Terrore e miseria del Terzo Reich "BERTOLT BRECHT E LA POESIA DELL'IMPEGNO"
RICERCHE ACURA DI D. PICCHIOTTI
(liberamente tratto da testi vari)
LA VITA
Bertold Brecht (il nome sarà trasformato in Bertolt all'epoca del sodalizio con Arnolt Bronnen) nasce il 10 febbraio 1898 ad Augusta, in Germania, da una famiglia della recente borghesia. Dal 1919 scrive critiche teatrali per il giornale socialista Ausburger Volkswille e nello stesso anno si avvicina al movimento spartachista. La sua prima commedia di successo è Trommeln in der Nacht [Tamburi nella notte], scritta nel 1920 e rappresentata a Monaco nel 1922; nel 1927 esce la prima raccolta di poesie, Hauspostille [Libro di devozioni domestiche] e Brecht matura la conversione al marxismo. Nel periodo 1929-32 scrive vari drammi didattici, in cui si propone di diffondere il materialismo dialettico, di contribuire a rovesciare il regime, di "trasformare" anziché di interpretare la realtà. Si lega al partito comunista, benché non vi sia iscritto. Dopo l'incendio del Reichstag (27 febbraio 1933), lascia la Germania nazista con la famiglia; in maggio i suoi libri vengono bruciati. Dal 1933 al 1947 risiede in esilio in Danimarca, Svezia, Finlandia, Unione Sovietica e Stati Uniti. Del 1935 è Furcht und Elend des dritten Reichs [Terrore e miseria del Terzo Reich], nel 1939 scrive Mutter Courage und ihre Kinder [Madre Courage e i suoi figli] e compone la raccolta delle sue maggiori liriche, Svendborger Gedichte [Poesie di Svendborg]. Nel 1940 inizia la stesura di Der aufhaltsame Aufstieg des Arturo Ui [La resistibile ascesa di Arturo Ui] e nel 1947 viene rappresentata senza successo la seconda versione di Leben des Galilei [Vita di Galileo]. Il 30 ottobre 1947 compare davanti al "Comitato per le attività antiamericane"; ottenuto il visto lascia gli Stati Uniti e si stabilisce in Svizzera, poi nel 1948 giunge a Berlino Est attraverso la Cecoslovacchia (gli è rifiutato il passaggio attraverso la Germania Federale). Nel 1949 fonda il "Berliner Ensemble", che diverrà una delle più importanti compagnie teatrali, e fino alla morte si dedica soprattutto all'attività di regista. Da tempo malato, muore il 14 agosto 1956 per un infarto cardiaco.
LA PRODUZIONE POETICA
La produzione poetica di Brecht è vasta ma assai disordinata: in parte non raccolta in volume, in parte intrecciata alla struttura dei drammi teatrali, entro i quali trovano posto non di rado canzoni in versi. D'altra parte la poesia doveva essere, nelle intenzioni dell'autore, un utensile, uno strumento di azione e di insegnamento, un momento dunque tutt'altro che assoluto e supremo dell'attività intellettuale.
Dalla poesia brechtiana è esclusa la figura dell'io quale centro emotivo del discorso: l'io, quando esiste, è esso stesso parte in causa e oggetto di riflessione e di analisi. Manca inoltre ogni effetto di scoperta del mondo nell'atto della scrittura: i versi si misurano piuttosto con la dura esistenza della realtà, prendendovi posizione con nettezza. In questo modo vengono meno due dei caratteri fondamentali della struttura lirica della tradizione moderna. Quanto al linguaggio, l'interesse brechtiano non è mai per la suggestione analogica, per la raffinatezza retorico-formale, per lo scontro tra significante e significato; possono esservi giochi di parole, ma la lingua non è mai oggetto di interesse in se stessa: al contrario, la lingua è asservita a un fine pratico di conoscenza, di dimostrazione e di persuasione. La parzialità è il punto d'onore della lirica brechtiana, ma, essendo escluso ogni privilegio soggettivo, si tratta di una parzialità fondata su valori non personali ma politici e ideologici. Da questo punto di vista ben si mostra la connessione organica tra posizioni di poetica e posizioni ideologiche, che per Brecht significano adesione alla prospettiva marxista della lotta di classe: la poesia è al servizio di questa parzialità di classe.
I temi brechtiani prendono spesso spunto dalla cronaca, soprattutto la più comune e bassa, con un gusto anche del grottesco e del macabro e della deformazione di marca espressionistica. Gli episodi di cronaca assumono un rilievo allegorico grazie al caricamento di senso che il poeta s'incarica di compiere, generalmente in modo del tutto esplicito e dichiarato. A volte a essere soggetto dei testi sono direttamente le grandi questioni storico-politiche che riguardano il presente, come la vittoria del nazismo e la scelta della guerra; in questi casi la posizione dell'autore, identificata con quella di classe del proletariato, è fatta risaltare o per mezzo del contrasto ironico o attraverso l'impiego di tecniche epigrammatiche di grande efficacia, senza escludere tuttavia la possibilità dell'apostrofe e dell'invettiva.
Brecht dunque ha operato una vera e propria inversione di tendenza rispetto agli orientamenti otto-novecenteschi. Alle suggestioni dell'ineffabile e alla dilatazione semantica della parola ha sostituito la concretezza del linguaggio preciso e, come è stato detto, «oltraggiosamente prosastico», all'ansia dell'ignoto il rapporto con concrete situazioni storico-sociali, alle disperazioni solipsistiche il dovere per il poeta di assumere nel suo lavoro precise responsabilità sociali, all'evasione dalla realtà i concreti interrogativi sulla realtà. Moltissime delle sue canzoni, songs, ballate e liriche sono state musicate da Kurt Weil.
IL TEATRO
In ambito teatrale, Brecht inizialmente sperimenta una forma di teatro didattico, volta troppo esclusivamente alla dimostrazione e all'insegnamento dell'ideologia marxista. L'impegno dell'autore è rivolto a calare una tesi, una diagnosi della società in una vicenda esemplare, in una sorta di "racconto filosofico", a renderla in termini si direbbe geometrici, impegnando lo spettatore ad un dibattito di idee, a uno scontro di tesi opposte, e appellandosi alla sua ragione. Si tratta certo di una grossa novità nella storia del teatro e nello stesso tempo di un caso limite: il troppo drastico impegno politico, o addirittura partitico, soffocava o eliminava lo specifico teatrale. A rendersene conto è lo stesso Brecht, che nella produzione posteriore mirerà a conciliare la componente rigorosamente pedagogica con le ragioni dell'arte e con la funzione di divertimento che egli ritiene essenziale al teatro.
E così, a partire dalla fine degli anni Trenta, Brecht elaborerà quell'originale forma di teatro che definirà "epico" e nella quale darà le sue prove più alte. Il termine epico va inteso in senso aristotelico: sintetizza cioè le caratteristiche proprie di una narrazione di vicende (epos) che non è soggetta a quelle leggi di unità di tempo, di luogo e di azione essenziali invece - secondo l'estetica classica - per il dramma, per l'opera teatrale. Con la sua idea di "epico" Brecht cioè intende opporsi alla concezione che del teatro si è avuta per tradizione. I canoni di questa forma teatrale sono lo sviluppo di quella concezione anti-romantica dell'arte già elaborata da Brecht . Egli infatti da un lato considera il recupero della ragione, l'intelligenza e lo spirito critico non solo come componenti essenziali del prodotto artistico, ma anche come mezzi e strumenti fondamentali per la sua fruizione; dall'altro, di conseguenza, si batte per eliminare nel rapporto rappresentazione-spettatori ogni immedesimazione passionale, ogni rapimento, ogni rinuncia alla lucida consapevolezza critica. Di una folla di spettatori ammaliati dalle grandi passioni e dagli sviluppi psicologici che vengono rappresentati sulla scena Brecht non sa che farsene, sono soltanto una materia passiva: la fruizione dello spettacolo si è risolta in un romantico sogno, in ipnotica immedesimazione con l'eroe, in rinuncia alla ragione. Per evitare questo pericolo bisognerà ricorrere ad effetti di straniamento, quali ad esempio: un particolare tipo di recitazione distaccata e oggettiva, l'inserimento di riflessioni e commenti sulla vicenda che si rappresenta (didascalie, scritte, canzoni, cartelli), la rinuncia, da parte dell'autore, a descrivere conflitti psicologici particolarmente coinvolgenti, l'adozione di scene quasi staccate l'una dall'altra, di momenti della vicenda in sé conclusi, allo scopo di evitare qualsiasi tensione emotiva.
Il teatro "epico" rappresenta il superamento di quello espressionista, volto a turbare lo spettatore. Il teatro epico vuole provocare non emozioni ma ragionamenti; non si propone di suscitare suggestioni ma di agitare argomenti, intende favorire non l'immedesimazione ma il giudizio critico, costringendo lo spettatore a decisioni di carattere morale e politico e a una visione generale della storia.
Terrore e miseria del Terzo Reich
Terrore e miseria del Terzo Reich occupa una posizione alquanto anomala rispetto alle restanti opere del teatro di Brecht, perché deliberatamente composta seguendo i canoni della drammatica "aristotelica", quella cioè che si basa sull'effetto di "immedesimazione" anziché sul diametralmente opposto effetto di "straniamento", cardine del teatro epico. Tale scostamento dai principi fondamentali della sua concezione del teatro era giustificato da Brecht con la necessità di valersi di qualsiasi mezzo, anche obsoleto e "antiscientifico", pur di rafforzare il fronte dell'opposizione antifascista. Così come Lenin aveva detto che si sarebbe alleato anche col diavolo pur di far trionfare la rivoluzione, l'esule Brecht non disdegnò di portare sulla scena personaggi, situazioni e vicende più consone al teatro borghese dell'epoca, purché servissero a rinfocolare nei pubblici di tutto il mondo l'odio per il nazismo.
24 scene, è il sottotitolo del testo. Solo nell'ultima, che è facile oggi definire retorica, in cui un'anziana operaia berlinese legge a due compagni l'estremo messaggio di un proletario dal carcere, mentre fuori sulla strada tuona l'atroce giubilo popolare per il trionfo dell'Anschluss, sale un monito di fermezza; ma è una voce isolata. Tutte le ventitre scene precedenti non sono che documenti di disfatta. Le più sono a carattere di flash, di rapidi scorci con effetti luministici di varia intensità (feroci, agghiaccianti, squallidi), le altre più diffuse e discorsive, a volte perfino verbose, come si conviene alla borghesia medio-piccola nelle sue varie sfaccettature sociologiche, che è lo strato sociale qui predominante. Intellettuali, scienziati, medici, giudici come operai qualificati, bottegai, domestici, soldati: la paura contagia tutti, colpisce ovunque.
Si nota la comparsa di un nuovo elemento che può sconcertare, rispetto al gruppo, immediatamente anteriore, dei "drammi didattici": un certo "ammorbidimento" ideologico, una tendenza a sottrarsi ai lumi della dottrina per addentrarsi piuttosto fra le ombre del presente. E da questo momento inizia pure quella tendenza antiortodossa nell'opera brechtiana dall'esilio in poi, rispetto alle teorie sul teatro epico. Fu la guerra a determinare questa linea di frattura, o almeno di titubanza teorica: essa causò all'intellettuale marxista degli anni Venti angosce e sofferenze, ma elevò ed arricchì la sua arte.
La resistibile ascesa di Arturo Ui
«La resistibile ascesa di Arturo Ui, scritta nel 1941 in Finlandia, è un tentativo di spiegare al mondo capitalistico l'ascesa di Hitler situandola in un ambiente ad esso familiare [...] ». Così Brecht voleva presentare l'Ui in un quaderno dei suoi Versuche. La pubblicazione della commedia avvenne invece solo dopo la morte di Brecht, senza che questi avesse proceduto alla revisione definitiva del testo.
Siamo di fronte a un'opera che riunisce i motivi fondamentali della drammaturgia brechtiana. C'è anzitutto l'elemento didattico. L'Ui è la trasposizione della storia dell'avvento del nazismo nel mondo dei gangster onde mettere in guardia i paesi capitalistici contro il gangsterismo politico fascista, il cui trionfo, come ammonisce il titolo, non è affatto irresistibile, bensì «resistibile». Anche se non ci fossero i cartelli che puntualmente danno il riferimento storico dell'allegoria, questa sarebbe quanto mai trasparente già dai nomi. Salvo quello di Ui, i nomi dei personaggi principali sono corruzioni italo-americane o anglosassoni dei nomi dei protagonisti della storia nazista: Emanuele Giri è Hermann Göring, Giuseppe Givola Joseph Goebbels, Ernesto Roma Ernst Röhm, Ignazio Dullfeet è il cancelliere austriaco Engelbert Dollfuss (Fuss = foot = piede), Dogsborough il presidente del Reich Hindenburg (Hund = dog = cane). Chicago è la Germania, Cicero l'Austria. Il trust dei cavolfiori sta al posto degli industriali e degli Junker che hanno aiutato Hitler a conquistare il potere.
Questa allegorizzazione indica che, se l'elemento didattico è presente, non lo è però in forma immediata come nei "drammi didattici", bensì nella forma di "dramma parabolico". Anziché attinta ad antiche leggende, la parabola è questa volta attinta a un ambito reale e attuale (il gangsterismo), ma lo scopo è sempre quello di dare un'immagine semplificata, evidente, delle complesse leggi che governano il mondo e la società. Il fatto che questo tentativo si applichi a una materia storica, che le leggi non siano prese in astratto ma in una serie di avvenimenti reali, ha dato adito a molte facili critiche, in quanto il confronto tra la realtà e la parabola fa saltare agli occhi l'insufficienza della semplificazione implicita in quest'ultima. È indubbio che la riduzione di un processo storico al gangsterismo deve coglierne solo alcuni momenti. Nel quadro della parabola non è possibile introdurre tutta la varietà dei rapporti sociali, perché questi possono incrociarsi e manifestarsi almeno per accenni solo in psicologie più ricche di quelle necessariamente un po' rigide dei personaggi parabolici. Non dunque molti problemi, ma uno solo sviluppato fino in fondo. Nell'Ui la riduzione degli uomini politici a gangster e delle classi dirigenti a commercianti, se certo non esaurisce la genesi del fascismo, ne coglie un aspetto fondamentale, sicché si può concordare con Brecht quando afferma di aver conseguito quanto si era proposto: combattere l'ammirazione per i grandi massacratori.
L'Ui, insieme alle migliori scene di Terrore e miseria del Terzo Reich, costituisce uno dei pochissimi tentativi di dare forma drammatica all'esperienza del nazismo che siano artisticamente riusciti e possano quindi ancora ammonire gli uomini, come suggerisce l'epilogo, che «il grembo da cui nacque è ancor fecondo».
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