martedì 18 dicembre 2007

Il linguaggio figurativo di W. Kandinsky

RICERCHE A CURA DI D. PICCHIOTTI


La complessità della figura di Kandinsky è dovuta principalmente all'impossibilità di definire in maniera univoca la sua attività artistica, esercitata nei campi più diversi e attraversata da apparenti contraddizioni. Mistico e insieme scienziato, Kandinsky è un orientale saldamente radicato in Occidente, è "uno dei più grandi rivoluzionari della visione", secondo la definizione di André Breton, ma anche un "Grande Principe dello Spirito" (Joan Mirò). E tuttavia, a dispetto di queste dualità, vi è una profonda coerenza tra la sua opera e la sua riflessione teorica.
Le opinioni di alcuni artisti e critici lo confermano: Kandinsky è "il primo pittore che si è messo coscientemente sulla via della scoperta di un'arte libera da ogni servitù a forme prese a prestito dalla natura che si offre ai nostri occhi, rendendo così visibile l'invisibile. É il primo pittore astratto" (R. Soupault-Niemeyer, Centenaire de Kandinsky. Du cheval au cercle, "XX siècle", n. 27, dicembre 1966, p. 34). Per Piero Dorazio: "egli diviene pittore per imporre forme e colori alla visione del futuro, che è grigia e priva di immagini. È il primo artista nella storia che porta a termine l'integrazione di due mondi lontani: l'Europa e l'Oriente. Egli tenta la sintesi di culture e caratteri inconciliabili. Voilà, il sogno di Alessandro Magno che cambia direzione; ritorna a noi in tenuta di pittore cosmonauta, passando per Irkoutsk, Samarcanda, Bisanzio, Mosca, Monaco e Weimar. Quante lingue parlate, signor Kandinsky? Quante lingue possono convergere verso il medesimo significato, in un'immagine dipinta?" (P. Dorazio, Le créateur du XX siècle, "XX siècle", cit., p. 103).
Al di là dell'accento agiografico di queste rievocazioni - in occasione del centenario della sua nascita - si possono rilevare alcuni elementi interessanti ai fini della nostra analisi.
Che cosa significa infatti definire Kandinsky un "rivoluzionario della visione"? Se la sua rivoluzione pittorica consiste nel tentativo di rendere visibile l'invisibile, quale connessione vi è con la definizione di inventore dell'astrattismo? Perché Kandinsky ha parlato di un suo percorso dall'arte figurativa all'arte concreta? Infine, se egli ha saputo unire in una grande sintesi il mistero della sua patria, l'Oriente, all'Occidente, quale ruolo ha avuto nella genesi dell'astrattismo la tradizione figurativa della pittura di icone?
L'ultimo interrogativo è particolarmente interessante, perché consente di gettare nuova luce sui precedenti. Si tratterà allora di comprendere se è legittimo, e a quali conclusioni conduce, ritenere che una determinata tipologia di immagini, le icone bizantino-slave, possa costituire una delle chiavi di lettura del passaggio di Kandinsky dalla pittura figurativa all'arte astratta.

Storicamente - ne abbiamo una conferma dai testi teorici - il nucleo centrale dello sviluppo verso l'astrattismo si può collocare in una fase ben determinata della vicenda pittorica di Kandinsky, alla quale mi limiterò nella presente analisi.

La complessità dell'evoluzione di Kandinsky ha infatti portato a una periodizzazione, piuttosto convenzionale ma non del tutto arbitraria, della sua opera in tre fasi: la cosiddetta epoca geniale, che corrisponde all'esperienza del Blaue Reiter a Monaco; il periodo costruttivo-geometrico, coincidente con il suo insegnamento al Bauhaus; l'ultima fase parigina, caratterizzata dalle opere più sconcertanti per il loro esotismo, generalmente sottovalutate dalla critica.
Non essendo possibile soffermarsi sulle tre epoche, si è fatto riferimento soltanto alla prima, per due ragioni.
In primo luogo, Kandinsky dipinge in questo periodo la sua prima opera astratta, un acquerello del 1910.
Inoltre egli termina la stesura del suo testo più noto, Lo Spirituale nell'arte, pubblicato con grande successo dall'editore Piper nel 1912, testo che esercita una profonda influenza sull'intera epoca. Kandinsky vi pone le basi teoriche per l'elaborazione di un nuovo linguaggio figurativo - i "mezzi pittorici puri", cioè forma e colore - che troverà compiuta espressione nelle opere dell'epoca geniale.

Un dialogo tra teoria e pratica pittorica sempre perseguito con grande consapevolezza critica, sviluppato durante gli anni di insegnamento fino ad auspicare la futura fondazione di una vera e propria "scienza dell'arte".
Di Francesca Molteni -

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