LA RAPPRESENTAZIONE ATTRAVERSO IL COLORE: L'ESPRESSIONISMO
RICERCHE A CURA DI D. PICCHIOTTI
«Un solo grido d'angoscia sale dal nostro tempo. Anche l'arte urla nelle tenebre, chiama soccorso, invoca lo spirito: è l'espressionismo... L'occhio dell'impressionista sente soltanto, non parla; accoglie la domanda, non risponde. Invece degli occhi gli impressionisti hanno due paia di orecchi, ma non hanno bocca... Ed ecco l'espressionista riaprire all'uomo la bocca. Fin troppo ha ascoltato tacendo, l'uomo: ora vuole che lo spirito risponda». Così scriveva Hermann Bahr nel 1916, nel libro che si intitola appunto Espressionismo.
In poche righe Bahr, con una prosa essa stessa espressionista, indicava le caratteristiche del movimento: una volontà esasperata di comunicazione, di espressione, che si vale del colore, della linea, del tema stesso della composizione. Contrariamente all'impressionismo, che si proponeva di elaborare i dati della natura, l'espressionismo accentuò prevalentemente il ruolo del soggetto, le sue emozioni, la sua interiorità. Contrariamente al simbolismo, non voleva alludere, accennare, ma esprimere compiutamente, anzi urlare le proprie verità.
La parola espressionismo ha origini poco chiare. Alcuni la attribuiscono a Julien-Auguste Hervé, che chiamò expressionisme alcuni suoi quadri naturalistici esposti nel 1901 a Parigi, altri al critico Vauxcelles, che l'avrebbe usata parlando di Matisse, altri ancora al gallerista Paul Cassirer, che di fronte a un quadro di Pechstein avrebbe detto che non si trattava più di impressionismo, ma di espressionismo. In ogni caso il termine divenne di uso comune intorno al 1911.
I precedenti dell'espressionismo si possono ritrovare nella pittura drammatica, carica di problematiche esistenziali e nello stesso tempo affidata alla violenza del colore, di Van Gogh, di Gauguin, di Ensor, di Lautrec e soprattutto di Munch, che nel 1902 espone a Berlino più di 70 opere. Anche il diffondersi della scultura negra e primitiva, la cui "moda" stava soppiantando quella giapponese cara all'Art Nouveau, aveva contribuito a suggerire un'espressione decisa e diretta, che avesse l'immediatezza comunicativa della deformazione e il fascino, grottesco e aggressivo, di un'estetica antirinascimentale.
La lettura di Nietzsche, del teatro tragico di Strindberg e di Wedekind, l'attenzione ai valori dell'emozione e dell'istinto contrapposti alla miopia della ragione e del positivismo, la critica alla civiltà europea e alla società borghese in nome di un ritorno a un'umanità primigenia e libera sono alcuni degli elementi che concorsero a creare il clima espressionista. Un clima che si diffuse dagli inizi del secolo soprattutto in Germania, ma che trovò paralleli in Francia, Austria, Belgio e, più episodicamente, in ogni paese europeo.
Cronologicamente il primo gruppo espressionista è quello francese dei fauves, che espose a Parigi al Salon d'Automne nel 1905. È allora che il critico Vauxcelles, scorgendo una scultura tradizionale in mezzo alle opere di Matisse, Marquet, Van Dongen, Dufy, Derain, Friesz, Braque, Manguin, Vlaminck pare abbia esclamato: «Ecco Donatello fra le belve!» ( = fauves). Il colore acceso, paragonato dagli artisti stessi a un "tubetto di dinamite", il rifiuto delle leggi prospettiche, del volume e del chiaroscuro tradizionali, l'utopia di una natura febbrile e pulsante, luogo dell'istinto e della felicità (La gioia di vivere si intitola un quadro di Matisse) sono i principali aspetti espressionistici comuni ai fauves.
Nello stesso 1905 si formò a Dresda il gruppo del Ponte (Die Brücke), di cui facevano parte Kirchner, Bleyl, Schmidt-Rottluff, Heckel e successivamente Nolde, Pechstein e altri artisti. «Animati dalla fede nel progresso, in una nuova generazione di creatori e di spettatori, noi ci appelliamo a tutta la gioventù, e come la gioventù che è portatrice dell'avvenire vogliamo portare la libertà di agire e di vivere di fronte alle vecchie forze tanto apprezzate. Sono con noi tutti quelli che riproducono con immediatezza ciò che li spinge a creare» scrive Ernst Ludwig Kirchner nel 1906.
Rispetto ai francesi, con cui pure dimostravano affinità e punti di contatto, i pittori tedeschi rivelavano una derivazione romantica che si sarebbe sviluppata in senso più accentuatamente tragico e talvolta mistico. Più profonda, inoltre, era l'attenzione per le tecniche grafiche, che permettevano una linearità angolosa e tormentata, con forti contrasti tra luce e ombra, considerata come una ripresa della tradizione popolare germanica.
Il fauvismo si esaurì presto, intorno al 1907. Più ampia fu la parabola della Brücke, che si trasferì nel 1911 a Berlino (e a questo spostamento geografico corrisponde uno spostamento tematico: alla natura si sostituiscono soggetti ispirati all'uomo, alle città, alle strade, al paesaggio urbano, al circo e al varietà, alla solitudine della metropoli) e che si sarebbe sciolta verso il 1913.
Altri artisti comunque manifestarono poetiche parallele a quelle dei due gruppi. In Austria si possono considerare espressioniste le opere tarde di Klimt e, più propriamente, quelle di Schiele e Kokoschka. A questi vanno accostati altri gruppi espressionisti, tra cui sono compresi il gruppo monacense del Cavaliere azzurro (Der blaue Reiter) nel cui ambito nacque l'astrattismo, il Novembergruppe, un sodalizio di artisti e di architetti che si costituì nella Repubblica di Weimar nel primo dopoguerra, il dadaismo di Berlino o di Dresda.
Tra il 1920 e il 1924 inoltre, sempre in Germania, prese vita il movimento della cosiddetta Nuova Oggettività: si trattò di un gruppo composito che, pur potendo essere considerato espressionista per la violenza di molti suoi esiti, unì a un'aspra denuncia sociale (soprattutto in artisti come Beckmann, Grosz, Dix, Käthe Kollwitz) una dimensione più freddamente analitica.
Va comunque tenuto presente che l'espressionismo, più che un movimento, fu un clima, una forma di linguaggio che accentuava il valore emotivo della comunicazione. E dunque in molti casi più che di "espressionismo" bisognerebbe parlare di "aspetti espressionistici" di un artista.
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