Il cammino dell'anima " Gli Etruschi"
di Romolo Rossi
( Tomba François, Vulci. Il sacrificio dei prigionieri Troiani in onore di Patroclo.)
Secondo la credenza dei popoli delle antiche civiltà mediterranee agli esseri umani non apparteneva un solo io ma un insieme di tre differenti entità: il corpo fisico, la sua ombra e il demone Ka o doppio.
Al momento della morte avveniva la separazione.
Il corpo si dissolveva e veniva riassorbito dalla madre terra, mentre la parte spirituale, l’anima, rimaneva in attesa di rinascere, ma solo dopo aver bevuto alla fonte dell’oblio l’acqua che cancellava i ricordi. Coloro che riuscivano a trascendere la propria “ombra” potevano accedere ad una vita immortale come gli Dei, gli Eroi e gli Iniziati. Per gli altri era inconsapevole immettersi nel ciclo di vita e morte come ignare “ombre” che avevano già vissuto.
L’ombra era la componente sviluppatasi durante l’esistenza, la sintesi del pensare e dei ricordi, attaccata fortemente alle bellezze terrene.
Il Demone Ka o Doppio era composto dai Lares e Manes. Il Lare era il ceppo originario della famiglia la cui sede era collocata nel sottosuolo, il Lare era anche la somma di tutti gli antenati. Il Mane era doppio, raffigurato in quelle statuine con la faccia avanti e dietro, uno buono ed uno cattivo condizionavano l’esistenza in vita di ciascun individuo.
Il problema per l’anima era di distaccarsi dalla propria ombra, lares e manes compresi, duri da abbandonare in quanto erano i legami creatisi in vita ed iniziare il cammino per l’eternità. Gli oggetti funerari che venivano posti all’interno di una tomba non erano per il corpo del definito ma per la propria ombra, la quale era fortemente attratta dalle cose terrene di bellezze materiali. Gli Etruschi non erano così sciocchi da credere che il corpo dopo la morte potesse tornare a vivere. L’ombra attratta e distratta dalle bellezze terrene allentava la presa sull’anima, la quale “liberata”, iniziava il suo lungo viaggio ultraterreno verso l’immortalità.
Oscura e problematica questa ombra aveva un ruolo determinante per il destino e l’evoluzione dell’anima. I colorati e preziosi affreschi parietali delle tombe non erano destinati certo al buio eterno, in quanto nessun occhio mortale avrebbe potuto vederli ed ammirarli. Gli affreschi come i raffinati oggetti funebri avevano una valenza magico-spirituale, servivano cioè a distrarre l’ombra che tendeva a soffermarsi sulle immagini che riproducevano il suo ambiente naturale, i ricordi.
I cunicoli, i labirinti magici od altro ricavati dietro le tombe erano ugualmente altre possibilità in più per l’anima di sfuggire alla propria ombra.
Conseguenza di ciò fu la costruzione di monumentali tombe in città dei morti realizzati secondo schemi urbanistici di concezione magica.
Al disotto nel sottosuolo, dove vivevano le anime degli antenati al cospetto degli Dei della terra era posto il sepolcro. Al di sopra rivolto verso il cielo si innalzava il monumento coronato sulla parte più alta al centro da un cippo di natura generalmente conica e appuntita che al pari di un’antenna aveva il compito di ricevere le onde, le energie e gli influssi positivi provenienti dal cielo e incanalarli nel sepolcro nel sottosuolo per unirli alle emanazioni della madre terra in energia vitale utile all’anima.
Sepolture di questo tipo erano molto costose, si può quindi giustamente supporre che solo i ricchi potessero avere tombe di questo livello, per gli altri spesso solo un’urna cineraria, le sepolture chiamate oggi a “cassettone”, o dispersione delle ceneri al vento in attesa di rinascere ricchi.
Le necropoli erano molto frequentate, vi si svolgevano feste, rituali, musiche e danze. Vi si celebravano vita e morte in un enigmatico viaggio terreno-divino, dove il sacro e il mistico erano onorati in vita con tanta arte e scienze spirituali.
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