domenica 6 luglio 2008

Giordano Bruno Filosofo italiano (Nola, regno di Napoli, 1548 - Roma, 1600).


RICERCHE A CURA DI D. PICCHIOTTI
Il 17 febbraio 1600, Giordano Bruno moriva bruciato vivo sul patibolo dell’inquisizione romana. Domenicano, sedotto dalla Riforma senza aderirvi, Bruno non era né la prima né l’ultima vittima di quest’istituzione il cui scopo era quello di estirpare l’eresia, anche con i mezzi più terribili. Ma, agli occhi della storia, Bruno fu molto più di uno semplice eretico. Per la prima volta la chiesa cattolica romana eliminava fisicamente il partigiano di una teoria scientifica allora nuova in Europa: l’ eliocentrismo del sistema copernicano. Ciò che più conta, Bruno aveva pronunciato questa teoria corredandola con un’intuizione che doveva rovesciare la nostra visione del mondo: quella di un Universo infinito. Spingendo, attraverso scritti filosofici non sistematici, fino alle sue conseguenze estreme la sua adesione al sistema di Copernico, Bruno costruì così un cosmologia dove l’uomo, in comunione con un dio immanente alla natura, è, forse, il vero centro divino. E per questo perse la vita.
Il percorso di un contestatore
Filippo Bruno nacque nel gennaio del 1548 a Nola, cittadina del regno di Napoli. A quattordici anni, parte per studiare nella capitale del regno. Nel 1565, entra nel convento dei domenicani di Napoli – dove prende il nome di Giordano e acquista il titolo di dottore in teologia nel 1572. Fin da questi anni, egli si distingue per la sua grande libertà di spirito. È richiamato per avere staccato dalla parete della sua cella i ritratti dei santi. Viene sorpreso a leggere un autore messo all’indice: Erasmo. Fatto più grave: lo si ascolta mettere in dubbio il dogma della Trinità e discutere le dottrine di Ario, eresiarca del IV secolo. Tutto ciò gli vale una denuncia, nel 1576, da parte di un domenicano. Bruno si spaventa. Fugge verso Roma, quindi, dopo essersi stonacato verso Ginevra.
Comincia allora una vita in continua fuga. In quindici anni, Bruno, nel corso di successivi esili - aderirà praticamente a tutte le forme allora correnti di cristianesimo, per essere da tutte le chiese, cattoliche o riformate, scomunicato. Ovunque, tuttavia, è inizialmente accolto con calore e rispetto, poiché si ammira il suo spirito, la sua cultura, la sua eloquenza e la sua padronanza dell’arte della memoria, molto tenuta in considerazione in un’epoca in cui la stampa era ancora ai primi passi. Ma in nessun posto riesce a trovare un riparo duraturo. Le sue dottrine in effetti urtano senza tregua le credenze dei suoi ospiti, di qualsiasi fede siano. Nel 1576, gli bastano quattro mesi per rendersi indesiderabile ai maggiorenti dell’università di Ginevra. Alla fine del decennio, è la prudenza che lo spinge a lasciare Tolosa, dove era andato ad insegnare - la virulenza degli scontri tra cattolici e protestanti gli fanno infatti temere di essere vittima ora dell’una ora dell’altra parte. Nel 1581, il re Enrico III, che lo ammira, si mostra particolarmente accogliente e crea espressamente per lui una cattedra al Collegio reale, poiché Bruno, da apostata, non avrebbe potuto esercitare alla Sorbona, il cui regolamento rendeva obbligatorio assistere agli uffici religiosi. Tuttavia Bruno coglie l’occasione e sembra trovare requie e, nel 1584, accompagna l’ambasciatore di Francia in Inghilterra. La regina Elisabetta I è tanto ben disposta al suo riguardo quanto il re di Francia. Bruno tenne anche alcune lezioni a Oxford che, come sempre, furono interrotte dai pedanti aristotelici . A Londra pubblica i suoi principali lavori. Ma, ancora una volta, non addolcisce i toni delle proprie dottrine. Enrico III, ritornato in Francia, è costretto a mettere al bando l’ingombrante pensatore.
Restavano i Paesi di fede luterana. Come altrove, vi trovò persone inizialmente decise a sostenerlo. Ecco ad esempio il messaggio inviato al senato di Wittenberg: «Avete permesso ad uno straniero, ad un uomo che non apparteneva alla vostra religione, di insegnare in pubblico (...), lo avete autorizzato ad essere semplicemente un amico della saggezza (...), non gli avete impedito di esporre le proprie opinioni, anche quando erano contrarie alle dottrine da voi professate». Alla fine del XVI secolo, iniziava infatti, qua e là, a realizzarsi qualcosa che somigliasse alla tolleranza. Ma questa lettera mostra, soprattutto, il carattere del tutto eccezionale di questo tipo d’atteggiamento. La situazione restava pesante per Bruno, che fu costretto nuovamente a fuggire da uno Stato tedesco all’altro, secondo il ritmo delle rivoluzioni politiche e religiose, e dei salti d’umore dei teologi.
Nel 1591, Bruno è stanco dell’esilio. Desidera che la Chiesa lo riaccolga nel suo grembo e vuole rivedere la sua patria. Accetta perciò di buon grado l’invito di Giovanni Mocenigo, ricco veneziano che desidera apprendere da lui la geometria e l’arte della memoria (mnemotecnica). Ma, lungi dall’essere il protettore sperato, Mocenigo, il 23 maggio 1592, denuncia Bruno all’Inquisizione col pretesto che quest’ultimo non gli avrebbe trasmesso i suoi segreti.
Lo scopo del Tribunale dell’Inquisizione, istituito dal papa Gregorio IX nel 1231, ed incessantemente regolamentato in quest’epoca di turbolenze religiose, era di estirpare l’ eresia: occorreva, con ogni mezzo, scovare l’ eretico e portarlo all’abiura e al pentimento. Benché la pena inflitta potesse prevedere il patibolo o la prigione a vita, il più delle a volte era leggera: pellegrinaggio, cura di un povero, addossamento della croce d’infamia o altre penitenze “salutari”. In casi di ostinazione particolare del “colpevole” era prevista la sua consegna alle autorità secolari, ossia il patibolo. L’ostinazione era dichiarata irrimediabile soltanto al termine di interrogatori che potevano svolgersi lungo molti mesi o molti anni, e durante i quali l’obiettivo dei giudici era di portare l’imputato all’abiura. Il processo di Bruno durerà ben otto anni.
Sono del resto le minute, benché lacunose, di questi lunghi interrogatori che ci permettono oggi di ricostruire il pensiero di Giordano Bruno, meglio dei suoi lavori, spesso oscuri. Ne risulta molto chiaramente che la magia o l’ermetismo, che hanno certamente occupato un posto importante nella sua attività intellettuale, non pesarono per nulla nella sua condanna e che il loro ruolo non era del resto centrale nel suo sistema. È altrettanto interessante constatare che Bruno era pronto, almeno in una prima fase del suo processo, a disconoscere alcuni dei suoi scritti nelle formulazioni apertamente anticristiane. Ma l’approfondimento degli interrogatori rivela che il “nucleo duro” della teoria di Bruno, e che doveva fatalmente condurlo al patibolo, risiedeva nella sua concezione di un Universo infinito.
Le fonti del pensiero di Giordano Bruno
Senza essere un fisico di genio alla stregua di Galilei, Giordano Bruno possedeva uno spirito scientifico, e fu soprattutto un metafisico notevole. Il primo a proporre un sistema coerente contrapponibile a quello di Aristotele. Ricordiamo che, secondo quest’ultimo, la terra si trovava al centro di un universo chiuso. Dunque immobile con le stelle superlunari rotanti attorno ad essa. Il mondo siderale era anch’esso immobile, ed al di là della sfera siderale, o celeste, non c’era nulla: né luogo, né vuoto. Il sistema di Aristotele, ripreso e “cristianizzato” da Tommaso d’ Aquino, era assurto al rango di dogma della Chiesa cattolica romana. Fin dai suoi anni giovanili, Bruno si era interessato ai predecessori di Aristotele (i pitagorici, Platone e i presocratici, soprattutto) e ai neoplatonici. Soprattutto, aveva letto due autori che erano passati quasi inosservati ma che portavano in germe una critica radicale della fisica di Aristotele: Nicolò Cusano e Copernico.
Le dottrine di Cusano e di Copernico
Il teologo tedesco Nicolò di Cusa (1401 -1464) fu il primo a rimettere in discussione la concezione aristotelica del mondo. Per lui, l’Universo è uno sviluppo imperfetto di Dio. Imperfetto poiché il suo frazionamento indefinito si oppone all’unità del divino. L’universo non è a dire il vero infinito, ma non è finito neppure: “senza termine”, nel senso in cui non se ne possono conoscere i limiti. Ne discende che la terra non è più al centro, e non ci sono centri fisici nell’Universo. Questo centro è metafisico: è Dio. In lui, il centro, la circonferenza, l’inizio e la fine del mondo coincidono.
Queste considerazioni non sboccavano in realtà in alcuna cosmologia, né in alcun ragionamento scientifico. Tuttavia, rimettendo in discussione, per la prima volta in Occidente, il dogma dell’Universo chiuso, questo pensiero doveva fortemente influenzare Bruno e, più in là, l’astronomia moderna.
Nel 1543, fu pubblicato nell’indifferenza quasi totale, il trattato di un canonico polacco, Nicola Copernico (1473 -1543), Sulle Rivoluzioni dei mondi celesti. Due aspetti dell’opera di Copernico suscitarono l’interesse di Bruno. Da un lato, Copernico opera una “rivoluzione” nel senso tradizionale di questo termine: torna ai filosofi che precedono Aristotele. Rheticus, un allievo di Copernico, lo afferma in modo chiaro e inequivocabile: «È seguendo Platone e i pitagorici che (Copernico) pensa che, per determinare la causa dei fenomeni, un movimento circolare doveva essere attribuito alla sfera terrestre».
D’altra parte - e risiede qui la sua grande invenzione concettuale – Bruno capisce che il sistema di Copernico conduce logicamente all’Universo infinito. Copernico non ha fatto che allargare il mondo. Quest’ultimo resta finito, poiché conserva un centro, il sole, «che riposa sul trono reale, governa la famiglia delle stelle». Copernico cambia la precedente struttura del mondo sublunare di concezione aristotelica, ma prevede tuttavia ai confini del mondo una sfera immobile di stelle fisse.
La rimodulazione della teoria copernicana
Sotto l’influenza della dottrina di Nicolò Cusano, Bruno reinterpreta il sistema di Copernico. Manda in frantumi la sfera immobile di stelle fisse che Copernico non aveva osato toccare. Le stelle non sono più immobili ma sono dei soli in numero infinito, da cui dipende un numero infinito di astri che sono distribuiti in un Universo infinito. Il sistema di Copernico dà un ordine così all’infinito che Nicolò Cusano aveva lasciato nell’anarchia. «Egli comprende – scrive Guido De Ruggiero – che il copernicanismo nel suo significato più profondo, porta a una unificazione del cielo e della terra, a una parificazione di tutti gli astri, nella loro struttura e nel loro movimento , e quindi a una redistribuzione del sistema cosmico».
«Se il mondo è finito», fa dire Bruno al personaggio di uno dei suoi scritti, «ed extra il mondo è nulla, vi domando ove è il mondo, ove è l’universo? Aristotele risponde: in se stesso (...). E che cosa ne è, dico io, delle cose che sono fuori del mondo? Se dici che non ce n’è nessuna, allora, di certo, il cielo, o il mondo non è da nessuna parte».
Tutto è movimento nell’Universo di Bruno poiché tutto è animato, cioè dotato di un’anima - o meglio dire di un pezzo d’anima dell’Universo, poiché l’universo è emanazione di Dio. Ma, un essere infinito soltanto può avere uno sviluppo infinito. Tuttavia, l’infinito di Dio e l’infinito dell’Universo non sono della stessa natura.
Il primo è semplice ed il secondo complesso, frammentato. L’Universo infinito è composto da innumerevoli mondi chiusi. I mondi sono separati da vuoti e Bruno non crede ad una comunicazione possibile tra loro. Con una di quelle bizzarrie che rendono la sua opera particolarmente tortuosa, Bruno pensa che sia lo stesso per i continenti. Così prende posizione contro la colonizzazione dell’America per la ragione che non crede all’unità del genere umano e pensa impossibile (o contro natura) l’unione tra le diverse razze umane.
Per lui, la vita è apparsa per germinazioni spontanee ed indipendenti a partire dall’azione dei raggi del sole sulla terra umida, che contiene tutte le sementi.
Le implicazioni teologiche del pensiero di Bruno
Durante tutto il processo intentatogli, Bruno si definisce sempre come un filosofo e non come teologo. Rifiutava l’accusa di eresiarca: infatti non predicava, ma diceva di ricercare la verità sul principio primo dell’Universo. Abbiamo visto tuttavia le implicazioni teologiche del suo sistema: se ci sono molti tipi umani, Adamo non è più il padre comune dell’umanità e non ci può essere redenzione universale. E d’altra parte se l’Universo non è più chiuso e finito, prodotto totalmente distinto e distante dalla Divinità, ma infinito e senza confini, esso ha troppi attributi della Divinità medesima: un terribile concorrente di Dio. L’infinità dell’Universo comporta che il motore di esso non è estrinseco all’Universo (la teoria del “motore immobile” aristotelico-tomistica riceve così un duro colpo) ma intrinseco ad esso medesimo, non fuori, ma dentro l’Universo medesimo. L’Infinito secondo Bruno poneva d’altra parte un altro problema, altrettanto acuto. Essendo l’universo un’emanazione di Dio, esso è di conseguenza l’unico mediatore tra l’uomo e la divinità. Per Bruno, la vera eucaristia è la comunione con la Divinità attraverso la contemplazione dell’Universo. Se in ogni molecola di natura si trova un riflesso dell’anima di Dio, il passo successivo è pensare che il Cristo non serva più a nulla, che non sia più necessaria la Redenzione...
Le implicazioni scientifiche
Nel lungo processo che occupò gli uomini d’Occidente a passare da un mondo chiuso ad un Universo infinito, Bruno occupa un posto importante. Per gli Antichi, in effetti, il mondo non poteva essere infinito poiché l’infinito era l’incompiuto, l’imperfetto, il caos. L’Universo aveva dei limiti, e dunque perfetto. Per gli uomini del Medioevo, infinito era la perfezione: attributo che poteva essere riservato soltanto a Dio. Con Bruno, tutto cambia nuovamente: l’Universo è la Totalità; che basta a se stessa e racchiude Dio stesso nella sua immanenza. L’Infinito di Bruno non è laico. È, se non ateo, fermamente anticristiano in una prospettiva naturalista, se non animista. È per questo che la questione - Bruno tanto ha impegnato la Chiesa contro la nuova astronomia e altrettanto incitato alla prudenza tutti coloro che la propugnavano. Doveva toccare a Descartes, al prezzo di molte precauzioni e di infinita prudenza, proporre una cosmologia laica. Dopo di lui, l’infinito dell’universo è diventato uno dato non più interferente nella relazione Dio - mondo.
La teoria di Giordano Bruno è certamente lungi dall’essere scientifica. È una congettura filosofica. Da un punto di vista puramente concettuale, si può passare da Copernico a Galileo, da Keplero a Newton senza alcun passaggio su Bruno - ciò che fanno d’altra parte la maggior parte degli storici del pensiero scientifico. È difficile determinare l’influenza intellettuale di Bruno sui fondatori dell’astronomia moderna, né se Bruno si è riconosciuto o meno nelle ricerche di Galilei. Ma resta il fatto che, dopo l’affaire Bruno, la teoria di Copernico è portata a conoscenza di un vasto pubblico... e dunque vietata. In questo il successivo processo a Galileo Galilei avrà molti punti di contatto e di derivazione dalla questione Bruno, e si può dire che, seppure in modo indiretto, Bruno ha svolto un ruolo di grande rilevanza nella storia dell’evoluzione del pensiero scientifico e delle relazioni tra questo e la Chiesa cattolica romana.
Le tecniche della memoria
Qualche parola infine sui lavori di Giordano Bruno di mnemotecnica, un aspetto del suo pensiero che, senza implicazioni teologiche particolari e senza aprire prospettive scientifiche rivoluzionarie, svolse tuttavia un ruolo importante nella notorietà che gli arrise da vivo: sono infatti i suoi lavori sull’arte della memoria che gli valsero soprattutto le accoglienze calorose sia del re di Francia Enrico III come della regina d’Inghilterra Elisabetta I.
L’arte della memoria è un insieme di tecniche che risalgono all’antichità ed il cui scopo era di memorizzare il massimo di dati. Queste tecniche si fondavano principalmente su “luoghi di memoria” la cui evocazione permette di rinviare con associazione di idee agli oggetti. Questi “luoghi di memoria” possono essere geografici (edifici, vie di una città, ecc..) o no (personaggi, pianeti), ecc.. I trattati d’arte della memoria proponevano così sistemi “cartografici” molto complessi di legami mnemotecnici ed i migliori esperti in quest’arte potevano insegnare a memorizzare volumi interi. Nell’Antichità, tutto ciò aveva un sentore di magia e soprattutto di ermetismo. Tommaso d’Aquino si dedicò a demistificare quest’arte della memoria per farne una tecnica della devozione.
L’ordine dei domenicani, al quale Tommaso d’Aquino apparteneva, aveva la reputazione di essere particolarmente versato nell’arte della memoria e Bruno poté vantarsi di essere stato presentato al Pontefice quando apparteneva ancora a quest’ordine, per far mostra della sua memoria artificiale. Buon tecnico della memoria, Bruno fu soprattutto un teorico della mnmotecnica e pubblicò ben cinque libri sull’argomento. Per lui, la memoria faceva parte dell’immaginazione, e, esercitando questa facoltà, l’uomo, immagine di un mondo più grande di lui, poteva comprendere questo mondo ed entrare in comunione con la Divinità.
Più tardi, di fronte ai suoi giudici, Bruno dichiarò: «(...) Il re Enrico III mi chiamò un giorno, e mi chiese se questa memoria che possedevo e che insegnavo era una memoria naturale o se fosse piuttosto ottenuta per mezzo di magia; gli dimostrai che non mi derivava dalla magia ma dalla scienza ». Bruno poteva ben sopportare di essere mandato al rogo per le sue teorie cosmologiche e per aver affermato l’ Universo essere infinito, non certo per magia.
Opere principali: De umbris idearum (1582); Sigillus sigillorum (1583); De l’infinito, universo e mondi (1583, 1591); La cena de le ceneri (1583); De la causa, principio et uno (1584); Degli eroici furori (1585); De monade numero et figura (1591) De immenso et innumerabilibus ( 1591).Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

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