mercoledì 17 ottobre 2007

Secondo Roger Guillemin esiste un rapporto tra arte e scienza

a cura di MEDIAMENTE - RAI EDUCATIONAL
Dal Nobel in medicina
alla pittura multimediale

Lei è un uomo di scienza che ha scelto il mondo dell'arte. Perché?
Ho sempre detto che arrivato a 65 anni avrei dato la chiave dei laboratori ai giovani, proprio perché giovani o magari perché dotati di capacità eccezionali. Sarebbe toccato a loro portare avanti la ricerca. Ed effettivamente dopo aver compiuto i 65 anni, quindi qualche anno fa, ho lasciato la direzione dei laboratori ai miei giovani collaboratori. In quel momento, dato che non avevo più la responsabilità intellettuale del lavoro di laboratorio, mi è venuta l'idea di utilizzare i computer di cui disponevamo. L'idea era di impiegare i programmi che servivano a realizzare grafici di carattere scientifico per creare immagini corrispondenti a qualcosa di artisticamente più definito. All'inizio il lavoro era una cosa estremamente semplice, sia come programmazione che come risultato finale, poi con l'impiego di nuovi supporti logici e software sempre più potenti il lavoro si è complicato. Adesso, per lo più, uso in modo sequenziale due software, uno si chiama Painter 4.0, e poi Adobe Photoshop, per creare immagini, per dipingere nel senso in cui lo intendo oggi.

Che rapporto c'è fra arte e scienza?
E' una questione così complessa e difficile da affrontare in questi termini. Anche agli uomini di scienza più inveterati, se mi si concede l'espressione, capita spesso di parlare di una bella esperienza, di bei risultati, di una bella ipotesi. Esiste dunque un criterio di eleganza, di bellezza, se vogliamo, in ogni sorta di costruzione dello spirito, che non è necessariamente l'equivalente di forme d'arte come la musica o la pittura, ma che corrisponde a strutture e risposte intellettuali proprie del "nocciolo duro" della scienza, per così dire. In effetti, per tornare alla sua domanda, per quanto io sia stato tutta la vita uno scienziato, evidentemente ho sempre provato interesse per l'arte visiva e pittorica: posseggo una collezione di arte precolombiana, di arte australiana, della Nuova Guinea, e dipinti d'arte moderna e contemporanea. Non si deve per forza vivere interamente all'interno dei concetti della scienza quando si è uomini di scienza.

Ma il suo rapportarsi scientificamente alla realtà non dà forse un tono un po' speciale al suo essere artista, legato alla stessa idea del calcolo, della razionalità?
Sì, credo di comprendere la sua domanda. Per quel che ho capito posso rispondere in questo modo: no, niente affatto. Le immagini, la pittura che produco sono essenzialmente parte di quel movimento chiamato "Abstract Expressionism", l'espressionismo astratto degli anni 60. La mia formazione scientifica ha avuto un impatto sulla mia espressione artistica nel momento in cui ho cominciato a concepire l'idea di usare i computer per cose diverse da quelle che facevamo normalmente con la statistica matematica del "Modeling". Tuttavia per quanto concerne l'immagine, le immagini, il mio stile, la mia pittura non vedo alcuna relazione tra la biologia, la scienza di cui mi occupavo e le immagini che produco oggi. Il mio stile, in un certo senso, è in sostanza una variante mia personale di quanto ha prodotto la scuola degli anni Cinquanta-Sessanta, del cosiddetto "Abstract Expressionism". Sono immagini che sorgono nel mio spirito, che trovo nella mia anima, ma che non hanno alcuna origine scientifica o biologica corrispondente a ciò che ho fatto in laboratorio in questi anni.

In che modo il computer e la tecnologia possono alimentare la creatività di un artista?
Questa è una delle ragioni per cui mi interessa far conoscere quello che faccio con il computer, dal punto di vista della pittura. Bisogna dire che non c'è nulla di ciò che si fa al computer che non si possa fare in studio, senza alcun dubbio. Al contrario, quando il pittore ha creato un'immagine nel suo studio e la vuole modificare, cambiare, riprodurre, unire a un'altra, apportare una qualunque modifica, la cosa può richiedere ore, giorni, settimane, mentre con il computer si possono fare quelle stesse modifiche in pochi secondi, e salvare il risultato di volta in volta, ossia a ogni fase, sia che si cambino i colori, sia che si cambino altri elementi, qualunque sia la cosa che si voglia cambiare. Per esempio, due o tre anni fa c'è stata a Parigi una magnifica retrospettiva di Seurat. Con mia grande sorpresa ho visto una serie completa di piccoli quadri, tanti quadretti di venti centimetri per quindici fatti da Seurat, raffiguranti la stessa scena della quale il pittore aveva leggermente cambiato qualche particolare, come i colori, le ombre. Si trattava della famosa immagine del grande bacile, oggi all'Art Institute di Chicago. Seurat aveva realizzato tanti piccoli quadri, forse un centinaio, per ciascuno dei quali avrà certamente dovuto lavorare ore e ore. Questo è esattamente quello faccio io con le mie pitture al computer: quando non sono soddisfatto di quel che vedo sullo schermo creo fino a un centinaio di versioni differenti, ma il punto è che mi ci vogliono pochi secondi per farlo al computer. Dunque, c'è questa grande potenza tecnica della tecnologia elettronica messa al servizio del pittore, per facilitare la realizzazione di quelle stesse fasi che il pittore classico realizza in studio.

Nella sua ricerca artistica lei persegue qualche obiettivo?
In tutta onestà e umiltà, direi di no. Quel che cerco di produrre sono immagini che mi piacciano, che possa far piacere guardare. Non c'è un messaggio politico, né un messaggio strutturale, e neppure un messaggio filosofico in tutta la mia pittura. D'altra parte, resto sempre sorpreso del modo in cui il mondo esterno risponde a queste immagini, alla mia pittura, sia su carta che su tela: come sa, ora si possono "tirare" queste immagini su tela in una maniera straordinaria. La reazione è sempre diversa, ognuno interpreta queste immagini astratte a modo suo.

Secondo lei a proposito delle nuove tecnologie e della loro applicazione all'arte è giusto parlare di rinascimento digitale?
Certamente. Io spesso dico, in tono scherzoso, che se avessi l'occasione di incontrare Leonardo da Vinci, per il prossimo Natale, so che regalo gli farei: un computer Macintosh, e gli regalerei anche un deltaplano che corrisponde a una delle sue invenzioni. Davanti ai miei laboratori, al Salk Institute, c'è una scogliera a picco sull'oceano, dove tutti i giorni vedo deltaplani in volo. Così sarebbero due le cose, una per lui nuova, e l'altra corrispondente a una delle sue idee originali, proprio così.

Ora, lei crede che la forma artistica realizzabile al computer rifletta appropriatamente il mondo e la vita di oggi? In altre parole, la nuova forma d'arte ricercata per mezzo della tecnologia è una rappresentazione valida del mondo moderno?
Non so se sia una rappresentazione valida, ma non vi è dubbio che sia un partecipazione, un modo di partecipare alla nuova civiltà nella quale gran parte delle nostre possibilità sono ormai modulate dall'elettronica. Credo che la cosa veramente importante sia, in questo momento, negli Stati Uniti e spero anche qui in Italia, la possibilità della presenza di computer nelle scuole, fin dalle prime classi, in modo tale che i bambini possano usare tutta la tecnologia attualmente disponibile e creare le loro immagini al computer esattamente come faccio io. A questo riguardo ci sono possibilità tecniche straordinarie che bisogna in verità sviluppare e vedere utilizzate nella vita.

Che tipo di computer adopera per il suo lavoro artistico?
E' tutto Macintosh, solo Macintosh e fin dall'inizio, per tante ragioni. I sistemi operativi sono estremamente logici e semplici e tutti i programmi, tutti i software da me utilizzati, erano destinati originariamente ai sistemi operativi Macintosh, e ancora oggi preferisco lavorare esclusivamente con i sistemi Macintosh.

Crede che in futuro il computer sarà lo strumento più importante per creare l'arte? Il mezzo che potrà diventare come il pennello di oggi?
Non saprei rispondere a questa domanda. Dentro di me non dubito che con i sistemi e i programmi che adopero attualmente ho a disposizione migliaia di pennelli elettronici, esattamente come se avessi un barattolo con migliaia di pennelli "tradizionali". La cosa su cui non ho dubbi nel mio animo è che nell'avvenire l'uso dei computer per il genere di cose che faccio diventerà sempre più diffuso.

Lei utilizza le immagini tridimensionali? Che rapporto ha con i colori?
Non mi avvicino in nessun modo alla realtà virtuale, cui lei ha accennato. So di cosa si tratta, ma è una cosa che non pratico affatto. Per quanto riguarda i colori, la questione è estremamente interessante: la tecnologia attuale ci dà la possibilità di disporre di tutti i colori che il nostro spirito può desiderare in un'immagine, o un dipinto. Questo è importante a livello di ciò che si vede sullo schermo del monitor del computer ma la fase seguente è altrettanto importante, ossia quella delle stampanti. Oggi esistono stampanti estremamente sofisticate, con le quali i tecnici che conoscono bene il loro mestiere possono modulare, modificare il colore che viene stampato, e produrre quelle che si chiamano "prove d'artista". Si possono fare prove con le quali l'artista dice: "no, i rossi non sono come li voglio, no gli arancioni non sono esattamente come li intendo", e i tecnici possono apportare modifiche alla presenza dell'artista, fare delle prove fino a che l'autore possa ritenersi soddisfatto. E' esattamente come in un grande laboratorio di litografia tradizionale, nel quale si svolge il medesimo processo. E anche per le forme e il disegno si possono fare prove, come dicevo prima, usando una matita elettronica che può essere insieme un pennello, una matita, una penna, o altre cose ancora, e la si può modificare. I programmi di oggi assicurano una molteplicità di approccio praticamente illimitata, così che ciò che l'artista vuole e può fare sulla carta, allo stesso modo lo può fare con la tavoletta elettronica, la matita o il pennello elettronico.

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