lunedì 3 dicembre 2007

Il destino nella religione greca

DI VALENTINA FELICI

Il destino nella religione greca
Dietro il termine “destino” si celano il timore e lo sgomento che l'uomo prova
dinanzi all'ignoto. Ciò che non conosciamo ci rende consapevoli dei limiti posti alla
capacità dell'uomo di autodeterminarsi. La riflessione dei greci in merito al rapporto
tra l'uomo e il kosmos è quantomai attuale poiché in ogni epoca gli uomini si sono
interrogati sulla loro condizione di esseri mortali.
Nella concezione religiosa greca il mondo appare organizzato secondo una
struttura ordinata, caratterizzata da una sua finalità. All'uomo, tuttavia, non è dato di
conoscere il corso degli eventi e, pertanto, di influenzare lo svolgimento degli
accadimenti naturali. Ciò significa che non è possibile riportare le vicissitudini umane
a cause razionali; il destino è, dunque, il simbolo dell'imprevedibile, dell'irrazionale.
A questo punto si manifesta l'esigenza di fornire un volto, seppure simbolico,
all'irrazionale. Presso la religione greca possiamo riscontrare la divinizzazione di tutte
le forze della natura; allo stesso modo anche il destino viene per così dire
personificato, celandosi dietro un'immagine misteriosa. Il destino, a differenza delle
altre divinità tipicamente antropomorfe, non ha una connotazione ben definita ma
assume peculiarità molteplici, proprio come è mutevole e varia la sua natura.
Sono numerose anche le sfumature lessicali dei termini che in greco
corrispondono alle parole: “caso”, “sorte”, “fortuna” e simili. Nei poemi omerici il
destino è indicato con il termine “Moira”, il cui significato letterale è “parte” vale a
dire la parte di vita, di felicità, di sfortuna che è assegnata all'uomo. Accanto all'idea
di una Moira universale si prospetta, a partire dai poemi omerici, l'immagine di tre
Moire sorelle: Atropos, Clotho e Lachesi. Il mito, se così si può chiamare, delle Moire
diventa la rappresentazione dello scorrere incessante del tempo, che lentamente
consuma la vita dell'uomo. Atropos significa l'“inesorabile” (alla stessa area
semantica appartengono l'aggettivo atropos, atropon che vuol dire “non arato” e in
generale “ciò che non si può volgere, piegare all'indietro perciò eterno, immutabile” e
il sostantivo atropia “inflessibilità, rigore”); Clothò è la “filatrice” (le moire, infatti,
www.chaosekosmos.it ISSN 1827-0468
2
per ogni mortale regolavano la durata della vita dalla nascita alla morte con l'aiuto di
un filo che una filava, la seconda avvolgeva e la terza tagliava allorché la vita
corrispondente era terminata); Lachesis significa per l'appunto “destino, sorte” – da
notare la corrispondenza con lache che vuol dire “parte, porzione, posto”. L'impulso
greco a foggiare la vita secondo una misura umana, porta ad indicare una parte del
divenire cosmico come una “moira” che viene assegnata ad ogni singolo uomo. Di
fronte agli dei, di fronte al destino l'uomo greco avverte la sua inadeguatezza ma,
nonostante ciò, continua a seguire quell'impulso ad autodeterminarsi. Gli uomini non
sono mai considerati marionette guidate da un destino cieco o da una divinità
capricciosa.
Un altro termine usato dai greci per indicare il destino è Ananke, che significa
“necessità, costringimento” (deriva dalla radice indo-europea *anek ): il destino è
inteso come necessaria legge di natura, forza maggiore che diventa il mezzo per
costringere ed opprimere l'uomo. Tuttavia la parola più comune per indicare il fato e
la sorte è Tyche. Questo termine è una vox media come il corrispettivo latino Fortuna,
vale a dire che non ha di per sé valore positivo o negativo ma tali interpretazioni sono
dettate dal contesto in cui agisce. La Tyche indica uno status, una condizione;
rappresenta, per l'appunto, la sorte fortuita, accidentale, imprevedibile. Le sfumature,
cui si presta l'interpretazione della Tyche, sono molteplici: se da un lato la Tyche si
rivela irrazionale e mutevole, dall'altro spesso coincide con l'ineluttabilità espressa
dal termine “ananke”. Il termine Tyche è passato poi ad indicare la Fortuna in senso
astratto ovvero il Caso divinizzato, spesso personificato da una divinità femminile. La
Tyche, sconosciuta ai poemi omerici, in seguito ha assunto grande importanza fino
all'età romana. Non possiede mito poiché è solamente un'astrazione, talvolta
assimilata ad altre divinità come Iside oppure implicata in forme di sincretismo
religioso come nel caso di Isityche, simbolo di potenza (metà Provvidenza e metà
Caso) alla quale è sottomesso il mondo. Ogni polis ha la sua tyche che
iconograficamente è rappresentata incoronata da torri come le divinità poliadi oppure
cieca. Tutto ciò è puro gioco di simboli e non appartiene alla mitologia propriamente
detta1.

Nessun commento: