PITTURA E FUTURO
RICERCHE ACURA DI D. PICCHIOTTI
Molte interpretazioni sono state proposte sull’idea di futuro, quella su cui vale la pena di insistere scaturisce dall’esigenza di valutare come può essere immaginato il domani da parte degli artisti che ne hanno fatto la storia e continuano a sostenere il ruolo del dipingere ininterrottamente, nella misura in cui la realtà del presente lo rende possibile. La maggior parte degli autori invitati a questa edizione del Premio Suzzara ha iniziato l’attività negli anni Cinquanta del secolo scorso, alcuni fin dagli anni Quaranta, altri nella prima metà degli anni Sessanta.
Le identità espressive della pittura italiana sono testimoniate nell’ampia gamma di linguaggi e di
variazioni tematiche che hanno delineato stagione dopo stagione le diverse anime del colore,
come forme di sensibilità libere dai dogmi della rappresentazione tradizionale e, nello stesso
tempo, capaci di riutilizzarne gli aspetti più problematici. Nei vari dibattiti a cui si è assistito negli ultimi vent’anni si è soliti gettare la croce addosso alla pittura per il fatto che il suo ventaglio di stili sembra non essere più in grado di produrre svolte linguistiche, qualcosa di veramente nuovo, differente dai codici esistenti. Il significato di questi autori non sta nel fatto di voler essere innovatori a tutti i costi, di assecondare le trasgressioni del linguaggio come ossessiva
ricerca del nuovo, non a caso la mitologia dell’artista d’avanguardia è poco sentita dai pittori in
questione. Più profonda è la necessità di comunicare il desiderio di affinità elettiva con la pittura
come genesi infinita, più felice è la sensazione di dipingere al di sopra di tutte le forme memorizzate, di sentirsi parte di una genealogia di anime creative la cui unica morale è fare arte senza al cuna alternativa: non sapremo mai che cosa avrebbero potuto fare di diverso.
Questo tipo di approccio ha scatenato una serie di perplessità intorno alla figura del pittore custo-de di una tradizione nella quale egli vive e dipinge e, al tempo stesso, orgoglioso di esibire un
comportamento creativo che progetta il futuro con lo stesso ardore con cui guarda il passato.
Se la pittura è considerata un linguaggio dalle conseguenze prevedibili le sue pratiche e le sue
idee non lo sono affatto, basta considerare le vie aperte verso la sperimentazione delle materie cromatiche. Basta osservare le avventure del segno dentro e fuori i codici figurali delle forme, le lacerazioni e le ricomposizioni della trama pittorica, l’ordine geometrico e la disgregazione dei pigmenti, la metafisica dei colori quotidiani e l’enigma della visione fuori del tempo, i movimenti azzardati del gesto e la costruzione fisica della luce che si espande nel suo infinito rivelarsi.
A voler giocare nel giardino degli stili incontriamo modulazioni geometriche di forme in bilico tra
punti vicini e lontani, rapporti e misure che si perdono nelle vibrazioni del segno. Incontriamo colori che si rincorrono nelle geografie immaginarie della città, allucinazioni che scaturiscono da pa-saggi surreali ed echi di nature perdute dove ombre notturne svaniscono alla luce del mattino.
Si tratta di prefigurazioni della memoria, presagi di un futuro senza destinazione, nodi d’intersezione fantastica, disgregate grafie del tempo quotidiano, precipizi enigmatici dove lo sguardo è affascinato dal mistero della materia dissociata in mille rivoli oppure dispersa da energie che galleggiano nel vuoto, dalla forza imponderabile dei segni che slittano dai percorsi stabiliti. Il repertorio delle forme dipinte equivale agli stili di vita dei pittori, l’orizzonte di questa mostra è al tempo stesso sguardo sulla storia del passato e calibrata messa a punto del presente, in una durata che contiene in sé le tracce del futuro, gli intrecci che sono tanto più vitali quanto più le immagini si assottigliano. Le opere dipinte in questi primi anni del nuovo millennio, sono la memoria viva delle mosse disposte sulla scacchiera del secondo 900, ma sono anche l’attuale rispondenza ad una militanza della pittura che non rinuncia a stare dentro il flusso delle forme possibili. L’aspetto sorprendente è l’entusiasmo che ancora provano questi pittori di lungo corso, il loro desiderio di giocare in modo magistrale con la materia sensuale del colore, come se il tempo dedicato alla pittura non avesse già suscitato sufficienti emozioni, pensieri, riflessioni.
Come se tutto dovesse essere di nuovo sul punto di affiorare dalla logica misteriosa e complessa
che la pittura tiene in sé, dilatando le profondità dell’evento creativo in cui si aprono spiragli im-provvisi, bagliori visionari, ma anche abissi dove l’artista ritrova pensieri più imprevedibili di quelli
che le ragioni della storia contemplano. Per questo il futuro è ciò che della tradizione ha
la forza di sopravvivere, di continuare ad essere energia viva, vera presenza senza menzogne,
estranea all’indolenza dei calcoli linguistici, alla rappresentazione inanimata della comunicazione. Nel caso della pittura il futuro della tradizione è continuare a pensare lo spazio come luogo per possedere il colore, per cercare i fantasmi del segno, per creare equilibri nei movimenti tellurici del sogno, non per sudditanza a principi teorici ma come adesione alla pittura in atto. Il concetto astratto di futuro diventa allora un filtro tangibile per cogliere la qualità della ricerca pittorica nel cammino sempre aperto del colore, i pittori già lo sanno, bisogna che se ne ricordi anche il pubblico, per poter godere di quelle energie non ancora esplorate che sono il fondamento interiore dell’arte di fronte all’universo instabile del visibile.
DI Claudio Cerritelli
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