mercoledì 5 dicembre 2007

IL REALISMO MAGICO TRA SALMAN RUSHDIE , ISABEL ALLENDE E GABRIEL GARCIA MARQUEZ

Di Marina Vagnini

Il termine “realismo magico” fu coniato per la prima volta dal critico tedesco Franz Roh negli anni ’20 per designare il realismo insolito del movimento pittorico post-espressionista tedesco. In seguito il “Magischer Realismus” non si limitò più solamente a descrivere questa corrente, ma si allargò fino ad arrivare a caratterizzare quasi totalmente l’ambito letterario americano di lingua spagnola.
Occorre precisare innanzitutto che il Realismo Magico consta di due fasi distinte: una prima sviluppatasi all’inizio degli anni ’20 in Europa e caratterizzante principalmente la pittura, e una seconda sviluppatasi invece intorno agli anni ’60 principalmente in America Latina e riguardante soprattutto l’ambito narrativo. Come si può notare il termine Realismo Magico designa due fenomeni che,pur avendo una radice comune, riguardano differenti ambiti diacronici, geografici e soprattutto di genere.
Come dice la parola stessa,quella del “Realismo Magico” è una poetica che si situa a metà strada tra l’elemento magico, surrealista e la rappresentazione realista. L’intento principale di questa corrente artistico-letteraria è la descrizione meticolosa, precisa della realtà,che non tralascia alcun dettaglio, ma consegue un effetto di “straniamento” attraverso l’uso di elementi magici( a volte anche uno solo) che sono descritti altrettanto realisticamente.
A volte infatti,leggendo romanzi che possono essere ricondotti a questa corrente, si resta inizialmente stupiti, incantati e increduli di fronte alla quasi assurdità del fenomeno magico descritto ma, poi, a mano a mano che l’autore aumenta i particolari realistici e incrementa la loro meticolosità, si incomincia a credere realmente in questi fenomeni, che da assurdi e impossibili diventano reali e incredibilmente belli perché carichi di sfondo magico.
Alcuni critici non considerano il Realismo Magico come una corrente vera e propria, quanto come una sottocategoria del Postmodernismo; altri la considerano come un “prolungamento” in campo letterario del Surrealismo ed altri ancora come accomunabile ai romanzi fantasy. Ma c’è da dire innanzitutto che, a differenza dei surrealisti, i realisti magici non cercano di scoprire e di descrivere ciò che è oltre,superiore al “reale”, ma descrivono il mondo reale stesso come dotato di meravigliosi aspetti inerenti ad esso.
Inoltre, i romanzi di fantascienza descrivono un mondo alternativo, mentre il Realismo Magico descrive una realtà a cui qualcuno crede.
Per quanto riguarda il Postmodernismo invece, bisogna dire che il Realismo Magico ha molto in comune con questo: innanzitutto la coesistenza di più linguaggi, il cosiddetto “meticciato linguistico”, poi il multiculturalismo e soprattutto il revisionismo storico.
La volontà di riscrittura del passato accomuna un po’ quasi tutti i romanzi postmoderni e nasce da precisi bisogni e situazioni. Si riscrive la storia per prima cosa perché oramai è stato detto tutto,non c’è più niente da dire, e a questo “retelling” è associata la rimessa in gioco dei vecchi generi letterari, resa disponibile dalla “malleabilità” del romanzo come genere letterario che permette l’utilizzo di qualsiasi genere. A questo proposito si può guardare al postmoderno come ad una “retroguardia” e, nonostante il suo nome indichi una posteriorità al modernismo, i suoi esponenti “tornano indietro”, vanno prima del modernismo, poiché ormai tutte le innovazioni sono state usate dai modernisti.
In secondo luogo si rinarra la storia per cercare nel passato ciò che manca nel presente: c’è un clima di sfiducia diffuso nei confronti del presente, dovuto ai traumi della Seconda Guerra Mondiale. La storia perde credibilità e quindi la si rinarra per cercare di conferirle nuovamente fiducia.
Inoltre, e questo riguarda soprattutto gli autori cosiddetti “postcoloniali”, si rinarra la storia per analizzare gli eventi storici dal punto di vista dei popoli colonizzati e non più da quello dei popoli colonizzatori. Per gli autori postcoloniali questo è un tentativo di “emancipazione”, di liberazione dall’enorme fardello ideologico che i popoli colonizzatori hanno loro addossato, questi autori vogliono finalmente dire la loro su ciò che li ha sempre riguardati da vicino ma su cui non hanno mai avuto il pieno controllo: la storia del loro paese.
A volte questi autori mettono in atto vere e proprie critiche verso eventi storici particolari (come Isabel Allende critica il totalitarismo conservatore in Cile o Salman Ruhdie il dominio inglese in India) ma lo fanno usando elementi magici, fantastici per, come dire, “alleviare” la loro ribellione.

• I. ALLENDE, G. MARQUEZ, S. RUSHDIE
Questi tre autori sono i rappresentanti per eccellenza del Realismo Magico, rispettivamente per il Cile, per la Colombia e per l’India.
Ognuno di questi tre approccia diversamente l’intento narrativo, tuttavia, nelle loro opere, ci sono certe somiglianze che li possono accomunare.
Isabel Allende, nipote del tristemente famoso Salvador Allende, scrisse il suo primo libro “La casa degli spiriti” nel 1982.
Questo romanzo ripercorre la storia del Cile dal 1818,anno dell’indipendenza dalla Spagna, al 1973, anno del golpe di Pinochet, attraverso le vicende di una famiglia: i Del Valle-Trueba.
I membri di questa famiglia e, in particolar modo Clara, la secondogenita dei Del Valle, sono dotati del magico dono della chiaroveggenza che li porta a prevedere anche e purtroppo cose terribili, come la morte della primogenita Maria, la rivoluzione e il golpe e la prigionia di Alba.
Inoltre, ogni protagonista femminile della famiglia rappresenta un preciso “tassello della storia” che, messo insieme a quelli degli altri componenti della famiglia forma un mosaico di storia familiare ma anche di storia di un paese: il Cile. Quasi ogni membro della famiglia infatti rappresenta un preciso istante storico: Estéban Truéba inpersonifica il latifondista conservatore che maltratta i suoi “sudditi” e reprime ogni loro tentativo di rivoluzione; Pedro Secondo Garcìa è il socialista che arringa i contadini e Alba è la studentessa universitaria fautrice di moti popolari.
Infine, caratteristica di questo romanzo è la volontà delle sue protagoniste femminili de scrivere la loro storia per non perdere la memoria storica e per non lasciarsi alienare dalla vita, per continuare quindi a vivere in quell’aura di magico che ha sempre caratterizzato le loro vicende.
Questo “scrivere la storia” è in un certo senso anche salvifico; basti pensare ad Alba che, durante la sua prigionia, viene salvata dallo spirito della nonna Clara che le impone di lavorare col cervello per scrivere quella storia nella sua mente. In questo romanzo il “magico” gioca un ruolo fondamentale, poiché è solo la fantasia, insieme alla scrittura, che permette di continuare a vivere.
Gabriel Garcìa Marquez pubblicò “Cent’anni di solitudine” nel 1967. Questo libro, così come “La casa degli spiriti” ha fatto per il Cile, ripercorre la storia della Colombia seguendo le vicende di una famiglia, i Buendia, attraverso sei generazioni.
Anche questo romanzo è molto simile a quello dell’Allende, anche se si dovrebbe precisare che è l’Allende che ha tratto spunto da Marquez, poiché lui scrive negli anni ’60-’70 mentre lei negli anni ’80. Marquez si può considerare come il capostipite del Realismo Magico per l’America Latina; infatti il suo “Real Meravilloso” è molto marcato, al limite dell’assurdo e mostra un microcosmo in cui la linea di demarcazione fra vivi e morti non è poi così nitida, contribuendo a “congelare” la vicenda, a isolarla da tutto il resto.
La realtà che Marquez descrive è una realtà composita, multiculturale, in cui l’elemento spagnolo e quello portoghese si fondano, si “creolizzano” ( come dice Eduard Glissant in “La poetica del diverso) e dove personaggi ed eventi seguono itinerari circolari in un tempo “congelato”. Il tema principale dell’opera è quindi la ripetitività, la continuità del tempo nel susseguirsi delle generazioni; lo stesso tema che caratterizza il romanzo dell’Allende.
Anche né “I figli della mezzanotte” di Salman Rushdie,pubblicato nel 1981, si possono riscontrare alcuni dei tratti che caratterizzano gli altri due romanzi sopra analizzati. Per prima cosa la necessità sentita dal protagonista,Saleem Sinai,di riscrivere la storia dell’India per “recuperare” un’identità nazionale di cui per lunghi anni si sono appropriati gli inglesi e l’hanno plasmata secondo i loro fini. Ma Saleem vuole riscrivere la storia anche e soprattutto perché teme l’assurdità, perché è conscio di essere prossimo alla fine e vuole quindi dare un senso alla propria vita.
Ma non solo, essendo egli nato allo scoccare della mezzanotte del 15 agosto 1947, nel preciso istante della proclamazione dell’indipendenza dall’Inghilterra, si è trovato “misteriosamente ammanettato alla storia e il suo destino indissolubilmente legato a quello del suo paese. Nei tre decenni successivi non avrei avuto scampo” (capitolo 1, “Il lenzuolo perforato”) e si sente quindi in dovere di dedicare la propria vita al compito della preservazione della memoria, sia personale che nazionale, come egli afferma nel terzo capitolo “Centrar la Sputacchiera” : “io dedico la vita al grande lavoro della preservazione. La memoria, come la frutta, viene in tal modo salvata dall’azione corruttiva del tempo…il passato è gocciolato in me…e quindi noi non possiamo ignorarlo”.
Saleem mette in atto una “chutneyfication” della storia, costruisce una storia in salamoia in cui paragona ogni capitolo della sua vita, e del libro, ad un chutney (sorta di budino) e ognuno di questi chutney ha sapore, colore e odore diversi. Della sua storia in salamoia il lettore avverte solamente il gusto, alterato dalle spezie aggiunte da Saleem; con questo Rushdie vuol dirci che non conosceremo mai attraverso la vista, senso peraltro “declassato” in questo romanzo a favore dell’olfatto e dell’udito, cioè non sapremo mai come è andata esattamente la storia, ma ne sentiremo il gusto alterato dall’inaffidabilità e soggettività del narratore e la conosceremo a piccole dosi attraverso “un lenzuolo perforato”, motivo che accompagna tutto il romanzo e metafora della visione iperlimitata che lo contraddistingue.
In ultimo Rushdie si rifà a Marquez e all’Allende anche per il loro modo di mettere in pratica il Realismo Magico. Ma Rushdie, differentemente, ama cambiare i “piani magici”,cioè i diversi livelli di magia che caratterizzano il romanzo, in pratica trasforma il reale nel fantastico(usando per esempio un semplice cassone del bucato come “attrezzo” capace di conferire a chi vi entra il magico dono della telepatia olfattiva) e il fantastico nel reale(quando per esempio descrive i poteri surreali della foresta del Sundarbans come reali e,anzi,ne dichiara perfettamente la verità “usandoli” come baluardo per il verificarsi di fatti storici) mentre negli altri due scrittori prima analizzati questo processo è meno evidente.
Tuttavia, anche Saleem, così come Clara in “La casa degli spiriti”, è dotato di un potere magico che gli è stato conferito grazie al suo indissolubile legame con la storia: la telepatia. Egli è infatti capace di comunicare con gli altri mille bambini della mezzanotte ma, quando a causa di un’operazione al naso questo dono gli viene meno, Saleem verrà dotato di un fiuto eccezionale che gli permette di fiutare anche le sensazioni, le emozioni delle persone e gli accadimenti futuri.
Ampliando ulteriormente il confronto fra i tre scrittori, ne esce che Rushdie è sicuramente quello che ha legato più di tutti gli altri lo houmor al Realismo Magico. Certo, anche Isabel Allende è in un certo senso “comica”, però il suo non è tanto umorismo, quanto sarcasmo, perché le sue “battute” sono sempre velate da un senso di malinconia latente. E’ come se la scrittrice cercasse di mascherare attraverso questo modo di scrittura il suo disappunto verso gli accadimenti del suo paese, e lo fa sostanzialmente perché non vuole che i suoi romanzi siano raccolti sotto l’etichetta “drammatico”, in quanto questi sono spontanei, viscerali, come afferma lei stessa nella sua semi-biografia “Paula”.
“La casa degli spiriti” non è nato da una vera e propria volontà di scrivere un romanzo, ma dalla propensione dell’autrice a raccogliere i propri pensieri, le proprie opinioni sulla realtà che la circonda e dalla sua fantasia che la portava a “mettere in scena” i suoi familiari, conoscenti in un palcoscenico fantastico, magico.
Invece, “Cent’anni di solitudine” è il romanzo sicuramente meno comico di tutti: infatti, come detto sopra, tutto è “congelato” in un tempo e in un luogo immutabili, eterni, e il modo in cui Marquez descrive le vicende del romanzo è molto distaccato, quasi “estraniato”, come se fosse lui stesso coinvolto in quest’atmosfera rarefatta e osservasse i personaggi dall’alto. Si può altresì affermare che Marquez non è coinvolto emotivamente nel raccontare, nello scrivere, cosa che non si riscontra in Rushdie e nell’Allende.

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