente, dalla critica meno attenta, attribuito solo alle pressioni di matrice ideologica esercitate dalla sinistra, e in particolare del P.C.I.
La situazione politica italiana tra il '46 e il '48 cambia radicalmente con l’esaurirsi di quel clima di collaborazione tra forze politiche diverse che aveva caratterizzato i primi governi repubblicani. L'estromissione dal governo di Pci e Psi e la sconfitta elettorale del Fronte Popolare, il 18 Aprile del ‘48, esaspera l’atmosfera di contrapposizione che inevitabilmente ha un forte riflesso sull'arte e sui movimenti artistici. La sinistra, che era stata fino a quel momento ispiratrice di una apertura, sia pur problematica, alle nuove tendenze artistiche, si chiude a difesa per contrastare l'isolamento della guerra fredda. Chiama alla mobilitazione gli intellettuali iniziando quel periodo di distacco dagli artisti più impegnati sperimentalmente che peserà per più di un decennio sul dibattito culturale italiano. Il Fronte nuovo delle arti muore ufficialmente il 12 marzo 1950; il suo epitaffio sul Corriere lombardo recita: "È morto ragionando il Fronte nuovo delle arti". Ad accelerare la fine di questa formazione artistica, già indebolita da contraddizioni interne, sono le polemiche suscitate dall'ormai famoso elzeviro di Togliatti che attaccava la Mostra Nazionale d'Arte Contemporanea organizzata a Bologna nel ‘48 dall'Alleanza della Cultura, con il contributo delle cooperative comuniste. A tale mostra avevano partecipato 41 artisti rappresentativi delle più diverse tendenze. Con lo pseudonimo di Roderigo di Castiglia, Togliatti condannò l'esposizione dalle pagine di Rinascita: "come si fa a chiamare arte e persino ‘arte nuova’ questa roba, … questa esposizione di errori e scemenze". Guttuso, che in un dibattito collaterale alla mostra aveva sostenuto: "ormai due strade fondamentali si aprono alla attività dei giovani artisti, quella dell'astrattismo da un lato e quella del realismo dall'altro", reagì all'intervento di Togliatti scrivendo per lo stesso giornale una risposta - malevolmente ignorata da chi ricorda soltanto l'intervento di Togliatti - firmata da altri artisti (tra gli altri Mafai, Consagra, Turcato, Franchina). Guttuso rivendicava l'importanza del confronto con le esperienze artistiche europee precluse agli italiani dall'autarchia fascista: "Noi sappiamo bene che dobbiamo liberarci dalle posizioni intellettualistiche di un'arte senza contenuto...ma vogliamo arricchire anche con le esperienze recenti le possibilità espressive di un'arte che deve veramente fondersi con le lotte della classe operaia, che di queste lotte può essere espressione … solo se è veramente arte, non mera illustrazione naturalistica, perché a tale funzione assolve ...la fotografia." La replica di Togliatti, pubblicata in coda all'intervento, non lasciò alcuno spiraglio alla "difesa del diritto di ricercare e di sbagliare" che Guttuso e gli altri avevano tentata.
È invece interessante, senza peraltro disconoscere la pesantezza e la rozzezza delle pressioni politico-culturali, riflettere su quale altra via avrebbe potuto intraprendere un pittore come Guttuso che del realismo, fin dagli anni Trenta, aveva fatto l’asse della sua poetica, il suo punto fermo. Difendendone, anche a costo di perdere sodali e amici artisti, come nella polemica che nei primi anni Quaranta l’aveva opposto a Guzzi e a Birolli, le accezioni meno condivise. 
Anche adesso quindi, nella lacerante divisione tra Astrattisti e Realisti, prevale il suo temperamento di realista.
Del resto, come nota Calvesi, il suo esito verso il realismo "era già insito, proprio, nell’approccio alla scomposizione postcubista (mai sostitutiva, in Guttuso, di un’articolazione tridimensionale) e nell’estraneità dello stesso Guttuso a quell’appiattimento in superficie del modello postcubista, che era la premessa mentale del linguaggio astratto."
M. Calvesi, "Guttuso nel mezzo del cammin", in Renato Guttuso. Dal Fronte Nuovo all’Autobiografia 1964 –1966, Eugenio Maria Falcone Editore, Bagheria, 2003, catalogo della mostra, a cura di F. Carapezza Guttuso e D. Favatella lo Cascio, Museo d’Arte Contemporanea Renato Guttuso, Bagheria, luglio 2003-gennaio 2004
È interessante in questo senso quanto sostenuto da James Hymann (James Hymann, "La terza via : Guttuso e il Realismo europeo, in Renato Guttuso. Dal Fronte Nuovo all’Autobiografia 1964 –1966, Eugenio Maria Falcone Editore, Bagheria, 2003, catalogo della mostra, a cura di F.Carapezza Guttuso e D. Favatella lo Cascio, Museo d’Arte Contemporanea Renato Guttuso, Bagheria, luglio 2003-gennaio 2004), che individua in Guttuso la forte intenzione di percorrere una terza via, per una pittura libera e impegnata: libera dagli estremi rappresentati dal realismo moscovita, e insieme dal formalismo modernista degli Stati Uniti.
Realismo e non Neorealismo, chiarisce il pittore.
R. Guttuso "Sulla via del realismo", Società, a. VIII, n. 1, marzo 1952: "L’espressione ‘neorealista’ è infatti in pittura priva di senso. Realistica è quell’arte che conduce ad una sempre più completa e profonda scoperta della realtà, realismo vuol dire espressione della realtà, la quale non è ideale eterno e immobile ma continuamente si muove, si sviluppa e si trasforma… L’arte di oggi di dibatte tra questi due poli. Un’arte che nega la realtà o si compiace di offenderla nell’amore morboso del deforme, e una figurazione grigia, fotografica, fatta di esterne verosimiglianze, di falsità, di tristezza accademica. Al di sopra di questi due aspetti si fa strada la corrente realista, la quale aspira ad un’arte, ad una pittura che non nasca nel chiuso dello studio…"
Natalino Sapegno, legato all’artista da " una lunga, fedele, ed attenta amicizia" ci guida alla comprensione della solitudine dell’artista, che segue inevitabilmente l’appassionata partecipazione ai movimenti artistici. "… e anzitutto la sua costante solitudine, quel suo procedere in ogni tempo contro corrente, tra mille riserve, diffidenze e ostilità, al massimo talora la precaria e ambigua solidarietà di qualche temporaneo compagno di strada, incapace per lo più di reggere a lungo il ritmo del suo passo."
N. Sapegno, "Prefazione," Catalogo Generale dei Dipinti di Renato Guttuso,a cura di Enrico Crispolti, Vol I. Giorgio Mondadori e Associati, Milano, 1983
È un periodo che procede a fasi alterne oscillando tra la foga narrativa, ancora segnata fortemente dal Postcubismo, rilevabile nei dipinti, del ciclo di Scilla (Scilla è la località marina calabrese dove l’artista, con altri amici pittori, si reca a dipingere nelle estati dal ‘49 al’ 51, alla ricerca di una convergenza tra vero e poetico. Un tuffo in una realtà incontaminata, quasi omerica), come il Piccolo tuffatore, 1949, alle grandi tele dal forte contenuto sociale fino ai quadri di "storia." Alle lotte contadine per l’assegnazione della terra, dedica Occupazione delle Terre incolte in Sicilia, 1949/50, dipinto dalla grande vivacità cromatica nel quale la definizione tipologica dei singoli braccianti, e delle loro famiglie si compone in una marcia verso la speranza. Nella Battaglia di Ponte dell’Ammiraglio, 1952, un quadro di storia, rievoca il momento di riscatto risorgimentale fondendo le sue memorie familiari - il nonno garibaldino - nella memoria popolare e nell’attualizzazione dell’azione. La composizione viene particolarmente apprezzata da Argan, critico pur avverso alle posizioni dei realisti. "Dal punto di vista della storia della pittura il quadro [La Battaglia di Ponte dell’Ammiraglio] di Guttuso rappresenta una conquista assai importante: per la prima volta una grande composizione è impostata sulla continuità di un ritmo di movimento invece che sulla simmetria architettonica delle figure e dei gruppi, e la sua unità è affidata allo sviluppo di un tema coloristico (il rosso appunto)."
G. C. Argan," Battaglia garibaldina", Patria indipendente, a. I, n.9, 29 Giugno 1952
La zolfara, 1953, costituisce una profonda variazione nella rappresentazione di un tema che, come l’Occupazione delle terre, rappresenta una realtà di terribile dramma lavorativo. Nel gorgo sotterraneo che, come un girone infernale, avvolge gli zolfatari, "…le masse sulfuree dello scavo, dentro la loro impassibile sostanza terrestre, sembrano possedere una strana qualità organica, quasi che amaramente fossero mescolate con la fatica e la strage degli uomini. In un modo che ricorda le rappresentazioni mitiche della lotta tra l’uomo e i mostri naturali…"
Elsa Morante "Guttuso", VII Quadriennale Nazionale d’Arte di Roma, Palazzo delle Esposizioni, De Luca, Roma, novembre 1955 - aprile 1956
L’attenzione dell’artista ai fenomeni di massa, alla realtà sociale in trasformazione non è limitata alle lotte sociali ma anche a rappresentarne i desideri, le speranze che spesso si traducono in veri e propri riti collettivi, come Ballo popolare, 1945, le nuove danze come il Boogie Woogie, 1952, o le prime vacanze collettive al mare, la Spiaggia,1955. 
È importante notare che le riflessioni teoriche dell’artista sempre molto impegnato a motivare le scelte realiste, soprattutto in un periodo nel quale le contrapposizioni artistiche si caricano di forti componenti ideologiche, sono talvolta meno interessanti, appesantite appunto dalla intenzione dimostrativa. Non riescono soprattutto a restituire, come invece era successo per gli scritti teorici degli anni Trenta e Quaranta, la febbrile ricerca pittorica che guida l’artista nella sperimentazione di nuove espressioni, attraverso le quali può penetrare il profondo significato del reale. Più interessanti sono invece le riflessioni compiute sull’opera degli altri artisti, Picasso, Cezanne, Caravaggio, Courbet, attraverso le quali Guttuso rivela la sua più intima realtà poetica. Artisti ai quali, per penetrarne più a fondo la poetica, dedica una serie di omaggi in forma di ‘copie d’artista’, come Donna con le calze bianche, 1935, da Courbet, Ritratto di Boyer da Cezanne, 1936.
"Ho sempre pensato che eseguire delle copie di opere di artisti del passato, o contemporanei, serva a rendere concreto il rapporto visuale ( contemplativo ed astratto) ad entrare nel meccanismo operativo di un altro artista e a dialogare con il suo processo… Ho sentito il bisogno di capire, copiando, i maestri sino dall’adolescenza. Ho copiato i Picasso del 1909-1910, i "giocatori di carte" di Cezanne, il " bagno Turco" di Ingres ecc."
R. Guttuso, Colloquio con i maestri , datato 5 luglio 1980, in Archivi Guttuso, pubblicato nel catalogo della mostra dal titolo Renato Guttuso "colloquio con i maestri" tenutasi alla Galleria Bergamini, Diarte, Milano, dicembre 1980 - Gennaio 1981
È interessante rileggere quanto aveva scritto nel ’39, parlando di Cezanne, sul rapporto tra un pittore e i classici : "I critici suoi contemporanei non riuscivano a comprendere a che servisse, a Cezanne, l’andare al Louvre tutti i pomeriggi se poi continuava imperterrito a disegnare sbagliato. E invece è stato il primo pittore moderno a capire i classici. Il suo famoso voler rifare ‘Poussin sur nature’ quale significato assume allorchè si sia compreso, che era in un sistema creativo che egli penetrava e di questo si giovava come esperienza al momento che sul motivo percepiva la sua "sensazione" di pittore-uomo moderno. …la grandezza di Cezanne sta in questa sua disperata volontà di esprimere la sua vita.
Il suo disagio umano importava, Cezanne capiva che il suo contatto col mondo era una condizione nuova e al Louvre cercava qualche cosa che lo aiutasse a spiegare questa nuova condizione." (R. Guttuso, " Appunti", Il Selvaggio, a. XVI, n. 9-10, Roma, 30 Novembre 1939)
In un testo su Courbet l’artista, parlando del maestro francese, ci svela la sua profonda convinzione, quasi parlasse di se stesso: "…la sua pittura è il segno di una umanità completa, in cui le idee e il fare sono una cosa sola. Non c’è bisogno infatti di ‘volere’ esprimere idee, di ‘incollarle sulla tela’. È al contrario necessario essere in una situazione di verità e di libertà di fronte alle cose stesse, sentirsi parte di esse. Solo in questo caso le idee emergono dalle cose, dalla densità e dalla semplicità con cui sono raffigurate." (R. Guttuuso, "Per Courbet", in Renato Guttuso. Mestiere di pittore scritti sull'arte e la società, De Donato, Bari, 1972)
Roberto Longhi, "il solo critico d’arte che ci permetteva di vedere gli antichi con occhio contemporaneo", come l’artista amava ricordarlo, è il più attento a cogliere in Guttuso la capacità di intrattenere un autentico dialogo con la tradizione pittorica "… non mancasti di ampliare il tuo dialogo sulla tradizione per così giungere ad una sintassi più snodata …" (R. Longhi,"Lettera per la mostra di Guttuso a New York,1958," Paragone, a.IX, n101,Sansoni editore, maggio 1958, Firenze), individuando il filo continuo del riferimento guttusiano non solo ai pittori più vicini nel tempo "… tu hai preferito restringere il dialogo a pochi antenati, tutti moderni di diritto, che da Goya a Gericault a Daumier a Delacroix aggredirono a loro rischio e pericolo discorsi e problemi di vita ancor oggi apertissimi e non punto risolti," ma anche a quelli più antichi: " Né l’intenzione del tuo dialogo si fa in essenza diversa quando, più recentemente, lasciando i temi più spiegatamente populisti per quello direi, "interclassista", della " Spiaggia" (uno dei quadri più ambiziosi, ma anche più coraggiosamente meditati, della pittura moderna, dopo "La Grande Jatte" di Seurat, ) fai persino qualche cenno d’intesa verso l’antico Signorelli protocubista di Orvieto o con la volta di Michelangelo…". Longhi coglie appieno la vitalità dell’artista, la sua continua capacità di rinnovarsi coniando la famosa definizione: "Un pittore di ‘vita’ come tu sei suole infatti lasciare nella memoria dello spettatore, purché disposto al consentimento, quasi una rappresentazione continua e svariante del suo essere". La spiaggia, 1955, attrae lo spettatore, annullandone la distanza col quadro, e risucchiandolo come attraverso un obiettivo cinematografico in un groviglio di corpi dai colori accesi. Il colore diventa la chiave di lettura di questa immensa tela, un colore urlato, a tratti dissonante ma in grado di darci perfettamente il senso della congestione, del rumore. Appunto attraverso i colori noi possiamo sentire le urla della gente che corre, si scavalca, ebbra della nuova conquista sociale. Al centro, in alto, dove convergono le tensioni dei singoli gruppi, c’è Picasso in pantaloncini (forse uno di quegli improbabili indumenti che gli forniva il sarto Sapone), che con le braccia distese brandisce un telo verde, forse più una muleta che un telo di spugna. Presenza simbolica amplificata da donne che corrono e bambini che fanno le capriole, personaggi tratti da suoi quadri, quasi un corteo d’onore al grande pittore spagnolo.
L’attenzione sempre prestata da Guttuso alla vita degli uomini, vero fulcro della sua poetica, lo attira fin dagli anni Quaranta a misurarsi con la scenografia. Il teatro, l’arte che racconta gli ‘uomini insieme’, costituisce per l’artista una passione fortissima, ineludibile a cui si dedica con un impegno tale da costituire, soprattutto per la scenografia musicale, una vera e propria attività parallela, come ho documentato nel volume Guttuso e il teatro musicale (Guttuso e il teatro musicale, , Charta, Milano, 1999, catalogo della mostra, a cura di F. Carapezza Guttuso, Teatro Massimo, Palermo, novembre 1997 - febbraio 1998, Teatro Valli, Reggio Emilia,ottobre 1998-dicembre 1998, Thèâtre des Italiens, Parigi Maggio - Giugno 2000).
La complessa elaborazione delle scene per Guttuso, coerentemente con la sua poetica, era funzionale ad un idea della scenografia estremamente forte che lui stesso così esprimeva: "La scena è la realizzazione di un’idea espressiva della realtà senza riserve estetizzanti a beneficio della massima chiarezza ed efficacia visiva. La scena si deve vedere. Una scenografia che non si fa notare è sempre una brutta scenografia. Io sono contro le scene di gusto, più inespressive che riservate". Nei diversi studi romani, da quello di piazza Melozzo da Forlì a via Pompeo Magno, da via Cavour a Palazzo del Grillo, ultimo studio e ora sede degli Archivi Guttuso, l’artista ha sempre dimostrato il desiderio di procedere, lentamente ma inesorabilmente, a prendere possesso dello spazio. Le sedie di paglia, le fotografie appuntate sulle pareti, i tavolinetti di legno grezzo, i quadri accatastati, i libri e i giornali, gli oggetti portati da amici e naturalmente i colori, le boccette perennemente aperte, si sedimentano riflettendo la sua presenza, il suo ordine. Questi oggetti, dalla metà degli anni Cinquanta, compaiono nei suoi quadri, inseriti in un reciproco spazio di relazione che è radicalmente nuovo, e che attribuisce agli oggetti, esaltati ed evidenziati da un’intensa materia pittorica, cromaticamente accesa, una luce diversa, la memoria del rapporto con l’artista.
Come nella Pagina di nature morte, 1958, nel Cestello, 1959, o in Damigiana e bottaccino, 1959. Anche i nudi dipinti in questi anni risentono profondamente di questa nuova maniera guttusiana; colti nella loro più riposta essenza, alcuni sembrano immersi nella materia, come Nudo con drappo bianco, 1960. E immersi nella materia sembrano anche i paesaggi Tetti di Roma, 1956 o L’isola di Ortigia a Siracusa, 1957.
‘A me interessa trarre da ciò che vivo giornalmente, l’elemento per dire qualcosa sulla realtà nella quale vivo, che mi circonda,’ affermava l’artista in una conversazione. ‘Dipingi quello che hai davanti, con cui sei in intimità, che conosci bene perché ci stai insieme. Negli oggetti, nelle persone, nelle cose si riflette quello che è il movimento generale della realtà.’ Nella sua nuova maniera è molto attento alle esperienze dell’Informale, movimento con il quale intesse sia negli scritti, fondamentale quello dedicato a Pollock (R. Guttuso, "Pollock dentro la corrente, e fuori, "Saggiatore, Milano, 1962), sia nelle opere un profondo dialogo: "Personalmente può interessarmi oggi… l’esperienza di artisti come De Kooning e de Staël o Morlotti, perché il loro contributo, assieme ad altri, morde nel presente e mi coinvolge".
L’Autobiografia, il ciclo di opere dipinto nel 1966, ci svela i più reconditi luoghi della memoria dell’artista facendoci partecipi di ricordi e fatti rimasti sepolti o occultati talvolta fin dall’infanzia. E che si trasformano in narrazione pittorica. Riemerge così la figura paterna, raffigurata nello svolgimento della sua professione (Il Padre agrimensore, 1966) o ricordata attraverso gli acquerelli che dipingeva, come in Villa Valguarnera guarda tra due golfi, 1966, incastonati all’interno di una nuova ambientazione che unisce padre e figlio. I mostri di Villa Palagonia, Rapimento, 1966, tra i quali giocava da piccolo e l’affascinante bottega del Pittore di carretti, 1966. Non tutti i ricordi appartengono alla Sicilia, riemergono anche momenti romani come L’autoritratto con Mimise, 1966. "Abbandonarsi alla memoria, forzarla, compiacersi in essa è azione vana, almeno in pittura. Inoltre spesso la memoria deforma, raccomoda fino a non contenere più alcuna verità," precisa l’artista, riprendendo la sua ansia di verità già ribadita fin dagli anni Venti. "Bisogna che ‘fatti’ e ‘immagini’ si siano, in qualche modo, trasformati in idee. Sempre che ci si renda conto che un’idea è un oggetto da trattare come tale e perciò percepibile, visibile in ogni sua parte." (R. Guttuso, "Premessa e note alle tavole", in Werner Haftmann, Guttuso: immagini autobiografiche, Toninelli Arte Moderna Editore, Milano, Roma,1971)
L’Autobiografia, tra l’altro, segna la ripresa del rapporto con la critica tedesca e in particolare con Werner Haftmann, che dopo avere dedicato grande attenzione alla pittura dell’artista italiano negli anni Quaranta, non aveva condiviso le sue ulteriori scelte stilistiche: "… davanti a quadri di Guttuso che cercano di enucleare dalla realtà qualcosa di universale e di ‘leggendario’ … sento rivivere tutta la partecipazione di un tempo, poiché ricordo che già nelle sue prime nature morte e nei suoi primi quadri con figure c’era il germe di questa sublimazione della realtà, che suscita appunto il mio entusiasmo." (Werner Haftmann, Guttuso immagini autobiografiche, Toninelli Arte Moderna Editore, Milano, Roma, 1971)
Haftmann ci guida anche nel capire perché sia così importante la memoria in un artista che affonda così fortemente le ragioni della sua pittura nel reale, nella verità. "Allorché Guttuso cercò di tradurre in immagini i suoi ricordi, era inevitabile che al tempo stesso gli si chiarisse il rapporto interiore tra la funzione figurativa del ricordo e la forza dell’immaginazione. Questa consapevolezza gli permise anche di guardare con occhi nuovi oggetti e avvenimenti del mondo circostante. … Con i quadri autobiografici Guttuso ha scoperto un filone nuovo, assai fecondo della sua arte. Infatti anche nei quadri degli anni successivi Guttuso adopera e elabora questo stile simbolico. … Egli ha attinto così a quella meta che fin dall’inizio si era prefissato: divenire il ‘facitore di immagini’ della sua epoca".
E "immagini della sua epoca" sono diventate I Funerali di Togliatti, 1972, la grande liturgia laica con la quale era stato dato l’ultimo saluto al segretario comunista trasfigurata, nel bianco dei suoi partecipanti, sorretto dal rosso delle bandiere, in un’immagine simbolica dal lirismo profondo.
E Il Caffè Greco, 1976, storico luogo di ritrovo della società romana, rivisitato, come appare adesso con i turisti giapponesi e la folla del nostro tempo. Le presenze storiche che lo avevano affollato sono limitate a De Chirico, assunto quasi a nume tutelare dell’antico locale e a Buffalo Bill, il meno compromettente tra i mitici frequentatori del caffè. 
I simboli, le Allegorie, 1979, che si erano manifestate con tutta la loro evidenza nel ciclo omonimo o in Teschio e cravatte, 1979, vera e propria vanitas vanitatum, cedono progressivamente il campo ad una dimensione più interna, più misteriosa ed enigmatica, come ci indica lo stesso artista: "Col tempo, però, mi sono accorto che c’è tutta una parte che non può essere ‘coperta’ dalla pura visione della realtà come essa si presenta e mi sono reso conto che io stesso, nel mio lavoro, con la mia intenzione ‘realista’, (tanto che sto scrivendo un saggio), avevo sempre adombrato, senza accorgermene, un elemento misterioso che sfuggiva alla cronaca, all’osservazione. Ripeto sempre che il mio quadro più metafisico è quello dei Funerali di Togliatti. Da quel quadro in poi io ho continuato ad indagare in questo campo fino alla Tigre che entra nel mio giardino, che non è un’immagine surrealista ma il frutto di una necessità, di un desiderio, di una ‘metafora’ dell’immaginazione e del sentimento…"
L. Liguori, "Intervista-verità in occasione della mostra di Venezia. Guttuso: in arte la realtà non è socialista", Il Tempo, Roma, 4 aprile 1982
La visita della sera, 1980, l’inquietante presenza della tigre, si manifesta, nel misterioso giardino pensile, quando la luce del giorno sta per cedere a quella della notte, in un’atmosfera sospesa che, avvolgendo progressivamente il paesaggio, gli oggetti, le piante rende tutto evanescente, magico e fatale.
È l’ora della Malinconia, la nera compagna con cui da tempo dialoga l’artista che proietta la sua ombra su luoghi familiari - il giardino è quello antistante il suo studio - riempiendoli di oscuri presagi. Il giardino su cui si apre lo studio si rivela come uno spazio sacro, protetto dalle case che si vedono nello sfondo. Uno spazio a cui la scala semicircolare imprime una forma circolare da Hortus conclusus, uno spazio governato da cultura ed arte, dove appunto si trova lo studio del pittore, protetto dalla natura selvaggia, dalle bestie feroci. La tigre lascia senza risposta l’inquietante interrogativo: è lo sconfinamento della natura selvaggia o la metafora dell’addomesticamento delle passioni ferine? Anche in Sera a Velate, 1980, un altro luogo familiare, il piccolo borgo varesino, sede di un altro suo studio, è avvolto da una misteriosa penombra, interrotta dalla luce gialla che proiettano le finestre, segnale di misteriose presenze. Ed è quindi la Melanconia che, come una linfa sotterranea, pervade le opere del Guttuso ultimo, come testimoniano le sue letture – ‘Di recente ho riletto il Dürer di Panowski [Panofsky], gli scritti di William Blake, il saggio di Settis su Giorgione…,’ - il suo rivisitare con insistenza gli antichi maestri, soprattutto del ‘500 tedesco, i significati misteriosi delle sue pitture.
L’allegoria visionaria che emerge in ogni sua composizione, nei grandi formati come nelle nature morte, Bucranio, Mandibola di Pescecane e Drappo Nero Contro il Cielo, 1984, pervade anche i nudi di donna. Il corpo femminile, oggetto di tante sue composizioni, partecipate, sensuali, a volte brutali come nel Grande nudo trasversale, 1962, non trasmette più l’erotismo dell’artista, la sua possessione erotica. È divenuto la metafora dell’erotismo, più guardato che vissuto, sospeso in una atmosfera che comunica qualcosa di tragico, come nei Ginecei o in Donne nello studio di Velate, 1986.
Patrick Waldberg, già dagli anni Settanta, dinanzi al quadro La notte di Gibellina, 1970, aveva affermato che l’artista era un "travesti du rèel".
Per capire appieno la profondità dell’intuizione di Waldberg è opportuno ricordare che in quello stesso anno, il 1970, Guttuso dedica a Giorgio De Chirico un saggio nel quale recupera la pittura del grande maestro affermando: "De Chirico è il solo pittore italiano che, in questo secolo, abbia parlato delle cose senza alienarsi da esse, abbia detto, attraverso le cose, parole nuove agli uomini, oggettivamente anche sul nostro tempo, sia pure presentandolo come un luogo da cui estraniarsi, cose nuove sull’Italia" (R. Guttuso, "De Chirico o della Pittura", Rinascita, n. 43, 30 ottobre 1970).
Guttuso riconosce che in questo paradosso c’è qualcosa di vero: "La immagine non è più in sé e per sé, ma si collega a qualcosa d’altro, non sempre a me stesso esplicito."
G. La Monica, "Pubblico e privato in un’intervista a cuore aperto con Renato Guttuso. È più politico il ritratto di Amendola o il nudo di Paoletta?", L’ora, Palermo, 15 gennaio 1981
Il "pittore di vita" è irresistibilmente attratto, al tramonto della sua esistenza, dalla "vita silente"

Nessun commento: