lunedì 15 ottobre 2007

Che cosa sappiamo della mente, ovvero lo stato dell’arte della neuroscienza.


A cura di arch. Vilma Torselli

Il gioco del cervello
Lo stato dell’arte della neuroscienza
Partiamo da un'ipotesi: Pasquale Laricchia, protagonista della terza edizione del Grande Fratello, non era completamente fuori dalla realtà quando parlava del suo “omino nel cervello”. La mappa somatosensoriale di Penfield risponde in parte a tale ipotesi; infatti esiste una rappresentazione tridimensionale della ricezione degli stimoli del nostro corpo da parte del cervello, localizzata nella corteccia celebrale che viene chiamata appunto “omino di Penfield”. Non stupisca l’accostamento di un reality show a modelli della neuroscienza, perché “Che cosa sappiamo della mente” di Vilayanur S. Ramachandran (tit. or. The emerging mind) è un saggio che offre molti spunti a riflessioni così apparentemente dissonanti.
Nel 2003 l’autore è stato invitato a tenere le Reith Lectures in Gran Bretagna. Nel 1948 Lord Reith volle inaugurare per la BBC un ciclo di conferenze a carattere divulgativo, tenuto annualmente da una personalità di spicco del mondo accademico, e il primo fu Bertrand Russell. Ramachandran è il primo psicologo sperimentale che abbia mai partecipato e dalle sue conferenze nasce questo libro. Come sottolineato da lui stesso nell’introduzione, la scienza è divertente quando ancora non è “professionalizzata”, se ha libertà di domandare e sperimentare perché ancora troppo poco si conosce dell’ambito di studio. La neuroscienza cognitiva e l’obiettivo di correlare fisiologia dell’uomo alla sua sfera psicologica ancora permettono questo gioco della ricerca. E sembra di osservare davvero un bimbo alla scoperta di un mondo magico, mentre si leggono le correlazioni, le teorie e i modelli esposti in modo partecipato dall’autore, considerato uno dei massimi esperti mondiali.
L’approccio che adotta Ramachandran è molto semplice: se partiamo dallo studio delle sindromi e delle disfunzioni più particolari, a volte le più bizzarre e le più trascurate dalla scienza medica perché rare o poco verificabili, se sperimentiamo alcune ipotesi su persone affette da tali problemi forse potremmo ottenere un avanzamento nella comprensione del funzionamento e della struttura del cervello. Ad esempio nel caso degli “arti fantasmi” (la sensazione da parte di persone con arti amputati di “sentire” ancora la parte mancante) con un semplice specchio è stato verificato che si riesce far muovere arti fantasmi con “paralisi apprese” (il paziente sente la parte mancante e la sente impossibilitata a muoversi). Questo induce a pensare che il cervello adulto sia in grado di modellare le proprie reti neurali, se stimolato in modo efficace, ed è un’idea che va contro ogni teoria passata.
Quando viene studiata la “visione cieca” (la percezione di oggetti in movimento nel lato della visione colpito da una lesione che ha reso cieca in senso comune una persona), si comprende che esistono due vie della visione, una arcaica e una più recente, che non necessariamente possono essere lesionate contemporaneamente. Ciò implica che l’oggetto viene percepito ma non visto in modo cosciente. Se si aggiunge che esiste un “potenziale d’azione” che viene attivato alcune frazioni di secondi prima dell’atto di volontà cosciente, allora si arriva ad una delle domande più difficili: cos’è la coscienza? davvero possiamo distinguere tra mente e corpo? oppure sono la medesima cosa “come le due facce di un nastro di Moebius”?
E’ piacevole e affascinante veder scorrere accanto in poche pagine l’isteria e la possibile spiegazione evoluzionistica del libero arbitrio, gli universali estetici dell’arte e il kitsch come “cibo spazzatura visivo” e sullo sfondo si disegna il cervello come macchina per produrre modelli, utili simulazioni virtuali. E’ reso evidente inoltre che l’evoluzione della tecnologia, quindi l’applicazione del pensiero umano stesso, permette di usufruire di strumenti di rilevazione e di test che modificano la valutazione ad esempio della malattia mentale; non a caso Ramachandran parla di una terza via dello studio della malattia mentale, cioè la neuropsichiatria evoluzionista.
Antropologia, sociologia, psicologia, neurologia, filosofia e arte si incrociano e si integrano nelle parole, nelle ipotesi e negli esempi dell’autore, come fili di Arianna che possano condurci nel circonvoluzioni del “grumo di cellule gelatinose all’interno del cranio” di 1500 centimetri cubici che chiamiamo cervello. Non è possibile secondo Ramachandran scindere e analizzare secondo schemi preordinati; ecco allora che nelle note in appendice “Dio non è un ingegnere, ma un hacker” (F. Crick).
Matteo Polizzi

Vilayanur S. Ramachandran 
Che cosa sappiamo della mente 
Edizioni Mondadori
Il cervello umano è la struttura più complessa dell'universo: cento miliardi di neuroni organizzati per scambiarsi informazioni. In 1500 centimetri cubici ferve un'attività capace di produrre un numero di stati mentali superiore al numero di particelle elementari dell'universo conosciuto. L'incredibile ricchezza della vita psichica, tutte le sensazioni, le emozioni, i pensieri, le ambizioni, gli affetti, il sentimento religioso e perfino la coscienza hanno origine da un piccolo grumo di cellule gelatinose all'interno del cranio. La scoperta è recente, se si pensa che per secoli le facoltà mentali sono state attribuite a entità diverse: il cuore, il fegato, la bile, l'anima, l'istinto, l'inconscio. Ma le domande su come funziona la mente, sulla validità delle percezioni e delle sensazioni, del pensiero logico e della coscienza, su quanto rientra nelle nostre scelte e quanto sfugge al controllo, sulle cause e sui fini accompagnano l'intera storia dell'umanità. Che cos'è il libero arbitrio? Che cos'è l'immagine corporea? Che cos'è l'arte? Che relazione c'è fra visione e riconoscimento? Come funziona il linguaggio e da dove viene il pensiero astratto? Fino a poco tempo fa di questi problemi si occupavano i filosofi, mentre oggi è proprio lo studio del cervello a consegnarci i risultati più convincenti. Ho scelto la neurologia, dice Ramachandran, perché è un campo in cui è ancora possibile porsi domande semplici e trovare risposte stupefacenti, in cui è ancora possibile porsi domande curiose su una varietà di temi come le metafore, l'estetica, le associazioni sinestesiche fra colori e numeri, gli arti fantasma, la visione cieca; e infine per un motivo da tutti condiviso: in quanto esseri umani, siamo più interessati a noi stessi che a tutto il resto, e la ricerca neurologica conduce proprio al cuore del problema della nostra identità. In "Che cosa sappiamo della mente, Ramachandran, uno dei massimi esperti di neuroscienza, ci illustra gli ultimi traguardi delle ricerche sul cervello, altrettanti punti di partenza alla scoperta di nuove frontiere. (http://www.ita-bol.com )

Pubblicato il 16/01/2005
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