sabato 14 luglio 2007

"Ombre"
di Gabriella Baptist


In onore di Bernhard Waldenfels*skias onar anthropos
“Der Schatten Traum, sind Menschen”
Pindaro, VIII Ode pitica, 95
Traduzione in tedesco di F. Hölderlin
 

Alcuni motivi filosofici sono forse così poco appariscenti, da non riuscire a gettare neanche una pur pallida ombra al loro passaggio, quasi intendano somigliare a quelle superfici helmoltziane che sembrano non avere alcuna idea delle profondità di cui pure sono proiezioni[1]. Quell’“ombra” carica di suggestioni platoneggianti, da illustrare magari attraverso un’analitica della percezione di impostazione empiristica, radicata nella migliore tradizione di una filosofia della riflessione ed addirittura connotata in senso fenomenologico ed ermeneutico, si incontra in realtà appena nei dizionari filosofici, e a malapena qualcuno si accorge di questa assenza e di quanto essa nasconda[2].
Il termine italiano ‘ombra’ deriva dal latino ‘umbra’, proveniente a sua volta da più antiche espressioni che dicono la cecità e la tenebra, imparentate con il sanscrito ed il vedico e testimonianti una comune origine di area indo-iranica. Più vicino al greco ‘skotos’ e ‘skias’ è il tedesco ‘Schatten’ e l’inglese ‘shadow’ o ‘shade’. Tutte le lingue mostrano una grande ricchezza di variazioni sul tema dell’ombra e giocano volentieri con questa immagine. Le ombre si proiettano, si gettano, si spandono, si diffondono, per poi dileguare. Le ombre possono offrire ristoro ed essere simboli di calma e di quiete, ma anche risultare fantasmagoriche, se non addirittura inquietanti e spettrali, rimandando all’illusione, alla simulazione, all’inganno, alla falsità, se non addirittura all’oblio ed alla morte. Si può vivere nell’ombra e decidere di rimanervi, si può essere l’ombra di qualcun altro ed addirittura diventare l’ombra di se stessi. Si può mettere in ombra qualcuno, ci si può involare come un’ombra, si può correre dietro alle ombre, inseguirle o dar loro corpo. Il pavido teme addirittura la propria ombra, non così il pugile che si allena con l’ombra, prendendosi a pugni senza alcuna conseguenza. Nessuno riuscirà mai a rincorrere la propria ombra e a catturarla, non va meglio per chi invece la perde, come sanno bene le popolazioni dell’equatore nei mezzogiorni assolati degli equinozi estivi, allorché diventa fisicamente impossibile trovare rifugio all’ombra di un qualche campanile. Le ombre cinesi possono offrire distrazione, ma l’intrattenimento è finito se le ombre diventano eterne. Un governo ombra potrà magari risolvere un’impasse politica pur senza tramare nell’ombra, ma difficilmente si troverà chi espressamente chiederà la cittadinanza di un fantomatico regno delle ombre, tanto più se il re sarà, paganamente, Plutarco, oppure, cristianamente, Satana, quel diavolo a cui appunto si vende l’anima che è nell’ombra, perdendosi così definitivamente nella dannazione. Nessuna rivelazione riuscirà mai a cancellare del tutto l’ombra del mistero, d’altro canto esiste anche una certezza senza alcuna ombra di dubbio a tormentare, anche se l’ombra del sospetto potrà comunque incrinare la fede e la fedeltà più salde. Un corruccio, un tormento, una delusione si esprimeranno come un’ombra sul volto, in uno sguardo si potrà riconoscere un’ombra di tristezza, in un sorriso un’ombra di malizia. Giochi di luce e d’ombra sono comunque in genere sempre apprezzati: grazie al punto d’ombra della meridiana si ha l’ora esatta, col punto ombra si orla invece la biancheria più pregiata, la mezz’ombra è gradita alle signore, la penombra agli amanti, il cono d’ombra di un’eclisse è ormai un intrattenimento collettivo che si insegue nelle operazioni massmediatiche attente agli indici di ascolto, il popolo dei telefonini, che pure evita in genere le zone d’ombra, potrà usarle talvolta come scusante provvidenziale. Gettare un’ombra su fasti e splendori li ridimensiona, aiutandoci a vedere nella realtà le sue luci, sì, ma anche le sue ombre. Una strada ombrosa sarà di certo amena e gradevole, soprattutto d’estate, ma non suscettibile come un carattere ombroso, né schiva come una persona umbratile. Si può finire col mantenere solo un’ombra di autorità, non avere più l’ombra di un quattrino, aggiungere al sugo un’ombra di sale, adombrarsi per un nonnulla, aprire un ombrello, aggiustarsi l’ombretto.
Da sempre l’arte si è confrontata con il tema dell’ombra. A dare retta al mito che ne racconta l’origine, la pittura sarebbe addirittura nata dal tentativo di fissare l’immagine dell’uomo disegnando i contorni della sua ombra[3]. Ombre hanno profondamente condizionato l’arte e la sua storia, sia quando ne sono state bandite, per esempio nella scelta della posizione frontale per i santi — la cui solarità non tollera macchia né ombra per definizione —, oppure nell’esaltazione del trionfo di tutto ciò che è mondano[4]. In letteratura il tema dell’ombra è altrettanto vitale, dall’antichità di un Archippo o Luciano, attraverso il medioevo di un Dante, fino all’epoca classica o romantica di un Wieland o di un Chamisso e poi a seguire fino al presente di un Dürrenmatt: come accettazione di ciò che è umano in tutta la sua eccellenza, ma anche in tutta la sua bassezza, come gioco surreale della fantasia con le ossessioni dell’estraneo e dell’inquietante, come simbolo di una sutura tra mondo naturale e mondo spirituale[5]. Volendo approntare una ricerca bibliografica con sussidi elettronici cercando ai lemmi ‘ombra’, ‘shadow’, ‘Schatten’, ‘ombre’, ecc., si sarà presto sommersi da centinaia di titoli: a quanto pare romanzi rosa e gialli, racconti dell’orrore e thriller a sfondo psicologico, poesie di principianti e letterati della domenica, pubblicazioni memorialistiche ed autobiografiche, manuali esoterici ed occultistici, ma anche cataloghi di esposizioni e libri d’arte rinunciano malvolentieri alla ricca metaforica dell’ombra[6].
Si dovrà dire per questo che le ombre sono soltanto oscure espressioni di visionari concettualmente miopi, indici piuttosto di annebbiamento che non di chiarezza? Dovrebbe forse il filosofo non occuparsene affatto, lasciando il problema piuttosto al mitologo, allo psicologo, al critico letterario o allo storico dell’arte? Hegel, che certamente non era un genio romantico avido di nebbie, umori, vapori e crepuscoli, nel presentare il suo sistema della logica come mondo di semplici essenze, liberate da ogni contingenza, arbitrarietà e concrezione sensibile, lo caratterizza come un “regno delle ombre”, il cui studio permette “l’assoluta educazione e disciplina della coscienza”, dando espressione all’“assoluto-vero”! Persino in Nietzsche non si può separare l’ombra dal raggio di sole della conoscenza!
All’interno della riflessione filosofica il tema dell’ombra ha in genere rilevanza soprattutto epistemologica o estetica, ma è spesso anche straordinariamente carico di pregnanza metafisica e, per il suo spessore, può essere collocato sullo stesso piano di argomenti quali la problematica del segno, della rappresentazione, della parvenza o della traccia. La capacità differenziatrice della percezione o la fedeltà del tratteggio mimetico si esprimono nella maniera migliore proprio attraverso la simbologia dell’ombra. Spesso inoltre il tema dell’incarnazione sensibile della verità si serve precisamente di quelle stesse suggestioni che nell’ombra rimandano anche ad una prefigurazione della morte.
Il mito platonico della caverna nel settimo libro della Politeia sta certamente all’inizio di ogni riflessione filosofica sull’ombra e senza alcun dubbio ha influenzato profondamente non solo la storia della filosofia, che può dirsi davvero, e non solo per modo di dire, collocata appunto nello spazio investito dalla sua ombra[9]. In quel contesto le ombre siglano sia l’autoinganno dei prigionieri, che in proposito organizzano addirittura scommesse e giochi senza senso, sia anche il processo liberatorio dell’uscita dalla caverna e l’ascesa pedagogica dalle ombre delle cose al sole del vero e del bene: ombre della menzogna da un lato, ombre della verità dall’altro[10]. Anche a partire da metafore platoneggianti Giordano Bruno tratteggia una logica (o addirittura, ante litteram, un’ermeneutica) della fantasia e dell’immagine, giacché alle rappresentazioni — grazie alle quali opera la memoria e che sono considerate ombre delle idee — si attribuisce una funzione teoretica in ambito conoscitivo, prefigurando così una teoria del simbolo e della coscienza non concettuale. In An Essay Concerning Human Understanding Locke cerca, tra l’altro, di proporrre una teoria della percezione visiva; un problema è, per esempio, il fatto che la tridimensionalità del mondo sia percepita nella bidimensionalità delle immagini che si formano sulla retina: in effetti vediamo semplicemente un cerchio piatto, variamente colorato ed ombreggiato secondo una certa regolarità, eppure lo interpretiamo senz’altro come una sfera. Il problema sollevato da un’obiezione di Molineux, se cioè un cieco nato che all’improvviso riuscisse a vedere possa distinguere una sfera da un cubo senza tastarli, continuerà in seguito ad essere discusso a partire da diversi punti di vista, per esempio da Leibniz, Berkeley, Voltaire, Condillac o Diderot: l’ombra, come un qualcosa di solamente visibile, è proprio ciò che fa la differenza!
Anche a partire da un’ontologia regionale della cosa stessa Husserl cerca il filo conduttore per l’analisi intenzionale dell’io della percezione anche a partire da adombramenti (“Abschattungen”) prospettivanti ed orientanti, che sono da distinguere attentamente da ciò che è il realmente adombrato (“Abgeschattetes”). La radicalizzazione della fenomenologia da parte di Heidegger anche nel senso di un’analisi dell’esserci sottolinea dell’ombra in particolare la gettatezza, e non a caso proprio Hölderlin sarà chiamato in causa. Certamente nella questione dell’adombramento resta riconoscibile quel retroterra problematico che ha a che fare con l’apparizione o la riproduzione della verità e dell’essere: eidos ed eidolon continuano a rimandare ai poli estremi di una discesa e di un’ascesa. Letteralmente nell’ombra di Husserl, Merleau-Ponty problematizza l’impensato del suo pensiero, che rimanda all’incarnazione dello spirito e ad un risvolto dell’essere che resiste alla costituzione, per esempio alla terra stessa, sulla quale in fin dei conti si proietta l’ombra e che sostiene segretamente, come uno strato nascosto, sia l’idealizzazione che l’oggettivazione. Questo suolo riconquistato e terrestre rappresenta ora lo sfondo sul quale si può mettere in scena una trasformazione, radicalizzazione, differenziazione ed ampliamento della ragione. 
“Moitié ombre, moitié lumière: c’est l’éclairage des planètes. Une moitié du monde repose, l’autre travaille. Mais, de toute cette moitié qui songe, émane une force mystérieuse”. 
J. Cocteau,

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