giovedì 25 ottobre 2007

BODY ART

RICERCHE A CURA DI D. PICCHIOTTI

Il percorso verso l'accettazione di questa forma d'arte è stato tutt'altro che lineare.
Nata alla fine degli anni sessanta dalla ricerca di linguaggi espressivi nuovi, la Body Art si basa su performance, durante le quali gli artisti compiono azioni su se stessi o nello spazio intorno a sé. Il più delle volte si toccano argomenti molto intimi come quello della sessualità, della sfera affettiva e dell'identità. Per questo motivo, e perché spesso il pubblico che partecipava agli incontri rimaneva piuttosto turbato, la Body Art si guadagnò ben presto la nomea di arte trasgressiva ed estrema. "Per molto tempo i collezionisti hanno avuto un certo pudore a esporre in casa le opere acquistate" ricorda il gallerista milanese Luciano Inga Pin che si è occupato di Body Art sin dai suoi esordi "A volte questo avveniva perché si trattava di soggetti cruenti; ma il più delle volte era perché si vergognavano della nudità dei corpi".
La reazione di rifiuto ricorda quella che a suo tempo si era manifestata in occasione dell'esposizione di Le Dejeuner sur l'herbe di Manet. "Era curioso come la gente che voleva partecipare alle performance mi telefonava prima per chiedermi di cosa si trattasse, erano preoccupati" prosegue Inga Pin. "Si aveva da fuori un'immagine della Body Art un po' diversa da quella che era in realtà. Questo tipo di espressione artistica era invece rispettosa dei canoni dell'estetica e delle simbologie che conteneva".
La Body Art mette in crisi la bellezza, la gioventù e la sessualità, i valori della società contemporanea. Molti body artisti hanno vissuto realtà di dolore e di emarginazione; la performance allora diventa quasi un atto terapeutico, una catarsi.
Marina Abramovich spiega molto bene il significato della ricerca sul dolore: "Solo quando ti confronti realmente con queste con le sofferenze, la paura di morire, i limiti fisici, puoi davvero liberarti da loro".
Le performance, comunque, non avevano sempre un'impronta di tipo drammatico come nei casi di Gina Pane, di Marina Abramovich o degli Azionisti viennesi, ma a volte erano anche velate da un fondo di ironia come per le "sculture viventi" di Gilbert & George.

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