“Nell'Islàm nulla conta l'uomo, sia pure il suo Profeta, di fronte alla assoluta sovranità eterna di Dio, al quale egli deve darsi, abbandonarsi
“Nell'Islàm nulla conta l'uomo, sia pure il suo Profeta, di fronte alla assoluta sovranità eterna di Dio, al quale egli deve darsi, abbandonarsi. Assoluta è la distanza abissale fra Dio e uomo. Dio è il Signore, l'uomo lo schiavo. In questa religione Dio è liberissimo ed arbitrario. Accanto a questa adogmaticità assoluta, vi sono soltanto semplici istruzioni normative e organizzative per questo mondo. Il sistema appare semplice ed adatto al primitivo ambiente sedentario, o beduino che fosse, d'Arabia: un elementare sistema di tassazione, una preghiera canonica da ripetere con facili gesti rituali cinque volte al giorno, assenza di sacerdozio, di sacramenti e di veri e propri templi, ma anche facilmente corrompibile di fronte alle nuove esigenze venute con l'incontrollata e riuscita espansione islamica dalla Spagna all'India in soli 100 anni dalla morte del suo profeta” Alla base della cultura degli arabi si trova un sostrato semitico. La forma mentis degli arabi, modificata dai contatti con gli ambienti circostanti ebraico, cristiano, gnostico ecc., fu fissata nel Corano da Maometto. La forma di pensiero prettamente semitica si contrappone a quella occidentale nelle sue diverse manifestazioni. Essa è caratterizzata dall'associazione degli opposti, a volte anche dei simili, mentre quella occidentale è segnata dalla gradazione, dal passaggio successivo, senza salti bruschi, da uno stadio di pensiero ad un altro. Il parallelismo ebraico, la paremiologia (=studio dei proverbi) ebraica ed araba sono espressioni di questa forma mentis. Il ragionamento semitico, piuttosto che di deduzione, è fatto di giustapposizione ovvero contrapposizione, di diversi aspetti dell'oggetto: sono assenti da esso le sfumature. L'avvento dell'Islàm ha per così dire canonizzato tale atteggiamento: contrasto fra Dio e le creature, fra questo mondo e l'aldilà, fra l'uomo e la donna, fra il principe e il popolo. Nello stato islamico, senza gerarchia né ingranaggi, i governatori, investiti per la semplice volontà del califfo, potevano ad ogni momento cadere in disgrazia; così essi erano gelosi della loro autorità sommamente instabile, fino a contrapporla spesso a quella del califfo, ciò che dava luogo a frequenti rivolte e spiega in parte la mancanza di continuità e l'incessante frantumarsi dell'impero islamico. Maometto, uomo d'azione in primo luogo, pieno dell'idea dell'unità del popolo arabo sotto un Dio unico, era poco incline alle sottigliezze speculative. Soltanto in epoca posteriore la tradizione musulmana (hadith) mise in bocca a lui e a suo genero, il quarto califfo, Ali, motti che riguardano la scienza e persino la filosofia. Appena l'Islàm nascente entrò in contatti con i popoli orientali di una cultura secolare evoluta, provò il bisogno di difendere le sue posizioni.
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