lunedì 28 luglio 2008

MUSEO POMPIDOU

a cura DI D. PICCHIOTTI
     
Il Centre Pompidou, ovvero avventurarsi per il sentiero un po’ scosceso dell’arte contemporanea, approcciando la bellissima, ma destabilizzante per molti, realtà del Centre Pompidou. Non si tratta di un semplice museo già dalla nomenclatura, chiamandosi in realtà “Centro nazionale d'arte e di cultura Georges-Pompidou”. Vuol quindi avere il ruolo di un’officina di idee, di un centro di ricerca, di un luogo vivo e attivo, che produce ed ospita cultura. Trovandosi in Rue Beaubourg 19, a Parigi, è conosciuto anche come Beaubourg.
Il nome Pompidou deriva invece da Georges Pompidou, presidente francese dal 1969 al 1974. Il Centre è stato progettato dall’architetto italiano Renzo Piano, con Richard e Sue Rogers, l'ingegnere inglese Edmund Happold e l’irlandese Peter Rice. E’ fatto principalmente di vetro e acciaio. All’epoca del progetto quelli che ora sono considerati dei mostri sacri del settore erano dei semi-sconosciuti, che presentarono il progetto migliore, e più adatto alle intenzioni degli ideatori della nuova struttura, vincendo la gara indetta per la costruzione nel 1971. Il museo è stato invece aperto al pubblico il 31 gennaio 1977. Come in una versione riveduta e corretta dell’architettura medievale, le diverse parti della struttura esterna dichiarano senza timori, anzi gridano, la loro “funzione”: se nell’architettura medievale decorazioni e linee sottolineavano i punti staticamente più importanti all’interno ed esterno degli edifici, come i capitelli, i pilastri, gli archi, i portali ecc., nel Pompidou diversi colori evidenziano la diversa destinazione delle tubature esterne: quelle gialle sono dell’elettricità, le rosse degli ascensori e delle scale mobili, le blu dell'acqua, le verdi dell'aria. Vedi foto accanto al titolo.

La rivoluzionaria idea per l’esterno viene ripresa all’interno da una sistemazione molto varia, con diversi spazi differenziati, con diverse destinazioni. Il centro ospita in primis l’arci-noto Musée National d'Art Moderne, poi una bellissima biblioteca pubblica (Bibliothèque publique d'information) e l’IRCAM, centro per la musica e le ricerche acustiche. Il Pompidou annovera tra i suoi “dipartimenti” anche il Centro del design industriale. 
Ecco che cosa vuol dire “poli-funzionalità”. 
Il museo dei nuovi tempi vuol essere vivo e attivo. Se si tratta di un museo d’arte contemporanea, poi, l’impresa è facilitata, essendo l’arte contemporanea la più mobile, mutabile e varia che esista, prestandosi, dunque, a maggiori sperimentazioni museali, senza scandalizzar nessuno, senza violare sacre teorie e stratificate convinzioni. C’è anche qui un’attivissima sezione didattica, con dipartimento apposito per il “giovane pubblico”; tante iniziative editoriali, di comunicazione interna ed esterna, di intrattenimento e di didattica dell’arte rendono davvero il museo uno spazio a misura di ogni tipo di pubblico, nonostante la notevole grandezza.
 
Il Musée National d'Art Moderne è quello che in questa sede ci interessa trattare. Si trova al quarto e quinto piano del Centro. La collezione consta di oltre 50.000 opere d'arte tra dipinti, sculture, disegni e fotografie. Annovera tra i suoi autori Marc Chagall, Georges Braque, Pablo Picasso, Henri Matisse, Vasily Kandinsky, Miró, e molti altri. La vicina fontana Stravinsky è chiamata anche Fontaine des automates ed è opera di Jean Tinguely e Niki de Saint-Phalle. 

Il progetto per la sistemazione delle collezioni è stato invece realizzato dalla milanese Gae Aulenti negli anni Ottanta. Prevalse nella scelta la scuola francese, con rappresentanti del fauvismo (come Matisse e Derain), del cubismo (Braque, Picasso), del surrealismo (secondo alcuni, Chagall rientra in questa orbita, ma lo vedremo poi). C’è anche Brancusi, scultore rumeno, inventore di forme nuove e sperimentazioni ideali arditissime per l’epoca; Giacometti, scultore futurista italiano; gli espressionisti astratti o pittori informali americani, come Pollock e Rauschenberg, oltre che il genio pop Andy Warhol. 
So che è limitativo scegliere una sola opera e soffermarvisi, specie considerando che un centro poli-funzionale come il Pompidou va vissuto nella sua totalità, anzi frequentato, per essere davvero capito ed apprezzato… 
Tuttavia, non me ne vogliate, confesso un debole per Chagall e qui al Beaubourg è conservata proprio una delle sue opere più belle e rappresentative, "A la Russie, aux ânes et aux autres", del 1911, olio su tela, 157x122 cm. Fu donata dall’artista stesso al museo nel 1953.

Marc Chagall nacque in Russia, presso Vitebsk, nel 1887 da famiglia ebrea. Dal 1906 al 1909 studiò prima a Vitebsk, poi all'accademia di Pietroburgo. Nel 1910 si trasferì a Parigi con la sua fidanzata, Bella. Qui conobbe le nuove correnti del momento, in particolare Fauvismo e Cubismo. Si inserì negli ambienti artistici d'avanguardia. Frequentò tra gli altri Apollinaire e Delaunay e conobbe il mercante berlinese Herwarth Walden, che nel 1914 gli allestì una personale presso la sua galleria Der Sturm. Nel 1912 aveva però già esposto sia al Salon des Indépendants che al Salon d'Automne. Nello stesso anno Chagall prese un atelier nel grande complesso de "La Ruche". L'edificio conteneva altri 140 studi di artisti “rivoluzionari”, tra cui Léger, Archipenko, Modigliani e Soutine. Allo scoppio della guerra (1914) Chagall tornò a Vitebsk. Qui fondò l'Istituto d'Arte, di cui fu direttore fino al 1920, quando gli subentrò Malevic, ideatore dell’arte “suprema” o “suprematista”, basata sull’astrattismo e sulle forme geometriche. Si trasferì poi a Mosca. Qui iniziò le decorazioni per il teatro ebraico statale "Kamerny". Nel 1923 ritornò a Berlino. Poi fu di nuovo a Parigi. Qui conobbe Ambroise Vollard, collezionista ed intenditore, che gli commissionò l'illustrazione di vari libri. Nel 1924 una sua importante retrospettiva si tenne presso la Galerie Barbazanges-Hodeberg. In seguito, Chagall effettuò viaggi in Europa e in Palestina. Nel 1933 presso il Kunstmuseum Basel ebbe luogo un’altra sua grande retrospettiva. Ma quasi contemporaneamente il nazismo salì al potere in Germania. Tutte le opere di Chagall vennero confiscate ai musei tedeschi. A Chagall non rimase che rifugiarsi in America, come fecero molti altri tra artisti, intellettuali e uomini di scienza. Nel 1947 però fece finalmente ritorno a Parigi e nel 1949 si stabilì a Vence. Importanti mostre gli vennero dedicate ovunque. Fu chiamato a decorare grandi strutture pubbliche. Nel 1962 disegnò le vetrate per la sinagoga dello Hassadah

Medical Center, presso Gerusalemme, e per la cattedrale di Metz. Nel 1964 realizzò le pitture del soffitto dell'Opéra di Parigi. L'anno dopo fu la volta delle grandi pitture murali sulla facciata della Metropolitan Opera House di New York. Nel 1970 disegnò le vetrate del coro e del rosone del Fraumünster di Zurigo. Di poco successivo è invece il grande mosaico a Chicago. Morì a Saint-Paul-de-Vence nel 1985. 
Quale fu il segreto del suo successo? Spero che l’opera che ho selezionato, dedicata alla Russia, la patria di Chagall, sia emblematica dei motivi del suo successo perenne. Chagall fa sognare…
Con i suoi temi da favola, con i colori vivaci che a volte contrastano con sfondi cupi, a volte si armonizzano con improbabili cieli popolati da strane creature, con le forme riconoscibili, ma al tempo stesso trasfigurate, oniriche, deformate, Chagall è la faccia umana delle rigidità delle avanguardie. I movimenti avanguardisti cercarono nel cambiamento a tutti i costi una via di fuga dagli orrori della guerra. L’arte si spinse talmente oltre che tuttora ne paghiamo le conseguenze: l’oggetto d’arte fu messo in discussione, come pure i confini tra le discipline artistiche. Le geometrie prevalsero sulla figurazione, si aprì la via al dominio dell’irriconoscibile e dell’ignoto. I materiali diventarono sempre più importanti, si mischiarono, si fusero, all’insegna della sperimentazione materica oltre che materiale. Chagall, seppure a volte abbia scelto temi inquietanti come la guerra e la morte, o abbia alluso ad episodi negativi, lo ha fatto sempre col sorriso del bambino, di colui che sempre cerca la luce, il colore, la forma fantastica del sogno. Dai surrealisti prese questo, la dimensione onirica, ma non ne ereditò le codificazioni troppo rigide, con le teorie sull’automatismo psichico e le complicazioni freudiane. Chagall fu un puro e pura è la sua pittura. 
Questo quadro è un omaggio di Chagall alla Russia, la sua terra. L’omaggio è scherzoso, sin dal titolo: “Alla Russia, agli asini e agli altri”. Chagall amava molto la sua terra, ma ne soffriva un po’ i limiti, il provincialismo, la chiusura mentale di alcuni piccoli centri, tra cui la sua stessa città natia. Chagall vedeva a colori e spesso la Russia, coi contadini e gli animali, con le chiese ortodosse e le donnone locali, gli sembrava spenta. Un modo per ravvivarne i colori, operazione che spesso fa la memoria stessa quando si è lontani, fu per Chagall rivederne i soggetti, rendendoli assurdi, patetici, divertenti, malinconici, fantastici. Come certi suoi suonatori, il violinista, in particolare, romanticissima caricatura di un se stesso lontano, o certi asini, vacche, galli, animali da fattoria umanizzati e avvicinati con tenerezza od ossessivamente, come croce e delizia della sua vivace immaginazione. E via libera al colore! Senza regole. Via libera alle forme esplose, alle parti separate dal tutto, alle associazioni libere di forme dissonanti… Come nella musica contemporanea. Come nell’arte astratta. Come in molta poesia del Novecento. 

 
di Laura Panarese

Nietzsche il Pensiero

a cura DI D. PICCHIOTTI

Il Problema della vita
Per nessuno come per Nietzsche dare una forma al proprio pensiero significa scoprire il significato della propria vita e del proprio destino. Ma ciò in un senso molto più profondo dell'analoga esigenza che viene posta dal romanticismo. In Nietzsche trionfa il problema della della personalità. Solo se riusciamo a scoprire il mistero della nostra persona ci sarà possibile penetrare in una regione in cui il fondamento esistenziale della vita si lasci avvicinare e rilevare dall'uomo, senza che per questo l'uomo abbia la possibilità e il diritto di determinare una chiara comprensione di quella regione in cui, per grazia della decisione di affrontare il mistero che cela in sè, è potuto penetrare.
  Il primo periodo
    La prima fase del pensiero di Nietzsche è caratterizzata dagli studi filologici e dalla passione per il mondo greco, dall'influenza della riflessione di Schopenhauer e dalla sconfinata ammirazione per l'opera di Wagner: La nascita della tragedia riunisce tali influssi per generare una nuova visione della civiltà greca.
    Secondo Nietzsche lo spirito greco delle origini è dominato dall'impulso dionisiaco, cioè dal sentimento della fondamentale caoticità dell'essere: è il trionfo di Dioniso, dio dell'ebbrezza, dell'orgia e della passione, che trova la sua migliore espressione nella musica. L'impulso apollineo, che corrisponde all'immagine tradizionale della classicità quale serena e limpida armonia di forme, è per il filosofo solo la reazione di una sensibilità morbosa e decadente dell'irrazionalità e dell'eccesso dell'esistenza: sua espressione più compiuta è la scultura. I due impulsi si compongono nella tragedia di Eschilo e di Sofocle. Già Euripide, però, discepolo ideale di Socrate, annuncia la morte della tragedia. Socrate è la figura simbolica di una visione del mondo razionalistica e ottimistica, della filosofia della scissione di soggetto e oggetto, del primato dell'intelletto sull'istinto e sulla passione e del disprezzo per la libera e innocente creatività dionisiaca. Con Socrate si impone all'uomo l'ideale della scienza e della mediocrità, di una vita solo teorica: prevale il sentimento di sicurezza, dato dalla pretesa esistenza di un vero ordinamento dei mondo. Nelle Considerazioni inattuali Nietzsche accosta nella polemica Socrate a Strauss, Feuerbach e Comte: l'idea di un mondo che si svolge secondo un ordine oggettivo e conoscibile, ma non modificabile, rende insensata l'azione storica. L'uomo, sommerso dalla propria coscienza storiografica, è incapace di creare nuova storia: lo stoicismo è solo un altro aspetto del razionalismo, ispirato dalla fede riposta nella scienza dal positivismo. A tali segni di decadenza dell'uomo Nietzsche contrappone il ritorno alla cultura dionisiaca e la rinascita dello spirito tedesco, preannunciati nella filosofia di Schopenhauer e nella musica di Wagner.
Il secondo periodo
    In umano troppo umano inaugura la seconda fase del pensiero di Nietzsche, in cui il filosofo attua una radicale critica della cultura, in particolare della metafisica e della religione cristiana. La polemica antiscientifica e antipositivistica si attenua in vista di un riavvicinamento al sapere scientifico, concepito ora come disinteressato e libero da preoccupazioni metafisiche. Contemporaneamente il filosofo abbandona l'estetismo e la cieca ammirazione per Wagner (il Parsifal viene ora definito il culmine della decadenza europea), per esaltare la musica "mediterranea" di Rossini e Bizet. Egli matura inoltre la decisione di lasciare gli studi filologici "dotti e insipidi". Progetta pertanto di costruire una chimica delle idee e dei sentimenti morali che mostri come ogni produzione spirituale abbia una base materiale: tutte le verità sono storicamente situabili e l'evidenza di una proposizione non è segno della sua verità, ma dei fatto che essa corrisponde meglio di altre ai condizionamenti psicologici e sociali.
Il terzo periodo
    La terza fase si apre con Così parlò Zarathustra: l'opera, di difficile interpretazione, è una requisitoria contro l'ideale della mediocrità e le varie forme di morale della rinuncia, fra cui Nietzsche annovera adesso anche la filosofia di Schopenhauer, causa il suo pessimismo e il suo rassegnato ascetismo.
    Il cristianesimo, in particolare, è caratterizzato dallo spirito di risentimento dei deboli verso i più forti, da una morale di schiavi che nega tutto ciò che è differente da sé. Alla morale della rinuncia Nietzsche contrappone l'aristocratica morale della totale affermazione di sé, dell'accettazione di tutto ciò che è terrestre e corporeo, della trasmutazione di tutti i valori: è la morte di Dio, la fine di ogni trascendenza, religione o metafisica, delle verità immutabili e dei sistemi di valori assoluti (nichilismo nietzschiano). Le nuove virtù, la fierezza, la gioia, la salute, l'amore, l'inimicizia, la guerra, l'amoralismo della politica di potenza e il senso di pienezza dell'arte.
    Il superuomo (o oltreuomo) è l'uomo totalmente indipendente dai valori tradizionali, l'uomo che si pone al di là del bene e del male: l'uomo superiore accetta con gioia la vita come è, e segue volontariamente la via che gli uomini del gregge hanno seguito ciecamente. In un mondo dominato dal caso e dall'irrazionalità, la sola necessità è quella della volontà che vuole riaffermare se stessa; il superuomo ha saputo identificare la propria volontà con quella del mondo, accettare la nonna terrestre che lo regge: egli è volontà di potenza incarnata. Le dottrine del superuomo e della volontà di potenza trovano il loro senso più compiuto in relazione al tema dell'eterno ritorno. Contro la tradizione giudaico-cristiana che attribuisce al tempo una direzione lineare e una struttura articolata in passato, presente e futuro, Nietzsche nega l'esistenza di un fine del corso storico che trascenda i singoli momenti. Significati e direzioni sono solo prospettive interne al gioco di forze della volontà di potenza: ogni momento, e ciascuna esistenza in ogni attimo, ha tutto il suo senso in sé. Il superuomo, grazie all'amor fati, all'accettazione gioiosa della vita così come è - nel passato, nel presente e nell'eternità - deve costruire un'esistenza in cui ogni momento abbia tutto intero il suo senso: l'eterno presente della vita.
Critica alla suddivisione del pensiero nietzscheano:
    Personalmente non trovo corretta questa "suddivisione" del pensiero nietzscheano, come già fatto notare dal professor Giorgio Penzo (invito al pensiero di Nietzsche ed. MURSIA pag. 44 1990) "... in ogni opera di Nietzsche si può cogliere l'unità del suo filosofare. Ed è proprio il problema dell'unità chi ci porta a non essere d'accordo su quella suddivisione delle opere di Nietzsche in tre periodi, che viene per lo più condivisa nell'ambito della letteratura nietzscheana" e ancora : "A nostro avviso, questa distinzione non rispetta l'unità del filosofare nietzscheano, che è appunto presente non solo in ogni scritto, ma pure in ogni pagina ed anzi in ogni aforisma".
    Dunque possiamo continuare dicendo che, per un primo approccio a Nietzsche e per comodità, dividiamo il suo pensiero in tre periodi mentre approfondendo le sue opere, leggendole e sviscerandole vi troviamo un filo conduttore continuo.
    Lo stesso Nietzsche nel periodo in cui scrive la prima parte dello Zarathustra ha un singolare scambio epistolare con Peter Gast. Quando riceve il libro Peter Gast non ci capisce granché; ma in qualche modo lo stile gli risulta famigliare e così esprime la sua perplessità nella forma di un elogio, senza rinunciare a un' insinuazione un po' maligna: "A questo libro di deve augurare la diffusione della Bibbia, il suo prestigio canonico, tutta la sua serie di commenti, sulla quale si fonda in parte il suo prestigio". Nietzsche si lascia adulare - "allora la mia vita non sarebbe fallita?" -, per scoprire in seguito che Gast, con la sua "serie di commenti", ha toccato proprio il punto nevralgico: nonostante i cordiali auguri di un' ampia diffusione, non lo si capisce. LA NUOVA BIBBIA NECESSITA DI SPIEGAZIONI. In tutta fretta l'autore le fornisce, in più di una versione. All'inizio di aprile, Overbeck apprende che all'autore dello Zarathustra è venuto in mente qualcosa di decisivo "leggendo per intero Aurora e La gaia scienza : "E' un fatto che io ho approntato il commento prima del testo". Nei suoi libri non c'è quasi una riga che non possa servire da spiegazione dello Zarathustra. In caso di incomprensione c'è pertanto un solo rimedio: leggere Nietzsche. Cerca di scioccare Malwida suggerendo che con questo libro "ha sfidato tutte le religioni" - è stato un "pezzo di bravura" ed una "follia" al tempo stesso "scrivere il commento prima del testo". A Gast fa sapere - "è curioso" - che si dovrebbe tornare dritto fino a Schopenhauer come educatore per trovare spiegazioni sullo Zarathustra. Dovette aver sospettato adesso, al più tardi, ciò che dichiarò l'anno successivo: il suo libro sacro era "oscuro, inaccessibile e risibile per tutti". Non erano capiti, né lui, né il libro. Aveva regalato all'umanità un libro esteticamente concepito e scritto sotto ispirazione divina - e questa non lo voleva. L'editore ne pubbblicò tre parti e poi disse basta; la quarta se la pubblicò Nietzsche stesso, l'elefantessa, a proprie spese: edizione fuori commercio per gli amici che scuotevano la testa.Scritto da Thomas Calmasini

Martino Cambula, Il desiderio e l'immagine. Note sul pensiero di Tommaso d'Aquino

a cura DI D. PICCHIOTTI

L' originario impulso alla riflessione sul mondo che ci circonda e sulle ragioni del nostro stare al mondo è lo stupore. Siamo nel mondo come gli alberi, i fiori, i fiumi, le stelle e gli animali: si nasce, si vive e si muore come loro; invecchiano e muoiono anche i tempi e le culture che noi abbiamo creato e sviluppato fino a quel processo inevitabile che Agostino chiamò "senectus mundi". Ma, a differenza di tutti questi enti ed eventi che ci fanno compagnia nella vita e nei quali viviamo immersi come i pesci nell'acqua, noi abbiamo cognizione del bene e del male, consapevolezza del dolore, orrore e angoscia della morte. Alberi e animali muoiono, ma non sanno o, perlomeno, non si interrogano sul perché o sul senso del loro morire e di aver condotto un'esistenza destinata alla morte. Forse non è solo lo stupore della vita e del cosmo che ci spinge a riflettere - come sostiene Aristotele - ma anche e soprattutto lo stupore della fine, la nostalgia di esser già vissuti, di aver attraversato il tempo sulla zattera della nostra ragione fallibile, senza averne afferrato il fine ultimo, se non nei momenti in cui una fede religiosa ci ha soccorso - per dirla con E. Gilson - come un "supplementum rationis".
C'è ragione di pensare che all'inizio della primavera del 1274 Tommaso sia stato come preso dall'onda dello stupore negativo o dell'angoscia della morte, mentre a Fassanova "iacuit infirmus quasi per mensem", come annota scrupolosamente il suo biografo più attendibile, Guglielmo di Tocco. Per chi ha consuetudine di lettura con le opere di S. Tommaso non è raro imbattersi in una proposizione, talvolta anche in un assioma di profonda portata conoscitiva, che rivelano anche la sua percezione sentimentale della condizione dell'uomo nel mondo.
Nelle magistrali Questiones disputatae da Malo (1266-1272) colpiscono due principi che ricorrono spesso in passi paralleli delle opere maggiori: "Malum in mundo est ut in pluribus". La storia ne è la prova inconfutabile: dai cataclismi alle malattie, dalle esistenze opache di milioni di uomini ai crimini senza fine che hanno segnato i tempi, il male appare di gran lunga più diffuso e dominante sul bene. Ma proprio la presenza insolente e insopportabile del male per l'uomo di ragione, ma anche per l'uomo di fede, induce Tommaso a formulare l'altro assioma sul male: "Si malum, ergo Deus".
Ripugna alla ragione e alla fede che il dolore (malum poenae) e il delitto o il peccato (malum culpae) abbiano il diritto o la forza dell'invincibilità finale.

L' UOMO COME DESIDERIO E IMMAGINE DI DIO

Dio, non è evocato (e invocato) - per dirla con Bonhoeffer - come il "Dio tappabuchi" per risolvere l'insolubile. Per Tommaso Dio è riscoperto come il fine ultimo e il principio (causale) primo di tutto il dinamismo della ragione e della volontà, intessuti nel desiderio naturale di conoscere il principio universale dell'essere.
Questa veduta filosofico-teologica dell'uomo emerge con chiarezza dal piano della Summa Theologiae (1271-1273). Esso, infatti, è tracciato all'interno dello spazio logico di due idee (neo)-platoniche, ma integrate di contenuti biblici (Genesi e Apocalisse): l'idea dell'uscita (exitus) di tutti gli enti da Dio e l'idea del loro ritorno (reditus) a Dio.
L'atto creativo di Dio assume nell'uomo due figure o due aspetti: quella dell'inclinazione e del desiderio naturale di vedere Dio, dopo aver attraversato il tempo e lo spazio della storia; e quella dello specchio e dell'immagine di Dio scolpita nell'anima. La razionalità, la libertà, la responsabilità, la sete di conoscenza e di felicità sono gli elementi che compongono, come un tessuto, l'essenza dell'uomo vivente: egli è "splendor Dei".
Vorrei adesso verificare con precisi riferimenti testuali alle opere di Tommaso questa concezione dell'uomo come desiderio e immagine di Dio. E' opportuno rilevare che il genitivo è, in questo caso, genitivo oggettivo e, al tempo stesso, soggettivo. L'uomo desidera Dio, perché Dio ha immesso in lui tale desiderio, legato alla somiglianza della natura di entrambi.
Il desiderio di vedere Dio, che di per sé è di natura conoscitiva e contemplativa, assume anche la forma psicologica di impulso inarrestabile verso la felicità; ma dietro il bisogno psicologico c'è, come sua causa, l'essenza razionale dell'uomo, la "stoffa" - per così dire - di cui egli è fatto e che -, simile alla forza di gravità o all'eros platonico, lo inclina verso Dio come beatitudine ultima, infinita, totalmente appagante.
"Per il fatto stesso che tendono alla loro perfezione, gli esseri cercano il loro bene, poiché ogni essere è buono nella misura della propria perfezione. Per il fatto stesso che cercano il loro bene, essi tendono alla divina somiglianza: ogni essere assomiglia a Dio nella misura della propria bontà. Ma questo o quel bene particolare è desiderabile nella misura in cui assomiglia alla bontà prima [Dio]; perciò un essere tende al proprio bene a causa della somiglianza con Dio, non già viceversa. E' evidente allora che tutti gli esseri cercano come loro fine ultimo una somiglianza con Dio" (Summa contra Gentiles, III, 24).
Fintantoché, dunque, non approda all'unione con Dio, l'uomo è afferrato come una preda da un desiderio insoddisfatto, costitutivo della sua natura.
Questo testo di Tommaso, pur caratterizzato da una procedura razionalistica, attenta a tutti i passaggi logici dell'argomentazione, evoca tuttavia il fascino della tematica esistenziale agostiniana dell'inquietudine dell'uomo e della sua pace in Dio; tematica densa di sviluppi filosofici, letterari, psicologici, mistici e perfino poetici (come nel Silesius).
L'indagine di S. Tommaso, tuttavia, si svolge anche sul piano ontologico: il desiderio è la voce dell'essere umano, della sua essenza più profonda, la versione conoscitiva e psicologica di quello che un altro grande domenicano, il Tauler, chiama il "fondo dell'anima" (der Grund der Seele).
Ecco un altro dei testi più significativi di Tommaso: "E' impossibile che un desiderio naturale sia vano; il che avverrebbe qualora non fosse possibile raggiungere l'intellezione dell'essenza divina, che per natura tutte le menti desiderano; perciò è necessario affermare la possibilità di vedere intellettualmente l'essenza di Dio, sia da parte delle sostanze separate, sia da parte delle nostre anime" (Summa contra Gentiles, III, 51).
Questi primi principi di una teologia del desiderio, legata alla teologia dell'immagine di Dio nell'uomo, sono indicati da Tommaso - sul versante etico della sua indagine - come regole di guida della nostra vita. Nella seconda Parte della Summa Theologiae, proprio nel Prologo, l'Aquinate giustifica il nesso epistemologico che lega tutti i trattati teologici (quelli su Dio, sull'uomo, su Cristo) ricorrendo appunto all'idea di uomo come "immagine di Dio".
"Come insegna il Damasceno, si dice che l'uomo è stato creato a immagine di Dio in quanto l'immagine sta ad indicare "un essere dotato d'intelligenza, di libero arbitrio e di dominio sui propri atti"; perciò, dopo di aver parlato dell'esemplare, cioè di Dio e di quanto è derivato dalla divina potenza conforme al divino volere, rimane da trattare della sua immagine, cioè dell'uomo, in quanto questi è principio delle proprie azioni, in forza del libero arbitrio e del dominio che ha su di esse".
Emerge da questo testo l'idea profonda, forse di una profondità inconsueta, che Tommaso ha elaborato della dignità dell'uomo. Lo ha fatto con un linguaggio limpido, sobrio, elegante, pudicamente festoso (possono la filosofia e la teologia non essere anche una festa di idee?): se mi è permessa una metafora azzardata direi che l'uomo è descritto implicitamente da Tommaso come l'ombra o il riflesso di Dio. Dio, infatti, per il pensatore credente e per il teologo è, al contempo, la "ratio essendi" e la "ratio cognoscendi" dell'uomo: "Omnia, enim, pertractantur in hac scientia sub ratione Dei"; tutto, dunque, è valutabile e pensabile solo per rapporto a Dio
Come sul piano dell'essere Dio è il principio unificatore delle dispersioni della nostra vita e della nostra morte, così l'idea di Dio, all'interno della quale Tommaso è andato indagando e illuminando le ragioni, le gioie, le tristezze, i fallimenti e le speranze dell'uomo, è il principio gnoseologico che riduce ad unità tutte le piccole conoscenze e verità dell'uomo.
Ho accennato alla semplicità del lessico delle opere di Tommaso, proprio nel momento in cui egli scandaglia i misteri più profondi dell'esistenza. Vi si può cogliere un riflesso - messo da lui in programma - della semplicità di Dio. L'infinità e la varietà delle parole umane sono piccoli riflessi o semi e segni del Logos. Era alieno dalla verbosità, dal fare della filosofia o della teologia un torneo di chiacchiere. Dirà Wittgenstein: "Quel che può dirsi, può dirsi con chiarezza; sul resto si deve tacere".
Tommaso amava il silenzio (ne è testimonianza il soprannome "il bue muto" attribuitogli quando era studente universitario dai suoi compagni, segno premonitore di una gran voce teologica e filosofica nei secoli prevista dal suo maestro Alberto Magno); amava il discorso breve e ordinato. Nel Prologo generale alla Summa Theologiae giustifica la composizione della sua opera delineando involontariamente una specie di sommario e implicito autoritratto, che è poi il ritratto-modello del professore universitario e del ricercatore:
"Poiché il dottore della verità cattolica deve non solo insegnare ai più progrediti, ma istruire [gli studenti] principianti (…), la nostra intenzione è dunque d'esporre ciò che concerne la religione cristiana secondo il modo più adatto alla formazione dei debuttanti.
Noi abbiamo osservato in effetti che, nell'impiego degli scritti dei differenti autori, i novizi in questa materia sono molto ostacolati, sia per la moltiplicazione delle questioni inutili, degli articoli e delle prove; sia perché ciò che conviene loro di apprendere non viene trattato secondo l'esigenza della materia insegnata (secundum ordinem disciplinae), ma a seconda che lo richieda la spiegazione dei libri [adottati] o l'occasione delle dispute; sia infine che la ripetizione frequente delle stesse cose genera negli spiriti degli ascoltatori stanchezza e confusione".
I suoi biografi, in particolare Guglielmo di Tocco, rilevano concordi che non solo lo stile della scrittura accademica, ma perfino la sua conversazione era guidata dalla regola dell'essenzialità, della brevità, della chiarezza e trasparenza lessicale. Tutto il suo sistema linguistico appare caratterizzato da quel tratto distintivo che egli attribuisce alla bellezza estetica, in particolare letteraria e poetica: lo "splendor formae".
Come professore universitario di teologia, in particolare a Parigi, la sua fatica del concetto e del linguaggio era ispirata a una sorta di etica della comunicazione. Nel citato Prologo generale alla Summa Theologiae, al di là della sua severa censura contro i metodi didattici prolissi, confusi, ripetitivi, involuti e impropri nell'uso dei vocaboli da parte di molti suoi colleghi, Tommaso lascia trasparire il suo bisogno e il suo desiderio di stimolare e per così dire di risvegliare o riaccendere nell'intelligenza dei suoi studenti e lettori la dimensione più profonda dell'apprendimento e della ricerca: cioè la dimensione "sapienziale".
Anche l'informazione o la nozione più elementare appresa da uno studente è virtualmente legata alla rete infinita delle conoscenze umane: dalla conoscenza di un invisibile microrganismo nasce l'impulso ad allargare il quadro fino alle indagini più profonde della biologia; come dall'osservazione poetica di un'esistenza fragile, come quella d'un filo di luce, siamo rinviati a sondare il mistero dell'universo. Il più breve motivo musicale di Bach - diceva Popper - contiene in nuce infinite variazioni. Come Bach è capace di rincorrere - con una sorta di dialettica platonica trasversale -, transitando cioè dall'una all'altra i suoni e le voci della sua musica e del suo canto, così Tommaso intesse il ricamo, sobrio e gioioso ad un tempo, delle sue idee, rilevandone l'implicita dimensione intercomunicativa e aperta a idee più ampie, aperte alla contemplazione dell'universo e del suo Creatore. La ricerca e la didattica sono per Tommaso "vie": sentieri ben tracciati da percorrere, "itinerari della mente" - per dirla con S. Bonaventura - che dalla scienza o dalla filosofia conducono - per passaggi interni, alla "sapienza", cioè a vedere tutto sotto la luce di Dio. "Lo studio della sapienza - cioè delle parti più alte della teologia - è il più perfetto, sublime, utile e gioioso fra tutti gli studi umani".
Si coglie forse in questo passaggio della "Summa Theologiae" il richiamo al "gaudium de Veritate" di Sant'Agostino. La gioia e il piacere della "fatica" dell'apprendere, dello studiare, del ricercare, dello svolgere la lezione con una didattica della comunicazione breve, essenziale, lineare, linguisticamente appropriata, risiedono in quel "luogo" dell'intelligenza umana in cui Tommaso ha creduto di scoprire la dimensione virtualmente teocentrica di ogni desiderio di sapere e la somiglianza dell'uomo con Dio: tale luogo è l'intelligenza interrogante ("intellectus quaerens") che non è mai contenta della risposta che ha ottenuto a una propria domanda.
Ogni risposta è un'autentica risposta scientifica se è capace di suscitare altre domande, in senso orizzontale e in senso verticale. Il vero studioso o il vero ricercatore è colui che è ricco di domande. La ragione ontologica di questo nostro domandare esteso alla totalità dello scibile è per Tommaso quella stessa scoperta da Agostino: ogni uomo, venuto alla luce in questo mondo, proprio perché è un ente finito e fallibile, non solo è circondato da una realtà che reclama di essere spiegata, ma è egli stesso, per se stesso, una grande domanda: "Ecce coelum et terra; clamant quod facta sunt; mutantur enim et variantur". (…) Ego magna quaestio factus sum mihi (…)".
E' questa la domanda radicale: essa attinge la profondità delle ragioni del nostro essere nati e del nostro desiderio infinito ed inappagato di felicità. Nessun valore materiale potrà mai colmare il vuoto antropologico dell'uomo senza Dio; la dialettica del bisogno e del desiderio sono il segno fragrante di quella che il letterato-filosofo Steiner ha definito la "nostalgia dell'Assoluto"; e che Tommaso ha scolpito in quello che mi sembra l'assioma più bello e più felice del suo pensiero filosofico-teologico: "Bonum gratiae unius [di un solo uomo] melius est quam bonum naturae totius [di tutto] Universi".

Martino Cambula è professore di prima fascia di Storia della Filosofia (Concorso nel 2000) nell'Università di Sassari, proveniente dal ruolo dei professori associati (1981). Dal 2001 è presidente del Corso di Laurea in Filosofia. Ha ricoperto per supplenza l'insegnamento di Storia della Filosofia medievale (1984-1992) e attualmente (dal 1998) ricopre quello di Logica e filosofia della scienza. Collabora alla "Rivista di Ascetica e Mistica" di Firenze; e alla pagina "Cultura" del Settimanale "Libertà" di Sassari. I temi della sua ricerca vertono su : Crisi della ragione moderna: R. Guardini e L. Wittgenstein; Figure della ragione tra filosofia e scienza; Fede e ragione, con particolare riferimento al pensiero e l'opera di S. Tommaso d'Aquino; Esperienza e conoscenza nel neopositivismo
I suoi lavori: Eclissi o tramonto della razionalità moderna? Su R. Guardini e L. Wittgenstein, Edizioni La Scala, Noci (BA)1994; Forme del vivere e forme del sapere. Figure della ragione tra filosofia e scienza, Editrice Democratica Sarda, Sassari 1996; Sapere e credere. Domande sull'Enciclica "Fides et Ratio" di Giovanni Paolo II, Edizioni La Scala, Noci (BA)1998; Moritz Schlick, Il futuro della filosofia. Esperire, Conoscere, Metafisica, a cura di Martino Cambula, Edizioni La Scala, Noci (BA)1999; "De docta ignorantia": la via apofantica alla conoscenza di Dio in Tommaso d'Aquino in "Rivista di Ascetica e Mistica", 1, Firenze 2000, pp. 139-165; L' "ultimo" Popper, in "Il volo", Cagliari 2000; Verità di ragione e verità di fatto, in M. Schlick, L'essenza della verità secondo la logica moderna (edizione italiana integrale), Rubbettino, Soveria Monnelli 2001.

domenica 27 luglio 2008

Gli Ebrei in Italia: dalle origini al 1000 dopo l’E. V.


a cura DI D. PICCHIOTTI
L’Italia è l’unico paese - oltre la Palestina e terre finitime - che ha una storia ebraica continua e ininterrotta. La Comunità ebraica di Roma è la più antica d’Europa: si hanno notizie di Ebrei che abitavano in questa città già nel secondo secolo avanti l’E.V.; altri sopraggiunsero numerosi, dopo il 63 avanti l’E.V., venuti con Pompeo, conquistatore della Giudea; quindi, la Comunità Ebraica di Roma, la Sinagoga romana e più antica del Papato. Ed esisteva una Diaspora ebraica anche prima dell’avvento del Cristianesimo (Babilonia, Alessandria, Comunità minori scaglionate lungo le coste del Mediterraneo); naturalmente, non di proporzioni così vaste come quella che doveva formarsi dopo la distruzione di Gerusalemme per opera di Tito.
Sappiamo che Giulio Cesare rispettava l’osservanza delle prescrizioni ebraiche: nell’anno sabbatico gli Ebrei erano esonerati dal pagare il loro tributo allo Stato romano. E che gli Ebrei residenti in Italia mandassero regolarmente in Palestina il loro contributo per il Tempio (1), lo apprendiamo anche dall’orazione di Cicerone "Pro Flacco", tenuta nel 59 av. l’E.V. Flacco, già propretore in Asia, era stato accusato di concussione (de repetundis); e nel processo intentatogli figurano come testimoni Ebrei della provincia d’Asia, i quali accusano Flacco dì essersi appropriato del denaro che essi dovevano inviare a Gerusalemme. Dice Cicerone nella Difesa: Cum aurum ludaeorum nomine quotannis ex Italia et ex omnibus nostris provinciis Hierosolymam exportari soleret, Flaccus sanxit edicto ne ex Asia exportari liceret. Quis est, iudices, qui hoc non vere laudari possit? (2) (Essendo consuetudine che dall’Italia e da tutte le nostre province, tutti gli anni venga esportato oro a Gerusalemme, a nome dei Giudei, Flacco sancì con un editto che non fosse lecito esportarlo dall’Asia. E chi è, o Giudei, che non abbia a lodare ciò?
(2) Orazio in due satire (Sat. 1, 4 e Sat. 1, 9) accenna al proselitismo ebraico nella Roma del suo tempo.
Nel 66 d. l’E. V. i Giudei, esasperati dalle angherie dei procuratori romani, si ribellano; ha così inizio la Guerra giudaica, che dura 4 anni. C’erano allora in Palestina due partiti, di cui quello degli Zeloti, che voleva la guerra a oltranza, ebbe il sopravvento. Nel 69 viene posto l’assedio a Gerusalemme, che, malgrado F accanita resistenza e gli atti di leggendario valore compiuti dai Giudei, viene conquistata, da Tito il 9 di Av dell’anno seguente; il Tempio è dato alle fiamme. Secondo le leggi di guerra, i vincitori potevano disporre della vita e delle proprietà dei vinti; ed ai Giudei era riservata la sorte comune ai vinti. Una parte di essi fu destinata a perire nel circo (ad circenses) e mandata a Cesarea; una parte fu inviata nelle miniere in Sardegna (ad metalla), dove nessuno poteva sopravvivere a lungo; e una parte ancora fu portata a Roma (circa 97 mila) e adibita alla costruzione del Colosseo; altri furono venduti come schiavi: tutti i mercati dì schiavi dell’Oriente erano pieni di schiavi giudei: Dopo la rivolta di Bar Kochba (132-135) al tempo dell’imperatore Adriano, soffocata nel sangue dal Romani nel 135 d. l’E. V., molte altre migliaia di Giudei furono venduti come schiavi. Ma vivendo, come già ricordato, molti Ebrei fuori della Palestina anche prima di tali avvenimenti, essi si adoperarono per raccogliere denaro per il riscatto degli Ebrei schiavi; questa attività fu chiamata Pidion ha-shvuim, ossia: "riscatto dei prigionieri"; e in tal modo molti Ebrei furono liberati.
Oltre alla Comunità ebraica di Roma, già molto numerosa, c’erano in quell’epoca Comunità ebraiche a Venosa e Siracusa dove si trovano tuttora catacombe ebraiche - ed è, questa, un’altra prova che nelle persecuzioni del tempo erano accomunati Cristiani ed Ebrei; ed abbiamo pure notizia di Ebrei che abitavano in varie altre città italiane dell’Impero romano (Ostia, Ravenna, Ferrara, Bologna, Milano, Capua, Napoli).
Nel 313 l’imperatore Costantino emana l’Editto di Milano, che doveva porre fine alle persecuzioni contro i Cristiani, ai quali si dovevano pure restituire i beni confiscati. Ma questo Editto proclama anche la tolleranza di tutti gli altri culti. Da questo momento la situazione della Chiesa cristiana si capovolge: da perseguitata, o da sola o insieme al nucleo ebraico, diviene di questo la persecutrice, i martiri che la Chiesa ha avuto sono in numero di gran lunga inferiore a quello di quanti hanno subito il martirio per colpa dei Cristiani. Tutte le calunnie scagliate dai pagani contro i Cristiani quand’essi formavano ancora una setta in seno all’ebraismo, vengono ora ritorte da questi contro gli Ebrei: esempio tragico è il cosiddetto "omicidio rituale", che per secoli e secoli fu origine di sanguinose persecuzioni e di cui ci dà notizia per la prima volta il vescovo di Lione Agobardo, vissuto nel IX secolo.
Da ora in poi la storia degli Ebrei in Italia è in gran parte storia delle relazioni fra Ebrei e Papato; secondo la concezione della Chiesa, gli Ebrei dovevano sopravvivere per dimostrare al mando la verità dei Vangeli, e perciò mai da Roma essi furono cacciati; anzi, questa è l’unica città dell’Occidente con un’antica Comunità di Ebrei, da cui essi non furono mai espulsi.
Dopo la conquista della Sicilia da parte degli Arabi, importanti Comunità ebraiche si formarono nell’Isola. Nel 1282 la Sicilia passa sotto la dominazione spagnola; da questo momento la sorte degli Ebrei siciliani è legata alle vicende della Spagna. Degli Ebrei in Sicilia, il primo a darne notizia è Beniamino da Tudela (Navarra), vissuto nel XII sec., il secolo di Maimonide, il secolo d’oro della letteratura ebraica; il quale, per i suoi viaggi - ch’egli compì dal 1160 al 1173 - fu chiamato il Marco Polo degli Ebrei. Intorno al 1160 Beniamino da Tudela parte da Saragozza, diretto a Marsiglia e a Genova; da qui passa in Toscana, dove si ferma a Lucca e Pisa, visita Bologna e Roma (dov’è papa Alessandro III); quindi si spinge a Otranto, da dove si imbarca per Corfù. Al suo ritorno dall’Oriente si ferma in Sicilia, e ci dà interessanti notizie sulla vita degli Ebrei siciliani, che esercitavano quasi esclusivamente l’arte dei tessitori e dei tintori. Il ricordo di questa professione è rimasto in alcuni cognomi di Ebrei d’origine siciliana: Croccolo, Cremisi (come nei paesi tedeschi c’è il cognome Farber, o Ferber, che significa: tintore), e la tassa che gli Ebrei dovevano pagare come Ebrei, era detta appunto tassa dei tintori. E quando, alla fine del Medio Evo, gli Ebrei vengono cacciati dalla Sicilia, l’arte del tessitori scompare dall’Isola. Erano in tutto 37 mila; la Comunità più importante era a Palermo (circa 3 mila Ebrei). Fra le Comunità della Bassa Italia, due soprattutto erano fiorenti: Bari e Otranto, ambedue centri culturali ebraici.
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Taoismo

a cura DI D. PICCHIOTTI

VISIONE GENERALE
I cinesi non sentono, in generale, di dover scegliere un religione o una filosofia rifiutando categoricamente tutte le altre. Essi scelgono ciò che sembra loro più adatto o utile a seconda delle circostanze, nel privato, nella vita pubblica, o per uno dei loro riti di passaggio.
Il Dao è sorgente di tutto ciò che è, il " generatore non creato di tutto ciò che è", la fonte di ogni cosa; insegna come vivere andando secondo la corrente. E’ collegato al De, il potere di condurre il Dao a realizzarsi in tutte le cose.
La virtù superiore è un attivo non-agire: "il Dao è costantemente in attivo, eppure non c’è niente che non si faccia". Il Taoismo viene fatto risalire, per tradizione, al Daodeijng, un testo mistico ed individuale, nato in origine come risposta ai bisogni della società.
La seconda opera taoista per eccelenza è il Zhuangzi.
Il taoismo si sviluppò anche dal punto di vista religioso, soprattutto a scopo di cura ed esorcismo; inoltre è importante la ricerca della immortalità. I preti taoisti, avvalendosi della propria esperienza in campo rituale, praticano guarigioni ed esorcismi, nel corso dei quali cercano di dominare i pericolosi eccessi delle forze Yin invocando la superiore energia Yang. Solo pochi adepti o maestri sono in grado di raggiungere la perfetta armonia taoista, incanalando perfettamente le energie ed ottenendo l’immortalità.
DENOMINAZIONE
Il taoismo è una delle tre religioni fondamentali della Cina, insieme con Buddismo e Confucianesimo. Il termine indica la religione nei suoi vari elementi e il sistema filosofico che deriva dagli insegnamenti del filosofo Lao-Tzu.
La parola Tao indica la "Via". Nella lingua cinese la parola "via" non ha un significato univoco come in italiano, ma può anche voler dire "dottrina" o "Reale autosufficiente" (che esiste cioè di per sé stesso ed è all’origine di tutto), "grande unità". E’ l’ultimo, l’innominato e l’innominabile. Il tao sta al di sopra di tutte le cose, persino sopra lo Yin e lo Yang (dalla fusione dei quali trae origine l’universo). E’ il principio costitutivo, il fine ultimo della corrente filosofica del Taoismo.
SIMBOLI

DIFFUSIONE
Il taoismo è diffuso nel Giappone (perché è affine allo Shintoismo). E’ impossibile quantificarne i fedeli in quanto in Cina non esiste una marcata differenziazione tra le tre principali religioni (Buddismo, confucianesimo e appunto, il Taoismo.
STORIA
L’origine non è cronologicamente databile con precisione, ma la sua apparizione si può far risalire all’epoca della dinastia dei Chou (1027-481 a.C.). Due furono i momenti principali del suo sviluppo:
il Taoismo sviluppatosi fra il VII e il V a. C. (in questo periodo parecchie scuole di pensiero fiorirono in Cina), rappresentato da tre filosofi: Lao-tzu, Chung-Tzu e Lieh-Tzu, i quali hanno scritto opere tra le più importanti della cultura cinese.
Il Taoismo religioso o popolare che nacque sotto la dinastia Han, in occasione della rivolta dei "Turbanti gialli" (184 d.C.), contro i latifondisti e i letterati di corte. I contadini poveri furono guidati da Chang-Chiao: questi ribelli furono annientati dallo stato che ne uccise centinaia di migliaia.
Nel V sec. Il taoismo si consolidò come chiesa opposta a quella buddista e confuciana. A capo della chiesa taoista vi era il "Maestro Celeste" T’ien-shih (il "papa" taoista), mentre le comunità erano presiedute da maestri Shih. Facevano parte della gerarchia anche " Quelli e Quelle del Berretto", i "Signori" e i "Maestri dei Talismani". I membri che non facevano parte della gerarchia, costituivano il popolo taoista.
Tra i tanti imperatori cinesi, alcuni ostili, altri indifferenti e solo pochi favorevoli al taoismo, ricordiamo:
Li-Shih-min (629-649), uno dei più grandi imperatori cinesi, che ampliò con la sua politica gli orizzonti culturali e religiosi della Cina, sostenne il taoismo nella sua diffusione fuori dalla Cina.
Kao-Tsung (649-683), che visitò la patria di Lao-Tzu, il fondatore del taoismo onorandolo con il titolo di "Imperatore Originario Arcano e Supremo". Egli impose inoltre che i funzionari alle cariche pubbliche studiassero il Tao-Teh-Ching.
Lung.chi, che proclamò il taoismo culto di stato e fece erigere una accademia per lo studio dei classici taoisti. In questo periodo al Confucianesimo e al taoismo furono riconosciuti uguali funzioni e diritti.
Nel corso dei secoli il taoismo fu messo a confronto con altre dottrine e, a seconda dell’imperatore, approvato o messo al bando. Fino al 1311 fu rappresentato ufficialmente nell’amministrazione pubblica, dopo si sviluppò fuori di questa ufficialità come una sorta di forza spirituale per tutti i cinesi.
Parlando della storia del taoismo non si può fare a meno di nominarne il fondatore, Lao-Tzu, conosciuto anche come Lao-Tan, archivista reale e cronista di corte, fu visitato da Confucio, che gli domandò dei riti taoisti. Stanco della corruzione della vita pubblica, abbandonò la patria. Giunto al confine occidentale, fu implorato dal suo amico Yin-Hsi di lasciargli un libro che contenesse l’essenza della sua dottrina. Fu così che egli scrisse il TAO TEH-CHING in due parti e cinquemila parole. Pare sia morto alla età di 84 anni, nel 520 a.C.
CULTO
Verso il V sec., il taoismo appare consolidato, con il conseguente sviluppo di una propria mitologia e di un proprio culto.
Nel taoismo esiste una triade, costituita dai "Tre Puri", i quali risiedono nei "Tre Cieli", formatisi durante il processo di formazione dell’universo, quando l’etere cosmico si frazionò.
I "Tre Puri" sono.
il "Puro Guada", sovrano del cielo;
il "Puro Superiore", regolatore dell’alternanza cosmica Yin-Yang e del flusso del tempo;
il "Puro Supremo", lo stesso Lao-Tsu, predicatore della dottrina salvifica.
Si ignora il sacrificio, e il culto si fonda sulla pratica ascetica e sugli inni di glorificazione del Tao.
Vi sono varie liturgie, (ad esempio la liturgia della pioggia, dell’acqua, quella del Signore del cielo e del Nuovo Anno), atte ad esprimere il ringraziamento o la richiesta di fiducia al tao; tali liturgie erano vere e proprie feste religiose, spesso precedute da digiuni o da isolamento e presiedute dai bonzi (i quali raccoglievano le offerte dei fedeli).
La pratica ascetica portò allo sviluppo di COMUNITA’ MONASTICHE: il novizio, in seguito ad un rituale di iniziazione, accettava i voti e le regole disciplinari. Il monaco ha come scopo raggiungere l’immortalità, evocare gli spiriti dei defunti, professare l’attività di medico, mago, astrologo, indovino…
Tutte le teciniche praticate (ad esempio l’ascetismo), mirano a fare di un uomo comune un UOMO REALIZZATO, un Immortale, o un Santo, uno che ottiene la "lunga vita", poiché "niente ha presa sul corpo quando lo spirito non è turbato".
DOTTRINA
All’origine di ogni cosa vi è il Tao, da cui derivano i due opposti Yin e Yang.
L’essere umano deve tendere al miglioramento del proprio io, tramite l’isolamento dalla vita sociale, praticando il NON-AGIRE, e cercando di raggiungere l’immortalità.
Si predica quindi un ritorno alla natura, per reintegrarsi nell’ordine cosmico (TAO): questo è LIBERTA’ dalla passionalità, dall’interesse e dall’attaccamento.
La perfetta unione con il Tao viene effettuata di tanto in tanto da uomini particolari (quali i santi, gli immortali e i geni). Il santo taoista manifesta la sua presenza attraverso esibizioni di potenza: l’estasi, l’attraversamento del fuoco, il volo, l’invulnerabilità. Egli propone un mondo di perfezione limpida: questo mondo è presentato come delle isole fluttuanti sopra un abisso ad oriente del mare della Cina, abitato da uomini trascendenti.
Tutto ciò rappresenta il grande motivo di fondo di tutto il taoismo, e spesso ha acceso la fantasia popolare a tal punto da indurre alla pratica di tecniche alchimistiche, dietetiche ed igienistiche ritenute necessarie a tal fine.
MORALE
Nel Tao-Teh-Ching, sono raccolte le indicazioni morali ed etiche che il fedele taoista deve seguire. Il taoismo predica principalmente un RITORNO ALLA NATURA, il NON AGIRE, il superare i conflitti senza partecipazione emotiva: non solo il fedele taoista rinuncia all’impegno politico, ma cerca di recuperare la semplicità e la perfezione secondo il mito dell’origine per conformarsi al Tao.
Il taoista raggiunge il Tao-soffio vitale, tramite la pratica di un’igiene e di una dietetica appropriate, che mirano a restituire al corpo la sua purezza originaria, rendendolo immortale. Queste pratiche sono di tipo respiratorio, alchemico, dietetico e contemplativo.
Colui il quale riesce a raggiungere l’estasi, instaura in se stesso una conoscenza nuova che lo sottrae al dolore ed alla morte arrivando ad annullarsi per rivivere nel tao, principio atemporale.
Il fedele taoista condanna inoltre l’eccessiva burocrazia, la guerra, le armi. L’uomo migliore è colui che non agisce.
I LIBRI SACRI
Il canone taoista è così composto:
il Tao-Teh-Ching, detto anche Daodeijng, è un’opera fondamentale del taoismo, attribuita a Lao-Tzu, composta in cinquemila parole, suddivisa in 81 paragrafi e di notevole valore poetico.;
Il Chuang-Tzu, raccolta di dialoghi, aneddoti e apologhi scritti da Chuang-Tzu. E’ considerata una delle più interessanti e briose esposizioni dottrinali del taoismo: E’ Divisa in 33 capitoli, con un linguaggio fresco e brillante.;
Il Lieh-Tzu, raccolta di scritti filosofici e metafisici del taoismo, attribuita a Lieh-Tzu, sostenitore della "scuola di legisti", sorta in contrapposizione ideologica al Confucianesimo.

giovedì 24 luglio 2008

Domande dell'anima e domande della vita (estratto di una conferenza di Rudolf Steiner del 1920)

a cura DI D. PICCHIOTTI

(Dal ciclo di 17 conferenze pubbliche
“La via al sano pensare e la condizione vitale dell’uomo del presente”
Stoccarda, marzo 1920 - gennaio 1921, Opera Omnia 335)
“L’intenzione che era a fondamento della mia Filosofia della libertà era di rispondere
alla seguente domanda: come può l’uomo di oggi porsi sensatamente di fronte alle
grosse questioni del presente col sentimento più importante, con la più grande
nostalgia dell’epoca attuale, vale a dire col sentimento, la nostalgia per la
libertà? Ed è di sicuro un elemento essenziale proprio in questa considerazione
dell’essenza della libertà che si sia chiuso con tutto quel modo in cui fino a quel
momento si è sempre posta la domanda riguardo alla giustificazione dell’idea della
libertà, dell’impulso alla libertà. Si è domandato: l’uomo è un essere libero per sua
disposizione naturale, o non lo è? Questa domanda mi appare superata da tutto lo
sviluppo dell’umanità nella nostra epoca. Oggi, rispetto a quello che l’umanità ha
vissuto negli ultimi tre o quattro secoli, possiamo solo domandare: l’uomo è in grado
di fondare un ordine sociale nel quale, sviluppandosi dall’infanzia alla maturità della
vita, sia in grado di trovare ciò che egli può a ragione indicare come la libertà del
suo essere? Non si domandava se l’uomo nasce libero, ma si domandava se all’uomo
è possibile trovare nelle profondità del suo essere qualcosa che egli possa sollevare
dai fondamenti inconsci o subconsci alla piena, chiara, luminosa consapevolezza, e se
grazie a ciò egli possa educare in sé un essere libero.
E attraverso queste considerazioni venni condotto all’idea che si possa fondare
questo elemento essenziale nello sviluppo dell’umanità dell’epoca attuale solo sulla
base di due cose: prima di tutto sulla base di ciò che allora chiamai pensare
intuitivo, in secondo luogo su ciò che chiamai fiducia sociale. E
siccome con queste due espressioni non ho indicato qualcosa di astratto, di teorico,
ma piuttosto cose della realtà, della vita, così quello che era inteso nel mio scritto
veniva capito solo molto, molto lentamente
Perciò si tentò nella mia Filosofia della libertà di indicare da un lato come l’uomo
dovesse ritornare a riempire la sua coscienza non solo con ciò che egli afferra della
natura e che la moderna scienza naturale gli offre in idee e in rappresentazioni, si
indicò come nell’uomo stesso si possa sviluppare una sorgente di vita interiore. E
quando egli trova questa sorgente di vita interiore, quando coglie nell’anima ciò che
non viene dall’esterno attraverso l’osservazione dei sensi, ma viene dall’anima stessa,
allora egli, attraverso questo suo afferrare l’intuitivo contenuto dell’anima, educa se
stesso alla decisione libera, al libero volere, all’azione libera.
E nella mia Filosofia della libertà tentavo di mostrare che si è sempre in una
situazione di dipendenza quando si seguono solo gli impulsi di natura; che si può
diventare liberi solo se si è in grado di seguire ciò che si sviluppa da sé nell’anima
umana come puro pensare intuitivo. Questo riferimento a ciò che l’uomo deve
conquistarsi nella sua anima con autoeducazione per poter davvero essere partecipe
della libertà, questo riferimento ebbe allora come conseguenza che io di necessità
cercai di dare seguito a ciò che era indicato nella Filosofia della libertà. E ho cercato
questo seguito nel corso degli ultimi decenni per mezzo di ciò che chiamo scienza
dello spirito orientata antroposoficamente.
Poiché se si è detto che l’uomo deve fare emergere l’impulso della libertà dalle
profondità della sua stessa anima, che deve fare emergere il pensare intuitivo, allora
si deve anche dire cosa deriva dal fatto che l’uomo si rivolga a tale sorgente
interiore della vita della sua anima. E fondamental-mente le comunicazioni degli
scritti antroposofici pubblicate negli anni successivi sono solo una somma di tutto
ciò a cui si è fatto riferimento allora nella mia Filosofia della libertà.
Ho fatto presente come nell’anima si possano seguire vie verso un pensare che
non si limita a combinare intellettualmente il mondo circostante, ma che a partire da
una visione interiore si solleva all’esperienza dello spirito. Ed ero obbligato a
mostrare ciò che si vede, quando si guarda nel mondo spirituale.
Tuttavia oggi è lecito, anzi è addirittura doveroso sottolineare che non si voleva
alludere a quella mistica nebulosa intesa da molti che parlano di questa sorgente
interiore dell’anima, né a quell’oscuro cianciare e fluttuare in aria che si abbandona
ad interiori fantasticherie.
Perciò si sono verificate due cose: da un lato quegli uomini che non volevano
rivolgersi a quella cosa che oggi è avvertita come scomoda, che cioè non volevano
seguire le vie di un pensare chiaro, si sentivano poco attratti proprio da ciò che
andava nella direzione dalla mia Filosofia della libertà. Dall’altro è successo che
comunque un numero sufficientemente grande di parolai e di accesi chiacchieroni
che desideravano cercare ogni cosa possibile su vie poco chiare, nebulose si sono
riallacciati a ciò a cui si doveva tendere con chiarezza per mezzo della scienza dello
spirito orientata antroposoficamente, e che per questo collegamento sono venuti
abbastanza spiriti cattivi che oggi combattono contro ciò che dicono persone con le
quali io non ho niente a che fare, ma che, combattendo quelle persone, mi
attribuiscono tutto quello che parolai, accesi chiacchieroni e mistici nebulosi
traggono come loro propria commedia da ciò che era inteso, proprio per quello che è
grandemente necessario per la cultura del presente. Perché questo è ciò che da un
lato è per noi particolarmente necessario: chiarezza della tensione
interiore. Quella chiarezza della tensione interiore che oggi contraddistingue il
vero scienziato della natura nella tensione esteriore. Ma ci serve appunto
chiarezza della tensione interiore. Questo è ciò di cui abbiamo bisogno da un
lato. Non oscurità e crepuscolo, non una mistica crepuscolare, ma luminosa,
trasparente chiarezza in tutto ciò che ha a che fare col pensare. Questa è una cosa.
L’altra cosa su cui ci si deve fondare, che volevo esprimere con la mia Filosofia
della libertà
è la fiducia sociale. Viviamo in un’epoca nella quale ogni singolo deve
tendere, all’interno della sua coscienza individuale, ad andare nella direzione del suo
proprio pensare, sentire e volere. Non viviamo più in un tempo in cui gli uomini
sopportano davvero di venire guidati solo per mezzo dell’autorità. E non viviamo
neanche più in un tempo in cui gli uomini sopportano davvero che il loro intero
essere venga organizzato (da fuori). L’organizzazione si è sviluppata in verità solo
come una specie di polo d’opposizione
Se nell’umanità viene liberata quella sorgente di cui ho parlato nella mia Filosofia
della libertà come della vera intuizione, allora si potrà nelle faccende più importanti
della vita fondare sulla fiducia comunità sociali, così come in ultima analisi si deve
fondare sulla fiducia la vita quotidiana. Non succede infatti che quando due persone
si incrociano per la strada venga un vigile e dica a uno dei due: devi passare di là per
non urtare l’altro. Quello che è ovvio per la vita quotidiana può essere trasferito
nella vita superiore, se si vive con serietà, se si può coltivare serietà nel vivere.
In ogni caso in questa Filosofia della libertà vennero allora indicate due esigenze
relative alle vie dell’anima: una era che non è lecito accontentarsi di quel pensare che
oggi è popolare, che è popolare nella vita quotidiana, nella scienza, ma che ci si deve
sollevare all’educazione di ciò che nell’uomo è richiesto dalla nostra epoca: ad un
pensare che fluisce nell’anima dell’uomo dalla sua propria fonte originaria, ad un
pensare che è in se stesso chiaro e pieno di luce
La seconda parte di quell’educazione e di quell’evoluzione dell’umanità qui intesa
porta a ciò: che l’uomo diventi una cosa sola con ciò che sperimenta come impulsi di
volontà nel suo stesso corpo. La spiritualizzazione del corpo con la volontà, la
capacità di far fluire la volontà in ogni elemento sociale è la seconda cosa che questa
scienza dello spirito comunica.
E cosa succede degli ideali, quando in questo modo vengono per così dire inoculati
nel corpo secondo il metodo del pensare scientifico-spirituale? Questi ideali vengono
afferrati da ciò che altrimenti da questo corpo si rivolge solo al consueto mondo dei
sensi. Ciò che il nostro corpo ci porta incontro, che si risveglia a poco a poco nella
nostra infanzia, l’amore, l’amore sensibile diventa, se l’uomo viene afferrato dalla
scienza dello spirito, tale che tutti gli ideali non rimangono semplici astrazioni, non
rimangono semplici pensieri, ma vengono amati, vengono amati con tutto l’essere
dell’uomo. Così che si ama lo spirituale che sta a fondamento della nostra morale,
della nostra etica, dei nostri costumi, dei nostri ideali religiosi come una persona
amata, come un essere di carne e sangue. Perciò grazie alla Filosofia della libertà
doveva venir superato qualsiasi astratto imperativo categorico, che aveva già
disturbato Schiller, per il fatto che pone qualcosa nella vita dell’uomo a cui ci si
sottomette.
Se un simile impulso d’amore tra gli uomini diventa impulso sociale, allora la
comunità sociale si fonda sulla fiducia. Allora l’uomo sta di fronte all’uomo così
che quello che accade tra gli uomini accade grazie allo sperimentare di ogni singolo
uomo. Non accade per il fatto che gli uomini vivono come una mandria di animali e
che per mezzo di una qualche organizzazione viene ordinato da fuori, comandato
tutto quanto deve costituire la direzione, il cammino della loro vita.
E perciò si può dire: io allora volevo agli inizi degli anni Novanta del secolo
scorso con la mia Filosofia della libertà lanciare un appello per qualcosa di cui oggi
vediamo affermarsi il contrario nell’Europa dell’Est, un terribile e omicida contrario
che da là contagia diverse cose e si fa valere su una gran parte dell’Asia.
Noi appunto viviamo nell’epoca attuale in condizioni sociali che a partire
dall’istinto umano pervertito ricercavano l’esatto contrario di quello che si dovrebbe
perseguire sulla base della conoscenza del vero, profondo scopo dell’umanità
moderna. Questa è la terribile tragedia dell’epoca attuale. Questa è la terribile, ma
anche l’assoluta necessità per un anelito verso il futuro, cioè che noi riconosciamo
come debba essere costruito l’ordine sociale, come possa essere costruito solo sul
libero pensare, sulla fiducia per quello che Goethe intendeva, quando volendo
definire il dovere disse: “Dovere, ciò per cui si ama quello che ci si comanda da sé”

E non ho mai nascosto che nel portare la Filosofia della libertà e la scienza dello
spirito che si fonda su di essa non mi importava questo o quel contenuto, questo o
quel particolare. Ho sempre parlato con una certa ironia di quelli la cui maggiore
preoccupazione è di sentir dire da quante parti costitutive è composto l’essere
dell’uomo, o che cosa si può trovare in questa o in quella regione del mondo
spirituale. Ho sempre parlato con una certa ironia di un simile atteggiamento.
Quello che invece mi è sempre importato è di rispondere a questa domanda: cosa ne
è dell’uomo intero, dell’atteggiamento animico, corporeo e spirituale dell’uomo, se
egli si sforza non di pensare l’uomo come gli propone oggi la scienza naturale,
non di volere come lo spingono a fare le organizzazioni, ma di pensare e volere
nel senso della Filosofia della libertà e della scienza dello spirito orientata
antroposoficamente. E ho sempre fatto presente che il pensare suscitato accogliendo
semplicemente questa scienza dello spirito diventa mobile, amplia l’interesse per le
questioni del presente, ci dà la capacità di guardare in modo libero e spregiudicato a
ciò che impedisce l’ulteriore progresso nell’evoluzione dell’umanità.”

SEI PERSONAGGI: UNA SCELTA D'AUTORE

a cura DI D. PICCHIOTTI

Nella prefazione ai Sei personaggi in cerca d'autore, disinvolta cornice metanarrativa in cui si introduce come autore, narratore e personaggio, Pirandello afferma di aver scritto questo dramma per uscire da un incubo (Maschere nude 57-59). Quando il programma di italiano della University of Pennsylvania mi ha proposto di utilizzare i Sei personaggi nel laboratorio teatrale per gli studenti del terzo anno di italiano, devo ammettere di esserci precipitata in quell'incubo. (1) La "commedia da fare" (Maschere nude 69), con i suoi molteplici punti di vista e interrogativi estetici, costituisce una vera sfida sul piano pedagogico: come avrebbero potuto, gli studenti, leggere integralmente i Sei personaggi, opera cerebrale, difficile anche per un madre lingua, capirne la struttura e i conflitti di senso, inserirla in un quadro di riferimento storico-letterario, adattarla per la scena e infine produrre uno spettacolo pubblico, il tutto in italiano e senza perdere di vista il perfezionamento delle abilita linguistiche? Per un corso diretto a studenti appena usciti da quattro semestri di studio dell'italiano, sono obiettivi davvero ambiziosi. I Sei personaggi e considerato un testo canonico da proporre nell'ambito dei programmi di teatro in lingua inglese o nei programmi di dottorato. E anche in questi casi, a volte gli studenti incontrano difficolta di comprensione e rischiano di concentrare l'attenzione sulla "cornice" o sugli aspetti drammatici della vicenda, senza giungere ad un'intelligenza profonda delle implicazioni filosofiche, estetiche e di genere che legano le parti dell'opera, varie e complesse

Cio nonostante, e non sembri un paradosso, proprio la complessita filosofica e le difficolta linguistiche e stilistiche di questo testo polifonico e straniante hanno determinato l'esito altamente positivo del laboratorio teatrale sui Sei personaggi, tenuto nella primavera del 2003. Uesperienza del laboratorio ha dimostrato che, quando la componente letteraria e quella culturale si combinano con l'interazione linguistica, replicando le condizioni di apprendimento in una situazione di full immersion, in cui la lingua viene usata come mezzo per giungere all'obiettivo della performance finale, allora la difficolta linguistica, la letterarieta e le implicazioni culturali del testo si riverberano in modo molto positivo sugli studenti. Il successo del laboratorio teatrale sui Sei personaggi, insomma, sembra dipendere proprio dall'equilibrio ottimale del gradiente letterario, culturale e linguistico, elementi che nella forma teatrale si intersecano in modo naturale.

La questione dell'integrazione fra letteratura e comunicazione linguistica, di importanza primaria nella forma teatrale in lingua straniera, e stata anapiamente trattata dai linguisti. Byrnes dimostra che e non solo auspicabile, ma possibile coniugare gli aspetti linguistico-comunicativi con l'analisi dei testi letterari, anche a partire dalle fasi inziali di apprendimento della lingua. Secondo Kramsch ("Literary Texts in the Classroom") la lettura dei testi letterari, se affrontata in una prospettiva costruttivista che ponga lo studente al centro del processo di apprendimento, puo condurre ad apprezzare la letteratura, a promuovere interessi piu ampi, nonche ad affinare le conoscenze linguistiche. Duff e Maley (6) aftermano che i testi letterari arricchiscono il curriculum di contenuti non triviali, offrono agli studenti la possibilita di discutere temi di valore esistenziale e introducono nel lavoro di classe creativita ed espressione.

Kneepkens e Zwaan, e pith recentemente Hall hanno messo in rilievo il ruolo positivo delle emozioni nella lettura dei testi letterari. Dalla prospettiva psicolinguistica, Kneepkens e Zwaan sottolineano l'importanza dell'impatto emotivo suscitato nello studente dal testo letterario e distinguono diversi tipi di emozioni, che possono promuovere la comprensione e l'apprezzamento del testo letterario sia nei suoi aspetti di contenuto che di retorica e stile. Secondo Hall il coinvolgimento affettivo e intellettuale suscitati dalla lettura dei testi letterari sono entrambi necessari nel processo di apprendimento e forniscono agli studenti intrinseche motivazioni a procedere nello studio delia lingua straniera.

Se e vero inoltre che la lingua--intesa in tutti i suoi aspetti: dal lessico alla nomaa grammaticale e sintattica fino ai tratti soprasegmentali (accento, tono, intonazione, lunghezza) e paralinguistici (cinesica e prossemica)-profondamente connessa alla cultura di cui riflette il sistema condiviso dei valori e delle conoscenze (Halliday), allora e necessario anche concludere che l'apprendimento della lingua straniera e un processo intrinseco all'apprendimento della cultura: una sorta di dialogo fra lo studente, portatore del sistema linguistico-culturale di appartenenza, e l'intero sistema linguistico-culturale della lingua studiata (Kramsch Context and Culture in Language Teaching e "Language and Culture"). Il teatro offre grandi vantaggi come canale di questo dialogo poiche, per la sua natura interattiva e operativa, valorizza il portato culturale e linguistico degli studenti e richiede loro di mobilizzare le conoscenze, i valori e le norme condivise nel proprio universo culturale, facendoli interagire con quelli della lingua e della cultura straniera.

L'intersecarsi di queste varie componenti nel curriculum, messa in rilievo dal fiorire dei Cultural Studies nei dipartimenti di lingue straniere delle universita nordamericane, e stata recentemente legittimata sul versante pedagogico dagli Standards for Foreign Language Learning, elaborati nel 1996 dall'ACTFL, che riflettono l'ampliamento della prospettiva promosso dai linguisti in senso sociosemiotico e interculturale e propongono una visione molto articolata dell'insegnamento della lingua, che comprende cinque componenti eterogenee e complementari--le ben note 5 C--ugualmente importanti: comunicazione, culture, connessioni, confronti, comunita. (2)

Si ritiene che il laboratorio teatrale sui Sei personaggi abbia risposto in modo efficace a queste molteplici istanze:

1. Comunicazione: il laboratorio teatrale ha attivato una pratica comunicativa intensiva e prolungata, che gli studenti hanno percipito come un'esperienza di full immersion. Inoltre, la comunicazione ha avuto luogo in varie forme: metaletteraria (dibattito sul testo; presentazione orale e del saggio scritto); performativa (letture ad alta voce, audizioni, improvvisazione, azione drammatica); pragmatica (discussione su adattamento e problemi di produzione), stimolando la pratica di funzioni e strategie comunicative anche molto sofisticate;

2. Culture: Gramsci osserva che "nell'attivita letteraria pirandelliana prevale il valore culturale al valore estetico," poiche "egli ha contribuito molto piu dei futuristi a 'sprovincializzare' l' 'uomo italiano,' a suscitare un atteggiamento 'critico' moderno in opposizione all'atteggiamento 'melodrammatico' tradizionale e ottocentista" (52). La lettura dei Sei personaggi, comprensiva degli aspetti storici, di genere e stile, ha richiesto percio agli studenti di affrontare aspetti complessi della cultura italiana, per la quale essi hanno dimostrato curiosita e interesse;

3. Connessioni: il laboratorio teatrale e per sua natura un corso basato sui contenuti, dove la lingua straniera e valorizzata come strumento e non semplicemente come fine. La centralita delle connessioni interdiscipinari individuate dagli Standards e risultata percio abbastanza ovvia nel laboratorio teatrale sui Sei personaggi: infatti, il corso non solo ha offerto agli studenti l'opportunita di perfezionare la lingua, strumentale all'obiettivo della performance finale, ma anche di approfondire la conoscenza della letteratura italiana e del teatro come genere;

4. Confronti: grazie alla metodologia utilizzata, che si chiarisce piu avanti nel dettaglio, gli studenti hanno avuto l'opportunita di confrontare elementi lessica|i e morfosintattici dell'italiano con quelli della propria lingua, sia nell'attivita performativa che in quella di traduzione del testo dall'italiano all'inglese. Il confronto si e svolto in modo intenso anche sul versante culturale. Le implicazioni culturali dei Sei personaggi, come i riferimenti intertestuali e la sottile problematica politica, sono state analizzate con cura. Con l'obiettivo di suscitare nel pubblico una reazione analoga a quella che il testo pirandelliano vuole generare nello spettatore italiano, in alcuni casi sono stati inseriti stralci di testi americani (musica, cinema) e testi italiani contemporanei di piu immediata comprensione (teatro);

5. Comunita: il laboratorio ha impegnato gli studenti nella preparazione di un evento teatrale che ha coinvolto non solo i docenti e gli studenti del programma di italiano della University of Pennsylvania e la comunita locale degli italofoni, ma anche gli amici degli studenti, i genitori, i parenti e, in un caso, l'insegnante della scuola superiore. Inoltre, grazie alla "due giorni pirandelliana" organizzata dall'universita, a cui hanno partecipato come protagonisti, gli studenti si sono sentiti parte della comunita di studiosi di Pirandello, fatto, questo, che li ha particolarmente gratificati, spingendoli a cercare ulteriori occasioni di studio della lingua, della cultura e del teatro italiani. (3) Alla conclusione del corso, due studenti hanno chiesto il major in italiano, ma anche gli altri hanno generahnente continuato nello studio dell'italiano.

In breve, nel laboratorio teatrale tutte le prospettive che rendono l'apprendimento della lingua stralziera un'esperienza completa--comunicazione, cultura (e letteratura), connessioni, confronti, comunita--si sono intersecate naturalmente, convergendo nel "macro-atto linguistico" della performance. (4)

Gli strati del testo

Con i Sei personaggi, messo in scena nel 1921 a Roma con esiti disastrosi e trionfalmente qualche mese dopo a Milano e poi in Europa e negli Stati Uniti, Luigi Pirandello porta a maturazione una lunga fase di sperimentazione teatrale, inziata con la messa in discussione degli elementi costitutivi del dramma cosiddetto borghese: il romanticismo melodrammatico della storia e l'intreccio imperniato sul triangolo amoroso. Ma lo sperimentalismo dei Sei personaggi va molto al di la del semplice rinnovamento delle formule teatrali ottocentesche: dotando i personaggi di autonomia artistica, Pirandello sottopone a critica radicale il processo autoriale della creazione, mette sulla scena il problema del rapporto tra arte e vita e mostra la limitatezza della lingua come strumento di comunicazione e comprensione reciproca; inoltre, nella materialita della messa in scena, esibisce gli artifici teatrali, demistificando la tradizionale funzione del palcoscenico come barriera fra il testo spettacolare e la realta del pubblico; (5) infine, nella formula del "teatro nel teatro," introduce...

La metamorfosi (Kafka F.) Mi accorsi di essere un insetto

a cura DI D. PICCHIOTTI

“Destandosi un mattino da sogni inquieti, Gregor Samsa si trovò tramutato, nel suo letto, in un enorme insetto.” […]
Chi non conosce l’incipit del libro? In effetti, la famosa frase iniziale con cui il racconto ha inizio racchiude in se l’intera trama de “La metamorfosi” kafkiana.
A chi non è mai capitato di svegliarsi una mattina in preda agli incubi e credere di essere ancora dentro al terribile sogno? È capitato a tutto almeno una volta nella vita, per Gregor Samsa, invece, l’incubo diventa realtà, egli si sveglia in una mattina del 1915 e pian piano si rende conto di essere diventato un vero insetto con tanto di corazza e di zampette.
Gregor che si trova immobile nel suo letto percepisce il suo essere divenuto un insetto in quanto, tentando di ergersi eretto come qualunque uomo, si rende conto di esserne impossibilitato fisicamente oltre a provare un dolore lancinante alla schiena adesso divenuta dura e violacea.
Inizia per Gregor una vita d’inferno, rinchiuso dentro una sorta di “tana”, rifiutato ed umiliato dal padre, amato ma tenuto lontano dalla madre e accudito in modo complice e quasi incestuoso dalla sorella che sarà la stessa che ne proporrà l’eliminazione.

Che interpretazione dare?
Il genio di Kafka ci pone in questo racconti moltissimi interrogativi a cui è quasi impossibile tentare di dare delle risposte logiche.
Il motivo per il quale Gregor si tramuta in un animale non ci è mai svelato, ci è lasciato nell’ombra e dato in pasto a qualunque ipotesi.
L’interpretazione letteraria del testo ci porta subito a pensare ad una fiaba in cui convivono uomini e animali e la bravura di Kafka nel descrivere minuziosamente l’aspetto orripilante di Gregor stimola la mente ad immaginare l’insetto in tutta la sua bruttezza; perfetto erede del naturalismo, Kafka sembra quasi essere un entomologo che spiega nel dettaglio l’anatomia dell’insetto Gregor, la sua forma, le sue zampette che si agitano, i suoi colori e persino i suoi dolori.
Gregor è un insetto costretto a comportasi da uomo, che capisce ciò che lo circonda ma che da insetto viene trattato, è a dir poco commovente il momento in cui gli vengono tolti dalla sua stanza tutti i mobili di famiglia in modo da dargli maggior spazio possibile per i suoi movimenti inumani.
La disperazione di Gregor, la descrizione dettagliata dei suoi dolorosi movimenti, del suo guardare la sua famiglia da lontano mentre mangia riunita nello stesso tavolo dove poco prima era anch’egli seduto, violentano il lettore che ne assume la totale difesa.
Ricordando lo stile ermetico di Kafka non si può non dare un’interpretazione psicologia e metaforica a tutto il racconto.
Al centro del racconto vi è la famiglia Samsa e il rapporto dei componenti della famiglia con Gregor uomo e Gregor insetto.
L’uomo Gregor si alzava tutte le mattine all’alba per andare a lavorare, faceva il commesso viaggiatore, un lavoro che detestava ma che era costretto a fare per mantenere la sua famiglia e per dare una certa sicurezza economica nel futuro.
La sua famiglia non naviga nell’oro, un padre che aveva smesso di lavorare da tempo, anziano e appesantito, una madre vittima dell’asma che malamente riusciva a muoversi e una sorella diciassettenne che badava alla faccende domestiche e con la passione per il violino.
La mattina della trasformazione, Gregor, ha come primo pensiero quello di andare al lavoro, sa di essere in ritardo e sa che questo gli avrebbe fatto perdere il posto e ciò non poteva accadere, lui doveva sostentare la sua famiglia e aiutare la sorella ad andare un giorno al Conservatorio. Tanto era la sua devozione che non si curò più di tanto di essere divenuto uno scarafaggio….
Il vincolo biologico della famiglia è il tema portante del racconto, Kafka non ebbe mai un buon rapporto col padre e ciò nel tempo lo portò a schierarsi contro il paternalismo quasi tirannico della società del tempo; egli non ebbe vita facile, dedito alla letteratura e agli scritto veniva considerato un “diverso”, una specie di parassita.
Egli realizzò dunque nella vita e nel racconto che avessi dentro un animo sporco, sudicio, un insetto appunto, un insetto che decide di farsi da parte, di nascondersi e lasciarsi morire per il bene e per la salvaguardia della dignità della sua famiglia.
Il padre non accetterà mai l’immagine del figlio divenuto insetto, anzi, lo umilierà fino a colpirlo con una mela che gli si conficcherà nella schiena rimanendogli per sempre come una ferita che mai potrà sanarsi.
La madre, impotente, conserverà sempre il suo istinto materno ma a poco servirà a Gregor, il suo personaggio è infatti appannato da quello del padre e della sorella, è quello di una disperata madre che vorrebbe salvare il suo figlio “infelice” come lei stessa lo definisce.
Il rapporto complice con la sorella è enigmatico, la ragazzina si prende cura del fratello, dandogli da mangiare e pulendo la sua nuova dimora; è lei però che convincerà madre e padre del fatto che oramai quell’essere non è più il fratello ma solo una brutta bestia di cui sbarazzarsi.
Il cibo lega Gregor a Grete in un rapporto da molti definito quasi incestuoso, Grete sembra la fatina buona della nostra fiaba alla quale però manca la formula magina per rompere l’incentesimo!
La sua famiglia così come la società non accetteranno mai ciò che reputavano diverso senza però capire che lo sporco che la stessa società ha prodotto è proprio quell’insetto e con tutti i rifiuti della borghesi quell’insetto si nutre. Contrario ad ogni tipo di schematizzazione e contro l’ipocrita borghesia dell’epoca, egli descrive la realtà, la sua realtà con gran luce, egli stesso si sentiva un uccello libero ma dalle ali immobili. L’uomo è in realtà solo e solo deve farcela nel mondo.
Il libro è sicuramente da leggere e da avere nella propria biblioteca di casa, uno dei racconti più angoscianti del secolo scorso sull’inquietudine dell’uomo, sul rapporto di amore-odio con la famiglia, sulla lotta contro quel mondo alienante in cui Kafka sapeva di vivere. Un racconto pieno di interrogativi sulla vita e sui rapporti interpersonali, una storia adattabile a qualunque epoca, l’accettazione del diverso, l’umiliazione e il rifiuto per ciò che non è bello come vorremmo, il rapporto con la famiglia. Consigliato a tutti, da leggere rigorosamente tutto d’un fiato!.

LIBERTA' RELIGIOSE

a cura DI D. PICCHIOTTI

Rapporto 1999 del Consiglio d'Europa in materia di sette
Relazione su Religione e Democrazia.
"Raccomandazione 1396", adottata dall'Assemblea Parlamentare nel Gennaio 1999. Documento estratto dalla Gazzetta Ufficiale del Consiglio d'Europa.
Vedi l'indice di riferimento, che contiene una traduzione del Rapporto.
Traduzione in italiano e trasposizione in formato HTML: Copyright © 1999 Martini & Harry, Allarme Scientology, 26 Giugno 1999. Liberamente distribuibile - con una nota restrittiva per il CESNUR. [*]


1) Il Consiglio d'Europa, per statuto, è una Organizzazione essenzialmente umanistica. Al contempo, come tutore dei diritti umani, deve assicurare libertà di pensiero, coscienza e religione come affermato dall'Articolo 9 della Convenzione Europea sui Diritti Umani. Deve inoltre assicurare che le manifestazioni religiose siano conformi alle limitazioni stabilite dall'articolo stesso.
2) L'Assemblea ha già manifestato interesse nelle diversità culturali e religiose in Europa. La loro coesistenza e interazione ha considerevolmente arricchito il patrimonio europeo. In particolare, l'Assemblea fa riferimento alla Risoluzione 885 (1997) sul contributo Ebraico alla cultura europea, alla Risoluzione 916 (1989) sugli edifici religiosi in eccesso, alla Raccomandazione 1162 (1991) e Ordine N°. 465 sul contributo della civiltà Islamica alla cultura europea e alla Raccomandazione 1291 (1996) sulla cultura Yiddish.

3) L’Assemblea è inoltre consapevole che, anche in una democrazia, esistono ancora tensioni tra espressioni religiose e potere politico. Esistono aspetti religiosi in molti dei problemi che la società contemporanea si trova ad affrontare, come movimenti fondamentalisti intolleranti e azioni terroristiche, razzismo, xenofobia e conflitti etnici; si dovrebbe inoltre esaminare la disuguaglianza tra i sessi nella religione. L’Assemblea ha già indirizzato alcuni di questi argomenti nella Raccomandazione 1202 (1993) su tolleranza religiosa nella società democratica, e nella Raccomandazione 1222 (1993) sulla lotta a razzismo, xenofobia e intolleranza. L’estremismo in sé non è una religione, ma una distorsione o perversione della stessa. Nessuna delle grandi religioni antiche predica la violenza. L’estremismo è una invenzione umana che svia la religione dal suo cammino umanistico per renderla strumento di potere.

4) Non è compito dei politici decidere in materia religiosa. Come per le religioni, non devono cercare di prendere il posto della democrazia o attaccarsi al potere politico; devono rispettare la definizione di diritti umani contenuta nella Convenzione Europea sui Diritti Umani, e le norme di legge.

5) Democrazia e religione non devono essere incompatibili, anzi il contrario. La democrazia ha dimostrato di essere la migliore struttura per libertà di coscienza, esercizio di fede e pluralismo religioso. Da parte sua la religione, attraverso i suoi impegni morali ed etici, i valori che sostiene, il suo approccio critico e la sua espressione culturale, può essere un valido partner della società democratica.

6) Gli stati democratici, siano laici o connessi alla religione, devono permettere a tutte le religioni che rispondono alle condizioni espresse nella Convenzione Europea sui Diritti Umani di svilupparsi alle stesse condizioni, e permetter loro di trovare una adeguata posizione nella società.

7) I problemi sorgono quando le autorità cercano di usare la religione per i propri fini, o quando le religioni cercano di approfittare dello Stato per raggiungere i propri obiettivi.

8) Molti conflitti sorgono anche dalla reciproca ignoranza con conseguenti stereotipi e, infine, dal rifiuto. In un sistema democratico i politici hanno il compito di prevenire che un’intera religione sia associata ad azioni commesse, per esempio, da minoranze religiose fanatiche.

9) L’estremismo religioso che incoraggia intolleranza, pregiudizio e/o violenza è esso stesso sintomo di una società malata e si pone come minaccia alla società democratica. Considerato che compromette l’ordine pubblico, deve essere combattuto con mezzi conformi alle norme di legge e, trattandosi di espressione di malessere sociale, può essere combattuto se le autorità affrontano i veri problemi della società.

10) La chiave per combattere ignoranza e stereotipi è l’istruzione. Si dovrebbero rivedere programmi scolastici ed universitari, e con urgenza, in modo da promuovere una migliore comprensione delle diverse religioni; l’educazione religiosa non dovrebbe essere fatta senza tenere presente una visione della religione come parte essenziale di storia, cultura e filosofia dell’umanità.

11) I Leader religiosi potrebbero dare un contributo considerevole agli sforzi per combattere il pregiudizio, con discorsi pubblici e la loro influenza sui credenti.

12) La lotta al pregiudizio necessita inoltre lo sviluppo dell’ecumenismo e del dialogo tra le religioni.

13) Conseguentemente l’Assemblea raccomanda che il Comitato dei Ministri inviti i governi degli stati membri a:

I) garantire libertà di coscienza ed espressione religiosa a tutti i cittadini, in conformità alle condizioni espresse dalla Convenzione Europea sui Diritti Umani, e in particolare a:

a) salvaguardare il pluralismo religioso permettendo a tutte le religioni di svilupparsi in identiche condizioni;

b) facilitare, nei limiti esposti dall’Articolo 9 della Convenzione Europea sui Diritti Umani, l’osservanza di riti e usanze religiose, per esempio in riferimento a matrimonio, abbigliamento, giorni sacri (per prendersi permessi lavorativi) e servizio militare;

c) denunciare ogni tentativo di fomentare conflitti all’interno e tra le religioni per finalità di parte;

d) assicurare libertà e pari diritti di istruzione a tutti i cittadini, indipendentemente da credo, usanze e riti;

e) assicurare giusto e pari accesso ai media pubblici a tutte le religioni;

II) promuovere l’educazione religiosa e in particolare:

a) migliorare l’insegnamento sulle religioni come insieme di valori verso cui i giovani devono sviluppare un approccio critico, nell’ambito dell’educazione su etica e cittadinanza democratica;

b) promuovere l’insegnamento scolastico di storia comparativa delle diverse religioni, accentuando le loro origini, le similitudini in alcuni dei loro valori e la diversità di usanze, tradizioni, feste ecc.;

c) incoraggiare lo studio di storia e filosofia delle religioni, e la ricerca universitaria in questo campo, in parallelo agli studi teologici;

d) collaborare con istituzioni religiose educative in modo da introdurre o consolidare, nei loro programmi, aspetti relativi a diritti umani, storia, filosofia e scienza;

e) evitare – nel caso di bambini – qualsiasi conflitto tra l’istruzione religiosa promossa dallo stato e la fede religiosa della famiglia, in modo da rispettare la libera decisione della famiglia su una materia molto sensibile;

III) promuovere migliori relazioni con e tra le religioni, e in particolare:

a) impegnarsi in un dialogo più regolare con i capi religiosi e umanistici sui principali problemi che la società fronteggia, il che renderebbe possibile tener conto delle opinioni culturali e religiose della popolazione prima che vengano prese decisioni politiche, e per coinvolgere comunità e organizzazioni religiose nel compito di sostenere i valori democratici e promuovere idee innovative;

b) incoraggiare il dialogo tra le religioni fornendo occasioni di espressione, discussione e incontro tra i rappresentanti delle diverse religioni;

c) promuovere regolare dialogo tra teologi, filosofi e storici, e con rappresentanti di altri campi di conoscenza;

d) ampliare e rafforzare l’associazione con organizzazioni e comunità religiose, specialmente con chi ha tradizioni culturali ed etiche profonde, tra la popolazione locale, in attività sociali, benefiche, missionarie, culturali ed educative.

IV) promuovere l’espressione sociale e culturale delle religioni e in particolare:

a) assicurare pari condizioni per il mantenimento e la conservazione di edifici religiosi e proprietà di tutte le religioni, come parte integrante del patrimonio nazionale ed europeo;

b) assicurare che gli edifici religiosi in eccesso siano riutilizzati in condizioni, per quanto possibile, compatibili con le intenzioni originali dei loro costruttori;

c) salvaguardare le tradizioni culturali e le diverse feste religiose;

d) incoraggiare il lavoro sociale e di beneficenza intrapreso da comunità e organizzazioni religiose;

14) L’Assemblea raccomanda inoltre al Comitato dei Ministri di:

I) indicare, come parte dei progetti educativi relativi a cittadinanza democratica e insegnamento della storia, linee guida per l’introduzione di piani di studio coerenti con i punti 13.ii.a, b e c di questa raccomandazione;

II) continuare a fornire una struttura di incontri pan-europei tra i rappresentanti delle diverse religioni.
Riferimenti
Dibattito d’Assemblea del 27 gennaio 1999 (5° Seduta).

martedì 22 luglio 2008

i Catari


a cura DI D. PICCHIOTTI

L’eresia dei Catari viene erroneamente considerata una mancanza di fede, in realtà la loro "eresia" non nasce dal non credere, ma da un bisogno di credere e di vivere diversamente la propria religione.
Essi intendevano tornare al modello ideale di chiesa descritto nei vangeli e negli atti degli apostoli.
I Catari si caratterizzarono per un radicale anticlericalismo che rimetteva in discussione l’esistenza delle strutture e del personale ecclesiastico.
La Chiesa assunse un atteggiamento estremamente duro nei loro confronti.
La definizione di Catari o Uomini Puri fu coniata dagli stessi adepti. In genere vennero chiamati in modi diversi prendendo il nome dal luogo in cui vivevano: Albigesi da Albi, Concorreziani da Concorrezzo, ecc..
È probabile che i Catari derivino dalla setta dei "Bogomil" che fece la sua comparsa nel X secolo in Bulgaria e si diffuse a Costantinopoli alla fine dell’XI secolo.
Essi professavano una dottrina dualista nella quale Dio e il Demonio avevano pari dignità, e anzi il Demonio avrebbe ingannato il Signore riuscendo poi a far cadere gli angeli e ad imprigionarli nella materia; predicavano una assoluta purezza di vita e rifiutavano i sacramenti tranne il "consolamentum" una specie di battesimo per gli adulti, che permetteva all’avvicinarsi della morte di liberarsi dal peccato. In realtà queste assunzioni di base non erano accettate in tutte le comunità catare nel medesimo modo, e quindi sarebbe più corretto parlare di "catarismi", ovvero di esperienze che, pur rifacendosi ad un dualismo radicale, assumono nel tempo connotati differenti.
Per i Catari ogni Uomo doveva liberare il suo animo dal potere del male che governava il mondo terreno. Il messaggio dei Catari era un invito alla liberazione, e ciascuno doveva seguire la parola di Cristo.
Per i Catari la Chiesa avendo accettato il potere e le ricchezze aveva scelto il male e quindi non era più in grado di offrire alcun aiuto per la purificazione. La salvezza poteva venire solo dalla nuova chiesa dei Catari.
Ogni comunità conservava una sua autonomia resa ancora più grande dal fatto che, a differenza della Chiesa cattolica, non esisteva un’entità centrale incaricata di fissare un’ortodossia comune.
Il fascino esercitato dalla chiesa catara fu molto forte, e questo fu dovuto al rigore morale che la distingueva dalla Chiesa cattolica, composta da uomini molto spesso mediocri e corrotti.
Un altro motivo del successo dei catari fu di tipo dottrinale.
I Catari si erano subito proposti come l’autentica Chiesa di Cristo, quella degli apostoli.
Dopo il Concilio cataro di Saint Felix de Caravan del 1167 si cominciò ad intuire la pericolosità per la Chiesa cattolica, dei Catari.
Papa Alessandro III li condannò come eretici, condanna che venne confermata in seguito da Innocenzo III e Onorio III.
Nel 1206 San Domenico di Guzmàn cercò di predicare contro i Catari, ma non ebbe successo.
Domenico di Guzman Domenico di Guzman
Domenico di Guzman Domenico di Guzman
Nel 1208, prendendo come pretesto l'assassinio del suo legato Pierre de Castelnau, papa Innocenzo III promosse la crociata che portò all’annientamento degli "eretici" Catari.
Domenico di Guzman interroga i Catari (Dipinto di Pedro Burruguete) Museo del Prado - Madrid
I nobili della Francia settentrionale guidati da Arnaud Amaury, abate di Citeaux, presero le armi.
Nel luglio del 1209, Béziers fu presa e distrutta, l'intera popolazione uccisa. Molti cittadini furono bruciati nella chiesa della Madeleine. Ai soldati che gli chiedevano come avrebbero capito la differenza tra i Catari e i buoni cattolici, Arnaud Amaury disse queste famose parole: "Uccideteli tutti, Dio li riconoscerà".
Nel mese di agosto del 1209, fu conquistata Carcassonne.
Domenicani dell'Inquisizione torturano i Catari
I territori dei nobili che avevano appoggiato i Catari furono attribuiti a Simon de Montfort, il capo dei crociati.
Simon de Montfort continuò a combattere e prese Minerve nel mese di luglio del 1210, ove fece bruciare 140 Catari che rifiutarono di ripudiare la propria fede. Caddero tutte le fortezze della regione dove i Catari avevano cercato rifugio : Termes, Puivert, Lastours,… Il popolo chiama questo episodio della crociata "guerra dei castelli", che in realtà fu una vera guerra di conquista territoriale.
Nel mese di luglio del 1213, Simon de Montfort vinse presso Muret (sud di Tolosa) le fortissime armate alleate di Pietro II di Aragona e di Raimondo VI Conte di Tolosa. Re Pietro fu ucciso durante la battaglia.
Nel 1215 Tolosa fu invasa dai Francesi, ma il Raimondo VI riconquistò la sua capitale.
Raimondo VI entra a Toulouse Stemma di Raimondo VI
Raimondo VI chiede di essere riconciliato con la Chiesa (Dipinto di J. Moreau - Collezione di Toulouse - Museo di Paul Dupuy)
Durante un secondo attacco nel giugno del 1218 Simon de Montfort perì, ucciso da una grande pietra gettatagli addosso dalle donne di Tolosa che difendevano le mura della città.
Simon de Montfort assedia Toulouse - 1218 (Dipinto di J. P. Laurens)
Dopo la sua morte i crociati si disorganizzarono del tutto e nel 1224 furono cacciati da Carcassonne. Il re francese Luigi VIII dovette egli stesso incoraggiare i crociati e promosse una nuova offensiva. Ottenne buoni risultati, a tal punto che Raimondo VII, nuovo Conte di Tolosa, fu costretto a sottoscrivere il Trattato di Meaux (1229).
Nel 1233 papa Gregorio IX creò l'Inquisizione, la cui missione era cacciare e giudicare gli eretici.
La conquista territoriale era compiuta, ma il primo obiettivo della crociata, combattere l’eresia dei Catari, fu una completa sconfitta.
I domenicani avevano la responsabilità dell'Inquisizione. Nel 1242 due Grandi Inquisitori furono uccisi con la loro scorta in Avignonet - Lauragais (un villaggio situato tra Tolosa e Carcassonne) da un gruppo di cavalieri provenienti da Montségur.
A Montségur viveva una comunità catara molto importante, che vi si era stabilita dopo essere stata cacciata da ogni altro luogo. Questo villaggio collocato su un'altura e fortificato, simbolizzando il Catarismo, fu sconfitto dopo un lungo attacco (nove mesi), il 2 di marzo del 1244.
Forse nel loro peregrinare alcuni Catari portarono con sé il Santo Graal, e per salvarlo lo avrebbero nascosto nei sotterranei di questa fortezza.
Secondo Wolfram von Eschenbach, il Santo Graal si troverebbe nel castello di Munsalvaesche, che significa "Monte Salvato" o "Monte Sicuro" (Montségur).
L'unica conferma storica ci viene dagli anni '30, quando due nazisti (Otto Rahn, colonnello delle SS, e il filosofo Alfred Rosemberg, amico di Hitler) indagarono proprio a Montségur e in altre fortezze catare alla ricerca del Santo Graal. Subito dopo le ricerche, di cui mai si seppe alcun risultato, Otto Rahn scomparve misteriosamente (forse venne rinchiuso in un campo di concentramento perché "sapeva troppo").
Il 16 di marzo più di 200 "eretici" furono bruciati al palo di fronte alla cittadella. Il luogo è ancor oggi chiamato "Camp dels Cremats" (Campo dei Cremati) in lingua occitana. Quei pali divennero il simbolo del loro martirio.
Il castello di Quéribus, situato nella regione del Corbières, fu l'ultimo bastione, l'ultima difesa dei Catari, e fu sconfitto e occupato solo nel 1255.
Il re di Francia Luigi IX il Santo immediatamente occupò la regione. La cittadella di Carcassonne fu considerevolmente fortificata.
La Contea di Tolosa fu annessa al Regno Francese nel 1271, quando Giovanna, l'ultima figlia dell'ultimo Conte e suo marito Alfonso, frate del Re Luigi IX morirono senza figli.
L'ultimo Cataro, Guilhèm Belibaste, fu bruciato al palo nel 1321 a Villerouge Termenès nel Corbières. Ebbe così fine l’eresia dei Catari.
A i giorni nostri esistono dei gruppi che studiano e simpatizzano molto per i Catari. Ad esempio Spiritualitè Chatare e il Centre d’Etudes Chatare di Carcassonne.Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.